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Discussione: Il mio sessantotto

  1. #1
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    Il mio sessantotto
    di Franco Cardini - 06/11/2007

    Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]


    Che lo strappo era definitivamente e irreversibilmente avvenuto, la nostra piccola pattuglia fiorentina lo comprese quarant’anni fa, con Valle Giulia. Anzi, dovrei dire a Valle Giulia, perché qualcuno di noi c’era. Non io personalmente: ma avrei potuto esserci. Alle prime battute di quell’esperimento peraltro a posteriori mitizzato, malinteso e strumentalizzato, noialtri avevamo creduto che finalmente i cieli si fossero aperti e che si stessero avverando le speranze-profezie che avevamo formulato al Congresso provinciale del MSI del 2 giugno 1965 in un a suo modo “storico” documento-testimonianza-Ordine del Giorno ch’era stato preludio della nostra uscita da quel partito che ormai ci andava stretto. Qualcuno se n’era andato platealmente, stracciando la tessera e sbattendo la porta, qualcun altro alla chetichella, mestamente.
    Ho già raccontato le vicende del “mio” Sessantotto, preceduto da uno strano ma interessante episodio – l’esperienza “antemarcia” delle occupazioni dell’Università di Firenze nel 1961, alle quali noi del FUAN partecipammo insieme a quelli delle sinistre e ai cattolici, in allegra, goliardica “brutale amicizia” e senza la benedizione dei nostri superiori di partito – in un libretto, L’intellettuale disorganico (Aragno, 2001), dove ricordo che noialtri giovani “neofascisti” di allora tutto ci definivamo meno che “conservatori”, perchè ci ripetevamo che della società nata all’indomani della seconda guerra mondiale non c’era in realtà un bel niente da conservare. Semmai, eravamo e ci dicevamo tradizionalisti: e ci piacevano tutti i guastatori, i terroristi intellettuali, gli sfasciacarrozze dei luoghi comuni.
    Era, la nostra, l’ondata di metà Anni Sessanta d’un fenomeno sociogenerazionale che affliggeva la Fiamma Tricolore (quella di allora) fin dalla fondazione. Un partito largamente fatto di giovani (non tutti studenti: c’erano molti più operai e artigiani di quanto ordinariamente si tenda a credere) che però, arrivati nella fase dell’inserimento nella società e/o dell’allargamento di orizzonti e interessi, si accorgevano che non poteva non andar loro stretto un movimento che si diceva rivoluzionario e che di fatto ai suoi vertici faceva una politica conservatore, per giunta cronicamente affetto da quella schizofrenia che aveva forse ereditato dalla mai risolta dicotomia Fascismo-Regime versus Fascismo-Movimento e non meno cronicamente impestato da un verticismo che rendeva impossibile qualunque seria dialettica interna e da un “rassismo” (nel senso che v’imperava un’oligarchia di ras locali, agganciati alle loro poltrone parlamentari e sostanzialmente ben decisi a sfruttare la riserva di voti costituita dal nostalgismo neofascista senza perdersi in quel che a noi pareva l’essenziale e indispensabile rinnovamento e a loro culturame velleitario). Mentirei slealmente – e non è mio costume – se non sottolineassi altresì che in queste periodiche emorragie di giovani molto contava anche l’isolamento del MSI, il fatto ch’esso era segnato a dito e che, a parte gli “amministratori del ghetto” che sedevano in Parlamento, ben poche possibilità non dico di carriera e d’affermazione, ma anche di semplice modesto inserimento nella vita civile si prospettavano per un giovane che si fosse distinto come “nero”. Ma, detto questo, debbo altrettanto lealmente aggiungere che tale problema non era affatto né il principale, né il definitivo. Chi voglia vederci più chiaro, vada oggi, oltre quarant’anni dopo, a rileggersi quel documento scritto da una ventina di ragazzi (ma firmato solo da sei di loro: gli altri avrebbero in vario modo preso altre strade) che “facevano gruppo” sul serio, e tanto profondamente da farlo ancora, quanto meno (ma non solo, almeno alcuni) come amici fraterni. Lo troverà spiattellato alle pagine 15-24 del mio libro Scheletri nell’armadio (Akropolis/La Roccia di Erec, 1995), più di trecento pagine di Mémoires d’Outretombe e di Amarcord che ogni tanto qualcuno mi dice aver “fatto epoca” nella cultura e nella coscienza (sic) di molti ex membri del MSI e di molti dirigenti non solo giovanili di Alleanza Nazionale: mentre dal canto mio lo trovo sempre più una malinconica rassegna di promesse non mantenute, di prospettive fallite, di velleitarie buone intenzioni , di miti a modo loro “di destra” e di utopie a modo loro “di sinistra” gli uni e le altre accomunati dal fatto di esser caduti nel dimenticatoio che sempre spetta, politicamente parlando, alle proposte impolitiche/antipolitiche, non importa quanto colte, brillanti, profonde e affascinanti possano essere, se e nella misura in cui riescono a esser in qualche modo tali. Chi volesse oggi – ma servirebbe a qualcosa? – immergersi in quel lontano universo, se non altro per ricostruire la sostanza delle ombre e delle scie ch’esso ha lasciato dentro di lui, dovrebbe leggersi altresì, appunto in Scheletri nell’armadio, il successivo documento, pateticamente ciclostilato in proprio in un monolocale del fiorentino Borgo Pinti due anni dopo, appunto – guarda caso – nel fatidico Annus Mirabilis, o Annus Terribilis, o Annus Fatalis, o Annus Inanis 1968. Un documento significativamente redatto dal nostro nucleo di “Giovane Europa”, l’organizzazione di Jean Thiriart, e non meno significativamente intitolato Per un socialismo europeo. Si può essere più inattuali?, si chiederanno a questo punto i residui cinque dei miei venticinque iniziali lettori. Evidentemente sì, sarei tentato di rispondere: certo, comunque, sarebbe difficile. Eravamo Pessimi Profeti: continuavamo a cantare nelle nostre riunioni conviviali, dodici anni dopo l’altro Annus Mirabilis 1956 (l’anno di quella che noialtri chiamavamo, poveri illusi, la “Rivoluzione Ungherese”) che avremmo marciato coi morti di Buda e che le tombe di Pest avrebbero avuto fiori. Il nostro Maestro spirituale era Attilio Mordini, non a caso morto in un altro Annus Terribilis, il 1966, quello dell’alluvione di Firenze che per il nostro gruppo era stato davvero un evento spaventosamente epocale, che aveva chiuso un’era. Ci andavamo ripetendo, con uno dei nostri prediletti Maîtres-à-penser, Pierre Drieu La Rochelle, che il nostro sogno era lo stesso che per un anno era balenato tra le due folle contrapposte eppur misteriosamente “sorelle” del febbraio 1934, a Parigi, quando ex-combattenti, studenti e operai avevano manifestato dando l’impressione di voler marciar divisi e magari contrapposti per colpire però uniti, colpire al cuore la marcia società borghese del danaro e del profitto, degli interessi e della vita comoda. Mi commuove ancor oggi, a distanza di oltre settant’anni, quel passo nel quale Drieu dice che a un certo punto i due cortei, mai davvero scontratisi e mai davvero fusi insieme ma che avrebbero potuto a ogni istante far l’una e l’altra cosa, avevano preso a cantar alternativamente la Marsigliese e l’Internazionale. Era stato un lungo magico istante: e, rifletteva Drieu, “avrei voluto che quell’istante non passasse mai”. L’utopia delle due Grandi Rivoluzioni del Novecento fuse insieme, del Sangue contro l’Oro, della vera Giustizia contro l’ipocrisia della “Libertà” parlamentare e democratica, quest’ibrido scaturito dall’osceno connubio del 1688 inglese con il 1789 francese. Noialtri vandeani, nietzscheani, deunamuniani, nihilisti, nazibolscevichi. Noialtri che nella nostra povera sede di Borgo Pinti, pagata rigorosamente di tasca nostra come i volantini ciclostilati e le bandiere rosse celtocrociate fatte in casa dalle nostre ragazze, ostentavamo le foto di José Antonio, di Ho Chi Min e di Che Guevara uniti nella lotta e sognavamo l’Europa da Brest a Bucarest (ma qualcuno di noi avrebbe voluto arrivare addirittura a Tbilisi e a Kiev, se non proprio a Mosca), scudo e spada di tutti i poveri del mondo contro l’arroganza del Potere e del Danaro, ponte sospeso e porta aperta tra Oriente e Occidente, schmittiano Behemoth territoriale, comunitario giustizialista e tradizionalista contro il Leviathan occidentale, quello del connubio tetta-oceano e della ferocia colonialista non meno che dell’arroganza capitalista. Noialtri sognatori del “Fascismo immenso e rosso” quello delle “cattedrali di luce” descritto da Robert Brasillach e, per l’Italia, ben delineato storicamente nei bei libri di Paolo Buchignani, Un fascismo impossibile del 1994, Fascisti rossi del 1998, La rivoluzione in camicia nera del 2006. Noialtri che rispondevamo polemicamente “Di destra sarà lei!” a chi ci ricordava, in alcuni dibattiti concitati con alcuni amici che volevano ricondurci all’ovile o almeno cercar di comprendere dove volevamo andare, quella che a suo dire era la nostra Casa Comune. Ma perché poi ricordo tutto questo? Filippo Rossi e Luciano Lanna l’hanno perfettamente descritto in un libro che ha davvero, a modo suo, “fatto epoca”, Fascisti immaginari edito dalla Vallecchi nel 2003 in una collana non a caso denominata “Fuori Luogo” (e quanto!) e che rispecchiava con autobiografica impietosità l’immagine dell’allora Patron vallecchiano, Umberto Croppi, un nome che a modo suo è una garanzia e che può essere, a scelta, una promessa o una minaccia.
    E l’aver ricordato il sempre amico fraterno Umberto dovrebbe trasportarmi all’estremo opposto del mio/nostro “Ottantotto Immaginario”, se vogliamo definirlo in termini lannarossiani; o “Sessantotto Impossibile”, à la manière del Buchignani. Un Sessantotto che per noi partiva da Thiriart per arrivare a De Benoist ; e che fece di noialtri quattro gatti randagi, che a metà Anni Sessanta – all’epoca dello “strappo” - eravamo più o meno ventenni e che oggi veleggiamo verso la settantina (qualcuno li ha già superati) uno sgangherato eppur indiscutibile preludio (non oso dir modello) per quelli ben più raffinati che vennero dopo, quelli che la ventina d’anni l’avevano più o meno dieci anni dopo e che oggi veleggiano verso la sessantina. Sempre di Valli, in fondo, si tratta: Da Valle Giulia, mitico approdo cimmerio nel quale ci eravamo paradossalmente trovati contro sia Almirante, sia Pasolini, anch’essi marcianti divisi per colpire uniti e perversamente insieme, e per colpir proprio e si sarebbe detto soprattutto noi i (e dire che a modo nostro li amavamo nonostante tutto entrambi) a Cison di Valmarino, sede di un ormai mitico e mitizzato convegno della “Nuova destra” poi divenuta officina di Nuove Sintesi. Cison, tolkieniana Ultima Dimora Accogliente, brumosa valle di vino veneto fresco e dorato dove un Cardini che ci si trovò subito benissimo e un Accame alquanto spaesato e che purtuttavia stava al gioco incontrarono i Tarchi, i Solinas, le Centanni e tutti gli altri indimenticabili della mitica combriccola della “Voce della Fogna” e seguenti follìe: oggi ormai in allegra, semiseria o susssiegosa Diaspora, diventati chiarissimi docenti universitari o stimati opinionisti, qualcuno rientrato da qualche finestra (scavalcandola: ma dalla porta di servizio, questo mai!) in una Casa Comune che nel frattempo si è ridipinta e riagghindata, ch’è diventata occidentalista, liberal-liberista e conservatrice ma che di quando in quando sembra se non altro cercar di salvar il salvabile del vecchio comunitarismo. Il resto, è cortesia e magari inspiegabile simpatia e/o stima reciproca. Perchè Gianfranco Fini non si arrabbia, quando io mostro di trattarlo da “vecchio amico”? E perchè sta al gioco, e magari rilancia? Eppure lo sa, che quando lui sognava i Berretti Verdi io stavo con i Vietcong... Ma in fondo, la politica senza l’oscura tentazione dell’antipolitica diventa Ragioneria del Possibile, completo di buon taglio e cravatta in tinta senz’anima. Sarà per questo.
    Sì, sarà per questo: ma senza dimenticare tutto il resto. Oggi , io e il resto della mia banda ci sentiamo rimescolar dentro di rabbia quando passiamo davanti ai manifesti dei giovani di AN che inneggiano ai “Trecento”, quelli di Sparta e quelli dell’ignobile fumettone: loro, gente dell’Occidente contro Oriente, contro di noi, che alle Termopili e a Salamina saremmo stati orgogliosi di servire il Gran Re e che, sulla scia di Alessandro, degli Scipioni, di Mario e di Cesare (e magari di Diocleziano) abbiamo sognato la Sacra e Universale Monarchia nella quale Oriente e Occidente, Atene e Alessandria, Roma e Gerusalemme s’incontrano e si fondono. Noi antimoderni fieri di esserlo, alla ricerca inquieta d’un’identità europea plausibilmente definibile, e loro, gente dell’Occidente e della sicurezza. Noi che amiamo i Rom e difendiamo il diritto dei musulmani ad aver moschee in Europa e loro che fanno causa comune con le Fallaci e i Magdi Allam. Noi che piangiamo di commozione sulla crociata che ha permesso a re Riccardo d’incontrare il Saladino e a Francesco d’Assisi di colloquiar fraternamente col sultano e loro intestarditi nella gloriuzza di Lepanto, battaglia vinta all’interno d’una guerra perduta per la quale né il sacro Romano Imperatore né il Cristianissimo Re di Francia avevano dato né un soldo, né un soldato. Noi che ci doliamo di non poter cantare a squarciagola le parole dell’Inno Europeo, perché quelle vecchie dell’Ode a Schiller sulla musica della Nona di Beethoven non sono adatte e perché la proposta di Adolfo Morganti, di dotare quelle splendide note di parole nuove – come la Costituente di Francoforte fece nel 1848 con l’Inno Imperiale di Haydn -, e loro che stonano il già orribile Inno di Mameli , per giunta berciando lo sgangherato “Va’ fuori d’Italia, va’ fuori stranier” davanti alle baraccopoli dei poveri extracomunitari vittime del neocolonialismo globalizzatore e non, come dovrebbero, dinanzi ai cancelli delle Basi militari americane (ve lo ricordate il Cermis, o custodi della dignità della Patria?) o di quelle degli ascari della NATO, vere “peregrine spade” che ci minacciano fingendo di difenderci, autentico Stranier che armato accàmpasi sul nostro Suol, come diceva il vecchio Carducci. Loro che hanno rispolverato gli stracci penduli del cosiddetto Risorgimento, antica questione che a nostro avviso brillantemente avrebbe potuto esser risolta da un più oculato e sistematico uso dei Fucilieri Imperiali di Boemia (e, perdinci, viva Radetzki e viva Metternich, e “a morte i sciuri e viva i povaritt”, come dicevano i contadini lombardi nel 1848). Loro che celebrano Porta Pia e noi che quelli del Cadorna li abbiamo sempre chiamati “la Banda del Buco” (la “Breccia”, ovviamente). Loro che si commuovono dinanzi all’Altare della Patria e noi che lo abbiamo sempre considerato una blasfema “macchina da scrivere” alla quale alcuni sconsiderati massoni sacrificarono il magnifico chiostro del convento dell’Ara Coeli. Loro che osannano le agressioni all’Afghaniustan e all’Iraq e noi che ci sommoviamo quando sentiamo cantare l’ “Aprendimos a quererte”, il llanto per la morte del comandante Che Guevara. Noi che a suo tempo abbiamo sognato la Terza Forza, con Perón e con Nasser e perfino con Tito, e loro che sono sempre stati col “Mondo Libero”, quel felice paradiso nel quale se non hai la carta di credito non ti fanno entrar in ospedale (gloria eterna a Michael Moore!). Noi che oggi guardiamo a Chomsky e loro che si baloccano con i neoconservatori americani. Che cosa c’entriamo noi con loro, e che cosa c’entrano loro con noi?
    Eppure. “...Eppure, professore, ho imparato tanto dai suoi libri”, mi ha detto qualche giorno fa, al termine d’un dibattito infocato e selvaggio sulla politica dell’orribile mister Bush, un mesto giovane studente di AN. “Non si direbbe”, gli ho risposto sprezzante. Perdonami, amico mio. All’affetto infinito, magari tinto di delusione, delle tue parole, ho replicato con il fegatoso acidume d’un vecchio professore. Poi me ne sono pentito e vergognato: come uno dei miei eroi preferiti, il vecchio professor Isak Borg de Il posto delle fragole di Ingmar Bergman, un altro dei nostri autori-cult. Se è vero che, come tendo a pensare, tu non hai imparato nulla o quasi da quel che ho scritto negli ultimi quarant’anni, la colpa è al 90% mia; se invece, com’è probabile, invece ci hai imparato davvero qualcosa, o perlomeno ci hai riconosciuto un’affinità profonda e insondabile, che magari non riesci per il momento a tradurre in termini cartesianamente chiari e distinti, non disperare. Non disperiamo. Non so se davvero il Domani appartenga a noi, come cantavamo nel 1981 a Cison di Valmarino e come mi risulta che talvolta cantiate anche voi (quando non vi sentono i leaders della CdL impegnati nel futuro Partito Unico del Centrodestra, quello che avrà se non altro il merito di far passare noialtri cattofascioanarcosauri definitivamente a sinistra). Quel che so, se non altro dal mio mestiere d’insegnante di storia, è che vi sono due avverbi che la storia decisamente rifiuta, perchè appartengono per loro natura alla metafisica. Il Sempre e il Mai. Nel nostro passato, in realtà, non c’è mai stata una Valle Giulia: non, perlomeno, quella che sognavamo noi. Magari, ce n’è una nel vostro futuro.

  2. #2
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    Citazione Originariamente Scritto da Sabotaggio Visualizza Messaggio
    Eppure. “...Eppure, professore, ho imparato tanto dai suoi libri”, mi ha detto qualche giorno fa, al termine d’un dibattito infocato e selvaggio sulla politica dell’orribile mister Bush, un mesto giovane studente di AN. “Non si direbbe”, gli ho risposto sprezzante.
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  3. #3
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    Con tutto il profondo rispetto che provo per il Cardini storico ma:

    Citazione Originariamente Scritto da Sabotaggio Visualizza Messaggio
    Sì, sarà per questo: ma senza dimenticare tutto il resto. Oggi , io e il resto della mia banda ci sentiamo rimescolar dentro di rabbia quando passiamo davanti ai manifesti dei giovani di AN che inneggiano ai “Trecento”, quelli di Sparta e quelli dell’ignobile fumettone: loro, gente dell’Occidente contro Oriente, contro di noi, che alle Termopili e a Salamina saremmo stati orgogliosi di servire il Gran Re e che, sulla scia di Alessandro, degli Scipioni, di Mario e di Cesare (e magari di Diocleziano) abbiamo sognato la Sacra e Universale Monarchia nella quale Oriente e Occidente, Atene e Alessandria, Roma e Gerusalemme s’incontrano e si fondono. Noi antimoderni fieri di esserlo, alla ricerca inquieta d’un’identità europea plausibilmente definibile, e loro, gente dell’Occidente e della sicurezza. Noi che amiamo i Rom e difendiamo il diritto dei musulmani ad aver moschee in Europa e loro che fanno causa comune con le Fallaci e i Magdi Allam. Noi che piangiamo di commozione sulla crociata che ha permesso a re Riccardo d’incontrare il Saladino e a Francesco d’Assisi di colloquiar fraternamente col sultano e loro intestarditi nella gloriuzza di Lepanto, battaglia vinta all’interno d’una guerra perduta per la quale né il sacro Romano Imperatore né il Cristianissimo Re di Francia avevano dato né un soldo, né un soldato. Noi che ci doliamo di non poter cantare a squarciagola le parole dell’Inno Europeo, perché quelle vecchie dell’Ode a Schiller sulla musica della Nona di Beethoven non sono adatte e perché la proposta di Adolfo Morganti, di dotare quelle splendide note di parole nuove – come la Costituente di Francoforte fece nel 1848 con l’Inno Imperiale di Haydn -, e loro che stonano il già orribile Inno di Mameli , per giunta berciando lo sgangherato “Va’ fuori d’Italia, va’ fuori stranier” davanti alle baraccopoli dei poveri extracomunitari vittime del neocolonialismo globalizzatore e non, come dovrebbero, dinanzi ai cancelli delle Basi militari americane (ve lo ricordate il Cermis, o custodi della dignità della Patria?) o di quelle degli ascari della NATO, vere “peregrine spade” che ci minacciano fingendo di difenderci, autentico Stranier che armato accàmpasi sul nostro Suol, come diceva il vecchio Carducci. Loro che hanno rispolverato gli stracci penduli del cosiddetto Risorgimento, antica questione che a nostro avviso brillantemente avrebbe potuto esser risolta da un più oculato e sistematico uso dei Fucilieri Imperiali di Boemia (e, perdinci, viva Radetzki e viva Metternich, e “a morte i sciuri e viva i povaritt”, come dicevano i contadini lombardi nel 1848). Loro che celebrano Porta Pia e noi che quelli del Cadorna li abbiamo sempre chiamati “la Banda del Buco” (la “Breccia”, ovviamente). Loro che si commuovono dinanzi all’Altare della Patria e noi che lo abbiamo sempre considerato una blasfema “macchina da scrivere” alla quale alcuni sconsiderati massoni sacrificarono il magnifico chiostro del convento dell’Ara Coeli. Loro che osannano le agressioni all’Afghaniustan e all’Iraq e noi che ci sommoviamo quando sentiamo cantare l’ “Aprendimos a quererte”, il llanto per la morte del comandante Che Guevara. Noi che a suo tempo abbiamo sognato la Terza Forza, con Perón e con Nasser e perfino con Tito, e loro che sono sempre stati col “Mondo Libero”, quel felice paradiso nel quale se non hai la carta di credito non ti fanno entrar in ospedale (gloria eterna a Michael Moore!).
    Voi, la destra radical-chic, che con il suo strizzare l'occhio a sinistra, vuoi per vezzo intellettuale, vuoi per fuggire la ghettizzazione o per rimarcare le differenze rispetto alla destra americanista, vuoi per una sorta di "sudditanza psicologica" nei confronti di un pensiero di sinistra che ha permeato a tal punto la società da penetrare in ambienti che dovrebbero essergli refrattari, vuoi per un disprezzo così forte nei confronti degli USA da far annebbiare la mente ha smarrito la bussola, perdendo di vista le basi su cui poggia la nostra critica all'Occidente, profondamente diverse da quelle della sinistra, ed elabora un pastone privo di senso (per dirne una, come si fa a disprezzare Mazzini e Garibaldi e pretendere poi di coniugare De Maistre con Che Guevara?) dove vi è tutto ed il contrario di tutto in cui le radici della propria identità politica e financo etnica che si vorrebbero vengono a perdersi.

    Citazione Originariamente Scritto da Sabotaggio Visualizza Messaggio
    Noi che oggi guardiamo a Chomsky e loro che si baloccano con i neoconservatori americani. Che cosa c’entriamo noi con loro, e che cosa c’entrano loro con noi?
    Poichè in questo assai confuso "noi" vedo racchiusa non solo la destra americanista, conservatrice e liberista ma anche la Destra Radicale identitaria rispondo niente, e per fortuna.

  4. #4
    CetoMedio
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    Un po' confuso.
    Da Cardini mi sarei atteso di più.

  5. #5
    alfredoibba
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    Le parole del Cardini sono parole sante.

  6. #6
    Avanguardia
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    1934, a Parigi, quando ex-combattenti, studenti e operai avevano manifestato dando l’impressione di voler marciar divisi e magari contrapposti per colpire però uniti, colpire al cuore la marcia società borghese del danaro e del profitto, degli interessi e della vita comoda. Mi commuove ancor oggi, a distanza di oltre settant’anni, quel passo nel quale Drieu dice che a un certo punto i due cortei, mai davvero scontratisi e mai davvero fusi insieme ma che avrebbero potuto a ogni istante far l’una e l’altra cosa, avevano preso a cantar alternativamente la Marsigliese e l’Internazionale. Era stato un lungo magico istante: e, rifletteva Drieu, “avrei voluto che quell’istante non passasse mai”. L’utopia delle due Grandi Rivoluzioni del Novecento fuse insieme, del Sangue contro l’Oro, della vera Giustizia contro l’ipocrisia della “Libertà” parlamentare e democratica, quest’ibrido scaturito dall’osceno connubio del 1688 inglese con il 1789 francese
    Sintesi di Popolo

  7. #7
    davidege
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    Citazione Originariamente Scritto da Gemini Visualizza Messaggio
    Con tutto il profondo rispetto che provo per il Cardini storico ma:
    Voi, la destra radical-chic, che con il suo strizzare l'occhio a sinistra, vuoi per vezzo intellettuale, vuoi per fuggire la ghettizzazione o per rimarcare le differenze rispetto alla destra americanista, vuoi per una sorta di "sudditanza psicologica" nei confronti di un pensiero di sinistra che ha permeato a tal punto la società da penetrare in ambienti che dovrebbero essergli refrattari, vuoi per un disprezzo così forte nei confronti degli USA da far annebbiare la mente ha smarrito la bussola, perdendo di vista le basi su cui poggia la nostra critica all'Occidente, profondamente diverse da quelle della sinistra, ed elabora un pastone privo di senso (per dirne una, come si fa a disprezzare Mazzini e Garibaldi e pretendere poi di coniugare De Maistre con Che Guevara?) dove vi è tutto ed il contrario di tutto in cui le radici della propria identità politica e financo etnica che si vorrebbero vengono a perdersi.
    straquoto.
    mi sembra che per certe persone il forum destra radical chic sarebbe più indicato rispetto a destra radicale

  8. #8
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    Citazione Originariamente Scritto da Sabotaggio Visualizza Messaggio
    e loro che stonano il già orribile Inno di Mameli , per giunta berciando lo sgangherato “Va’ fuori d’Italia, va’ fuori stranier” davanti alle baraccopoli dei poveri extracomunitari vittime del neocolonialismo globalizzatore e non, come dovrebbero, dinanzi ai cancelli delle Basi militari americane
    .

 

 

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