Dal "Corriere della Sera" del 31 ottobre 2000
Viaggio al termine della letteratura. Pound e Céline come Drieu e Jünger:
le opere degli scrittori «politicamente scorretti» sono da sempre oggetto di valutazioni imbarazzate, anche se si tratta di capolavori
di Giovanni Raboni
Due episodi variamente remoti ma tuttora carichi, temo, di senso o insensatezza. Nel 1953 l’editore Guanda, benemerito diffusore in Italia, a quei tempi, della migliore poesia straniera contemporanea, pubblicò la traduzione integrale dei Canti pisani di Ezra Pound. La storia di questo capolavoro è fin troppo nota: Pound lo scrisse, appunto, a Pisa, in un campo di concentramento dove era stato rinchiuso subito dopo l’arrivo delle truppe alleate sotto accusa di alto tradimento per aver collaborato durante la guerra, lui americano, alla propaganda antiamericana del regime fascista; e Pound, nei Canti , non si smentisce né si discolpa. Non importa come la dolorosa vicenda sia finita; importa, ai fini di ciò che ho in animo di dire, che l’edizione italiana del poema uscì con una fascetta che diceva pressappoco così (cito a memoria e, dunque, con qualche rischio di inesattezza, ma sono sicuro sia del significato complessivo che dei termini essenziali): «Questo libro dimostra che anche con delle idee sbagliate si può fare della grande poesia». Secondo episodio. Nel 1981 lo stesso editore Guanda, passato nel frattempo in altre mani, pubblicò la traduzione italiana di Bagatelle per un massacro , il più famoso e famigerato dei famigeratissimi pamphlets anticomunisti, anticapitalisti, antisemiti, antitutto, scritti da Louis-Ferdinand Céline fra il 1936 e il 1941. Per essi, oltre che per una qualche (mai del tutto dimostrata) connivenza con gli occupanti tedeschi, Céline aveva subìto in Francia, finita la guerra, una dura condanna penale successivamente condonata. La comparsa del volume suscitò sulla nostra stampa reazioni molto violente. Fra le tante voci scandalizzate o addirittura orripilate (ma ce ne furono anche di intelligentemente pacate: per esempio, Piergiorgio Bellocchio su Panorama e Cesare Cases su L’Espresso ), una mi colpì in modo particolare: quella di Alberto Moravia, che in un elzeviro apparso su questo giornale si sforzò diligentemente di dimostrare che Bagatelle , oltre ad essere infame, era anche noioso e mal scritto. Se ho rievocato queste vecchie storie è perché mi sembra che esse riflettano tuttora i due modi più tipici con i quali la cultura «politicamente corretta» tende a risolvere e, se così si può dire, a sublimare il proprio imbarazzo di fronte ai Grandi Reprobi della letteratura. Sappiamo tutti, credo, di chi stiamo parlando. Due - forse i maggiori - li ho già nominati; ma Pound e Céline non sono certo i soli a trovarsi in questa scomoda e, più ancora, incomodante situazione. Basti pensare agli altri collaborazionisti effettivi o presunti, dal norvegese Knut Hamsun ai francesi Pierre Drieu La Rochelle, Robert Brasillach, Henri Montherlant, Paul Morand; o ai tedeschi indiziati di un’adesione un po’ troppo convinta (anche se ritirata, per loro e nostra fortuna, prima che fosse davvero troppo tardi) come il grande Ernst Jünger e il grandissimo Gottfried Benn. Tutti, come si vede, ufficialmente «di destra»; e della più raccapricciante sin qui esistita. Ma chi si sente di escludere che un analogo imbarazzo possano suscitare un giorno o l’altro, se già un po’ non lo stanno suscitando, Sartre o Aragon, Eluard o Neruda? Il comune senso della correttezza politica è più mutevole (o, per adattare un termine alla moda, «revisionabile») di quello del pudore. Ma torniamo ai due espedienti con i quali, negli scorsi decenni, si è generalmente cercato di liquidare il problema. Il primo consiste nel negare qualsiasi nesso tra il valore dell’opera e le idee dell’autore: in parole povere, Pound è stato un grande poeta, ma in fatto di politica, di economia, di storia ecc. non capiva nulla, era un irresponsabile, forse un folle; non bisogna badare a quel che dice, ma solo a come lo dice. Il secondo è, in un certo senso, ancora più sbrigativo: se uno scrittore pensa male deve essere per forza - almeno lì dove, o da quando, pensa male - un cattivo scrittore. Ergo: Céline, dopo aver scritto due capolavori come Viaggio al termine della notte e Morte a credito , è improvvisamente finito, e tutti i suoi libri successivi sono, oltre che da non leggere, illeggibili. Diverse, anzi opposte, le due posizioni hanno tuttavia qualcosa in comune: sono entrambe di matrice idealistica e sono entrambe, secondo me, radicalmente sbagliate. Una grande poesia, un grande romanzo, un grande dramma, insomma un grande testo letterario che non contenga, oltre e dentro la bellezza della scrittura, anche un nucleo di grandezza etica, un principio attivo di verità, è - a mio avviso - una contraddizione in termini; semplicemente, «non si dà». Ma bisogna, quella grandezza etica, quella verità, saperle trovare; e niente è più improprio che cercarle soltanto in quella che San Paolo chiamava la lettera (avvertendo, come nessuno dovrebbe ignorare, che «littera occidit, spiritus autem vivificat») e Roland Barthes il «grado zero» della scrittura. Le idee di uno scrittore contano, e come; solo che si nascondono - e, insieme, si rivelano - nelle sue metafore, nelle sue iperboli, nelle sue immagini, nello spessore materiale della sua voce. E allora? Allora rileggiamoli, i Grandi Reprobi di oggi e di domani; rileggiamoli badando non solo a ciò che dicono, né solo a come lo dicono, ma al continuo riversarsi e convertirsi dell’una cosa nell’altra, alla dialettica che essenzialmente e inesauribilmente si instaura tra forma e contenuto o, meglio, tra forma del contenuto e contenuto della forma, insomma all’infinita circolazione del senso in ogni fibra visibile e invisibile dell’indivisibile realtà testuale. E a quel punto, solo a quel punto, scopriremo forse che se il muro di Berlino, per la letteratura, non è ancora caduto è perché per la letteratura, forse, non è mai esistito.
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L'opera di Céline in brevi schede bibliografiche (partendo dalle edizioni di difficile reperibilità), estratti, notizie e interviste:
http://lf-celine.blogspot.com
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Louis Ferdinand Céline Bagatelle per un massacro Corbaccio, Milano, 1938, Prima edizione italiana. Raro. Traduzione Alex Alexis. Brossura, f.to 13x19, pag. 336.
La traduzione più accurata è quella di Pontiggia del Bagatelle edito da Guanda nel 1981, edizione ritirata dal mercato.
Potete scaricare il Bagatelle in .pdf qui (note bibliografiche iniziali errate, ma testo corretto):
http://www.aaargh.com.mx/fran/livres7/LFCBagcro.pdf
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Traduzione italiana non autorizzata del L'école des Cadavres di Céline, edita nella "Collana del nibbio bianco", Edizioni Soleil, S. Lucia di Piave, 1997. 179 pag.
I pamphlet antisemiti di Céline non possono essere ripubblicati, nè in francese nè in altre lingue, per volontà della moglie di Céline. Scaricabile in .pdf qui:
http://www.vho.org/aaargh/fran/livres7/LFCscuola.pdf
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Louis Ferdinand Céline. Introduzione a cura di Andrea Lombardi Contro Sartre A' l'agite du bocal. Seguito dalle lettere di Céline al "Je suis partout"
e dallo scritto Viva l'amnistia, Signore! Edizioni Effepi, 50 pagine 10 euro
http://www.gisy.it/page.php?section=...e#controsartre
La pirotecnica reazione di Céline alla infamante - e falsa - accusa rivoltagli da Sartre, va collocata, per essere compresa a fondo, nel contesto storico delle epurazioni dei "collaborazionisti" in Francia nel 1944-1949. Circa 40.000 francesi, che a vario titolo avevano avuto rapporti con lo Stato di Vichy o con l'amministrazione tedesca, svolgendo funzioni burocratiche e intellettuali, oppure avevano militato in raggruppamenti politici o in unità militari, paramilitari o di polizia, furono condannati a pene detentive e privati dei diritti civili. Furono inoltre eseguite ben 7.037 condanne a morte, che colpirono anche intellettuali considerati rei di intelligenza con il nemico, Come Robert Brasillach, Jean Luchaire e molti altri, mentre 10.000 francesi caddero vittime di esecuzioni sommarie. Ancora nel 1952, 2.400 francesi si trovavano in prigione con l'accusa di collaborazionismo. (...) Nelle lettere dirette da Louis Ferdinand Céline alla stampa, alcune delle quali, apparse nel Je suis partout, sono riprodotte in questo libro, non troviamo le prezzolate considerazioni di un Céline al soldo dell' "occupante nazista" denunciate da Sartre, ma semmai alcuni degli argomenti da Céline esplicitati con grande passione, più che violenza, nei suoi phamphlet: la decadenza della Francia, e più in generale dell'uomo, incantato dalle false promesse del comunismo, dal capitalismo e dagli ebrei, che hanno posizioni di predominio in ambo questi sistemi economico-politici, la denuncia di come l'uomo moderno della civiltà dei diritti, preso dal suo egocentrismo, dimentichi i suoi doveri ed i valori della propria terra, la denuncia dei politici francesi che hanno portato la Francia alla degenerazione e quindi alla sconfitta del maggio 1940. Idee decisamente scomode, quelle di Louis-Ferdinand Destouches, idee che, lungi dal fruttargli utili, gli hanno semmai comportato quei guai che egli, come il suo alter ego Bardamu del Voyage au bout de la nuit , nel corso della sua esistenza, pervicacemente, ostinatamente, ha sempre cercato, perchè per Céline/Bardamu: "E' forse questo che si cerca nella vita, nient'altro che questo, la più gran pena possibile per diventare se stessi prima di morire".
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