MOSCHEA: IL COMUNE
ASCOLTI LA CITTÀ
E GLI ISLAMICI ITALIANI
In tempi non sospetti (1 luglio 2007) il
professor Samir affermava su questo
giornale:
«Alla necessità di un luogo di culto
e preghiera rispondono meglio non una
moschea, ma piccole cappelle (musallâ) nei
quartieri, vicine alle persone, come già si fa in
molte città dei Paesi musulmani. Penso che
piccoli progetti di vicinanza a livello di
quartiere, funzionino meglio di una moschea:
vengono viste meglio
dalla gente rispetto a una grande costruzione
finanziata da una realtà esterna». La settimana
prima don Davide Righi, da parte sua,
osservava:
«L’interlocutore del Comune
apparentemente è il Centro di Cultura islamica
di Bologna, ma effettivamente è l’Ucoii
(Unione delle comunità e organizzazioni
islamiche in Italia) alla quale anche il Centro
di Cultura islamica di Bologna aderisce. Tutti
sanno le difficoltà che più volte hanno posto i
rappresentanti dell’Ucoii nella consulta islamica
voluta dal ministero degli interni. Agirà l’Ucoii
nell’interesse dei musulmani bolognesi? Agirà
nel rispetto e nella promozione dei valori
espressi nella carta della convivenza maturata
negli anni scorsi a Bologna? Suscita perplessità
il fatto che il Comune di Bologna abbia come
unico interlocutore questa associazione, il
"Centro di cultura islamica", quasi che
quest’associazione rappresenti i musulmani
bolognesi e sia in grado di interloquire con
loro».
A distanza di sei mesi, pur in presenza di un
progetto di moschea ridimensionato rispetto a
quello originale, le osservazioni di padre Samir
e di don Righi sono ancora attuali. La conferma
viene dall’intervento svolto da Yahya
Pallavicini, vice-presidente della Coreis, la
Comunità religiosa islamica italiana, dinanzi
alla commissione comunale sul tema della
costruzione della nuova moschea.
La denuncia
di Pallavicini si può così sintetizzare: l’Ucoii è
un cancro per la religione islamica , la moschea
come è stata concepita è un ghetto con il
conseguente rischio di importare in città i
problemi delle banlieues parigine, l’unica
alternativa è sospendere l’iter e pensare a piccole
moschee di quartiere sul modello delle
parrocchie. Sono parole importanti, quelle di
Pallavicini: non riducibili a una lite tra
«parrocchie» come l’ ha definita il presidente del
Quartiere San Donato.
Né è accettabile il
pensiero dell’assessore Mancuso che annuncia il
suo «tiremm innanz» non certo paragonabile,
per dignità, a quello del patriota Amatore
Sciesa. Sostiene infatti Mancuso che la scelta
dell’interlocutore è stata fatta dalla giunta
precedente (ma chi impedisce
all’amministrazione di cambiare strada come
ha fatto per altre questioni?) e che il Comune
non può negare diritti (ma quelli dei cittadini
bolognesi e dei musulmani che non si
riconoscono nell’Ucoii non esistono?). Gli
impacci dell’amministrazione comunale
confermano quanto scritto ieri da Magdi Allam
sul Corriere della Sera. Di fronte al vicolo cieco
nel quale gli amministratori sono entrati c’è
solo una possibilità di uscita. «Puntare» dice
Allam «su progetti alternativi come la
rivalorizzazione dei cinque luoghi islamici
esistenti per assicurarne l’effettiva funzione di
veicolo di spiritualità sana e di integrazione
veramente costruttiva». Condividiamo. E ci
permettiamo di suggerire una moratoria per la
moschea (una sospensione dell’iter e l’avvio di
una riflessione seria che tenga conto di tutti i
fattori in gioco). L’errore di un amministratore
non è un peccato mortale. L’insistenza pervicace
probabilmente sì.