Ancora non mi spiego come, dopo quella di de Benoist, l'intervista a Tarchi possa finire sul blog ripensaremarx, quando La Grassa ormai ripete senza sosta di non voler più perdere tempo con chi non condivide la sua impostazione.
Io ho il sentimento che quel che voleva (vuole?) fare Tarchi altro non era che una specia di "caisse de résonance" della Nouvelle Droite francese. Il problema è che in Italia l'area di partenza - che è, piace o meno, la cosidetta "estrema destra" - è già colma da cima in fondo, con tra l'altro evoliani, neo-fascisti e cattolici arrabiati. Questo lascia pochi spazi a chi vuole "provarla nuova".
Cosi Tarchi si è trovato quasi solo, a contare con gli anni quelli che gli voltavano le spalle per posti più in vista nel establishment intelletuale. La sua rivista è un lungo lamento nel quale egli scopre ogni mese la stessa verità, cioè che purtroppo le categorie di ieri non sono cambiate. Ma nel contempo c'è anche una sottile auto-sodisfazione, che è quella di aver ragione prima e contro di tutti.
Tarchi è uscito dal ghetto materiale dei tempi della sua gioventù, ma per entrare in un altro, ben più raffinato e chic. E allora a questo punto le idee contano meno dello stile, e lo stile è quello del pensatore amaro che coltiva in una confidenziale rivista un disprezzo infinito.