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Discussione: Luigi Einaudi

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    Li dove ho inalzato mura solide a difesa dell'agressore Socialista. Li dove la strada ha il mio nome. Li dove ho costruito una torre bene armata in difesa della Libertà. Li dove sono Sovrano e i messi dello Stato non sono i benvenuti.
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    Cool Luigi Einaudi

    Luigi Einaudi
    Nasce il 24 marzo 1974 a Carrù (Cuneo). Nel 1891 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino, dove instaura un forte legame con Giuseppe Prato e Gioele Solari, e dove segue con particolare attenzione i corsi di colui che sarà il suo maestro, Salvatore Cognetti De Martiis, ordinario di economia politica, al cui laboratorio Einaudi incontrerà Pasquale Jannacone, Eugenio Masè-Dari, e Luigi Albertini, futuro direttore del Corriere della Sera. Nel luglio del 1895 si laurea con una tesi su "La Crisi Agraria nell’Inghilterra", pubblicata, pochi mesi dopo, sul "Giornale degli Economisti". Nel 1899 incontra Benedetto Croce, con cui stringe un forte rapporto di amicizia, mentre dalle divergenze fra i due nascerà una polemica, il cui contenuto darà spunto alla raccolta di scritti intitolata "Liberismo e Liberalismo", pubblicata nel 1957. In seguito alla caduta del fascismo, con l’arrivo dei tedeschi, nel 1943 è costretto a rifugiarsi in Svizzera, e lì, nel 1944 terrà una serie di corsi universitari, la cui raccolta darà vita a "Lezioni di Politica sociale", pubblicato nel 1949. Il 25 gennaio 1945 è nominato Governatore della Banca d’Italia, mentre nel settembre dello stesso anno entra a far parte della consulta nazionale. Il 2 giugno 1946 viene eletto membro dell’assemblea costituente quale candidato liberale nel I e II collegio del Piemonte, e il 31 maggio dell’anno seguente diviene vice-presidente del consiglio dei ministri e ministro del bilancio nel IV gabinetto De Gasperi. L’11 maggio 1948 è eletto Presidente della Repubblica, e quattro giorni dopo, presidente onorario della ricostituita Accademia nazionale dei Lincei. Nel 1955, scaduto il settennato presidenziale, è nominato Senatore a vita e una legge speciale lo reintegra a vita nell’ufficio di professore universitario. Nel 1956 esce "Lo Scrittoio del Presidente – 1948-1955",e inizia la pubblicazione a fascicoli de "Le Prediche Inutili". Il 30 ottobre 1961 muore a Roma e, dopo i funerali di Stato, la sua salma è tumulata nel cimitero di Dogliani.
    Einaudi è stato il più eminente liberale italiano di questo secolo. La sua concezione del liberalismo fu l’opposto di quella di Hegel, accolta dai vecchi liberali italiani, che vedeva lo Stato come sintesi degli opposti e supremo conciliatore dei conflitti che nascono dalla società civile. Einaudi, sulla falsa riga di Herbert Spencer, riteneva che lo stato dovesse governare il meno possibile, intervenendo solo quando fosse strettamente necessario, e lasciando che la società civile (che Hegel aveva ribattezzato "La bestia selvaggia"), risolvesse i propri conflitti tra le sue parti componenti e con il minino di imposizione dall’alto.
    Le sue convinzioni in materia economica, e la sua avversione alle teorie politiche ed economiche socialiste vennero testimoniate, nel 1911, in una lettera a Benvenuto Griziotti, in cui scrisse: "Io ho nel mio studio, in uno scaffale, i classici dell’economia politica e quando li guardo mi sembra davvero di doverli guardare con la reverenza che si deve entrando in un santuario. Mentre, invece, gli scritti dei socialisti io li ho cacciati al pianterreno, in un’altra libreria, per non averli davanti agli occhi ad ogni momento, tanta è l’irritazione e il disgusto che la maggior parte delle volte mi danno nell’aprirli".
    Secondo Einaudi, la libertà degli individui, è la libertà dall’ingerenza dello Stato, e le libertà politiche sono pie illusioni senza la libertà economica, di cui l’economia di mercato è la realizzazione, e la polemica succitata con Benedetto Croce ha il suo nucleo nel fatto che Einaudi vedeva liberalismo e liberismo come fenomeni, sì diversi, ma inscindibili, ossia, che non si poteva avere il primo senza accettare il secondo. Croce vedeva la libertà come un principio assoluto che assorbe in sé tutta quanta la realtà e che esprime i valori spirituali superiori, ed è contrapposto ad ogni forma di utilitarismo pratico e ideologico. Con ciò, Croce non rigettava a priori nessun esperimento di vita economica e sociale e non esprimeva in astratto alcuna preferenza per un sistema economico fondato sull’iniziativa privata, piuttosto che per un’economia controllata o persino per il comunismo.
    Einaudi, invece, riteneva che se alla radice dell’azione degli uomini c’è la libertà morale, non è possibile che essi creino dei istituti economici che, come il comunismo, li riducano alle condizioni di servi. Inoltre, Einaudi distingueva fra la libertà del santo, dell’eroe e dell’anacoreta (liberi anche se incarcerati) e la libertà dell’uomo comune; la prima è possibile anche sotto un tiranno, la seconda no, in quanto l’uomo della strada identifica la libertà con uno stato di cose in cui non esiste il tiranno, il miglior argine contro il quale è un numeroso e prospero ceto medio, mentre lo favoriscono i regimi con pochi ricchissimi e una moltitudine di nullatenenti. E dal punto di vista politico, egli riteneva inscindibile il connubio tra liberalismo e democrazia, poichè "Il merito dei governi democratici rispetto a quelli autoritari sta nella possibilità di procedere secondo tentativi. Il tiranno non ha dubbi e porta il paese al disastro."
    Riguardo al monopolio, Einaudi riconduceva le cause della sua formazione per lo più alle leggi dello Stato, come nel caso dei dazi doganali, dei contingentamenti, delle proibizioni delle importazioni, o dei divieti di stabilire nuove fabbriche. Solo in pochi casi Einaudi riteneva che il monopolio derivasse da cause quasi tecniche, come nel caso dei monopoli naturali (tranvie cittadine, acqua potabile, gas, luce elettrica…), e in tal caso lo Stato è chiamato a regolare il monopolio con tariffe massime o con la propria gestione diretta, facendosi rimborsare il puro costo, purchè "non ci pigli troppo gusto".
    Contrariamente all’idea, comunemente diffusa, che il prezzo di mercato sia "fatto" da chi vende, da chi produce e da chi porta la roba sul mercato, Einaudi, da buon economista, sapeva che i prezzi non sono arbitrariamente stabiliti dai produttori, i quali desiderano vendere al prezzo più alto possibile, ma di desideri, si sa, è lastricata la via dell’inferno. Se il produttore "potesse prendere per il collo i compratori e costringerli a comprare quanta merce egli vuole al prezzo da lui fissato, la sua prepotenza non avrebbe limiti. Fortunatamente per essi, i consumatori hanno una via di scampo: piantarlo in asso, lui e la sua merce o, se non piantarlo, ridurre le compere, o ricorrere ai surrogati."
    Allo stesso modo, per quanto riguarda la domanda effettiva, Einaudi sosteneva che i desideri non sono domanda, e che "il mercato è un meccanismo perfettamente adatto alla domanda , ma non si occupa dei desideri". Il mercato è sì un "meccanismo meraviglioso" atto ad indirizzare la produzione verso i beni e i servizi desiderati dagli uomini e a farveli giungere nelle quantità e qualità opportune, ma a condizione che per desideri e bisogni non si intendano quelli che sono o sarebbero ritenuti tali dagli uomini, ma solo quelli che possono trasformarsi in una domanda effettiva, sostenuta dal reddito a disposizione al potenziale consumatore.
    Altro argomento assai caro a Einaudi fu quello della scuola libera. Egli distingueva tra due ordinamenti: quello franco-italiano (o napoleonico) e quello anglosassone. Nel primo (il nostro), lo Stato assicura la gratuità dell’insegnamento e determina i programmi di insegnamento, così che il giovane diplomato possegga le nozioni ritenute adeguate dallo stato, qualunque sia l’istituto che ha rilasciato il diploma. La maturità liceale, ad esempio, non può avere un significato diverso da provincia a provincia, da liceo a liceo, dato che uguali sono il programma, i criteri per la valutazione del profitto, e le prove, scritte e orali, a cui i giovani sono sottoposti per il conseguimento del diploma. L’uniformità diviene così il marchio di fabbrica dell’istruzione presente in tutto il territorio nazionale, con lo Stato che stabilisce, anche nell’ambito universitario, l’elenco delle discipline che costituiscono l’oggetto di apprendimento dello studente e sulle quali deve essere valutato. In tal modo, lo Stato certifica solennemente che lo studente possa essere diplomato o proclamato dottore, quando gli studi compiuti, o gli esami superati certifichino il percorso di studi avvenuto, il che provoca l’esigenza di attribuire ai diplomi scolastici e universitari quel valore legale che dia testimonianza della preparazione conseguita dallo studente. Pur non escludendo la concorrenza degli istituti privati, l’ordinamento napoleonico presuppone che essi si conformino a determinati regolamenti, da quelli di tipo logistico (attrezzatura edilizia, suppellettile scolastica, biblioteche), a quelli di tipo legale come il possesso dei medesimi titoli di insegnamento, da parte degli insegnanti, richiesti per insegnare nelle scuole di Stato. Allo stesso modo, i programmi devono essere gli stessi delle scuole statali, e il diploma richiesto per il passaggio a un grado superiore della carriera scolastica (e per la conclusione di un dato corso di studi) può essere conseguito solo a seguito di un esame detto "di Stato". Solo a queste condizioni i diplomi conseguiti negli istituti privati possono disporre del valore legale proprio dei diplomi rilasciati dagli istituti statali. Einaudi era chiaramente contrario a questo tipo di ordinamento, sia perché la scelta di presidi e direttori da parte di ministeri e provveditorati non sempre è ispirata a criteri meritocratici, sia perché non basta ordinare che gli insegnanti debbano essere forniti di adeguati titoli di insegnamento e scelti in seguito a concorso pubblico perché siano buoni insegnanti, specie quando nei concorsi le commissioni esaminatrici sono di nomina politica, il che non garantisce quasi mai l’imparzialità necessaria per un giudizio corretto. Inoltre, questo stato di cose fa sì che venga meno l’indipendenza dal potere politico e la libertà di insegnamento.
    Purtroppo, Einaudi, nonostante fosse anche un cattolico, non potè che trovare forti ostacoli in un paese le cui tradizioni sono così antitetiche a quel liberalismo che lui, assieme a pochissimi altri in Italia, coerentemente predicò e cercò di attuare. Il titolo della sua opera più conosciuta - "Prediche inutili" – è sintomatico dell’enorme difficoltà di portare avanti le idee liberali in un paese così poco avvezzo a recepirle, e in un palazzo (quello del potere) che, appena ha potuto, lo ha "promosso" da Governatore della banca d’Italia, dove riuscì a far passare (contro il parere di molti) quella politica anti-inflazionistica che sarà la fortuna dell’Italia negli anni a venire, a Presidente della Repubblica, ruolo più prestigioso, ma assai meno influente, specie se interpretato, caso unico tra tutti i presidenti della repubblica, in modo conforme alla costituzione.


    http://www.liberanimus.org/einaudi.html

  2. #2
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    Un grande uomo ed economista. Nonostante non possa dirmi completamente d'accordo con lui, credo che sia uno dei padri nobili di questo paese. Inoltre essendo torinese d'adozione ed economista per scelta Einaudi resta un modello.

 

 

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