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Discussione: pavolini

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    Predefinito pavolini

    « Chi è stato squadrista una volta, lo è per sempre. »(Alessandro Pavolini, 14 novembre1943)


    Alessandro Pavolini


    Alessandro Pavolini (Firenze, 27 settembre 1903Dongo, 28 aprile 1945) è stato un giornalista, politico e scrittore italiano, ministro della Cultura popolare e segretario del Partito fascista repubblicano. Figlio di Paolo Emilio, poeta e filologo (studioso di lingue nord orientali europee e professore di sanscrito), livornese originario dell'isola d'Elba, nacque nell'aristocratica ed antica residenza fiorentina occupata dalla famiglia in via San Gallo 57.
    Secondo i biografi, il giovane Alessandro avrebbe mostrato una precocissima attitudine al giornalismo, redigendo nel 1911, a soli otto anni, con l'aiuto del fratello Corrado, un foglio ciclostilato dal titolo "La guerra" in appoggio alla campagna di Libia. Qualche anno più tardi sarebbe stata la volta di un'analoga iniziativa volta a esaltare l'intervento italiano nella prima guerra mondiale, su un foglio dal titolo "Il Buzzegolo", così detto da un soprannome familiare del giovane Alessandro. Dal 1916 al 1920 frequentò il ginnasio ed il liceo classico presso l'istituto "Michelangelo". Si iscrisse quindi alla facoltà di Legge dell'Università di Firenze ed a quella di Scienze Sociali di Roma, mentre iniziava le prime esperienze letterarie ed alternava all'impegno culturale quello politico.
    Già nel 1920 aderì al Partito Fascista di Firenze e partecipò a varie azioni squadristiche al seguito del conte Dino Perrone Compagni. Fu allo stesso tempo amico di Carlo e Nello Rosselli [1]. Due anni dopo, mentre si stava svolgendo la marcia su Roma, si trovò nella Capitale per sostenere un esame universitario e colse l'occasione per unirsi al gruppo di fascisti proveniente da Firenze, ed essere così considerato come partecipante all'evento[2].
    Tra il 1923 e il 1924 svolse il servizio militare come sottotenente dei Bersaglieri e al congedo ottenne il grado di centurione della MVSN.
    Nel 1927, durante le vacanze estive passate a Castiglioncello, durante le quali si dedicava spesso e con discreto successo al tennis, conobbe la futura moglie, Teresa Franzi, nipote di un senatore e figlia di un affermato ingegnere milanese. La sposò nel 1929 e la coppia ebbe tre figli, Ferruccio (1930), Maria Vittoria (1931) e Vanni (1938).
    Si laureò in legge a Firenze ed in scienze sociali a Roma nel 1924. Nello stesso anno fu a capo di una sollevazione per l'espulsione di Gaetano Salvemini, docente antifascista, dall'università di Firenze. Allo scontro assistette Piero Calamandrei che in seguito ricordò:
    « Soprattutto mi restarono impressi, nei cento volti di quella canea urlante, gli occhi di Alessandro Pavolini, allora studente di legge, che capeggiava quell'impresa: egli mi guardava senza parlare con occhi così pieni di accuminato odio che quasi ne rimasi affascinato come se fossero occhi di un rettile: c'era già in quegli occhi la spietata crudeltà di colui al quale vent'anni dopo, alla vigilia della liberazione della sua città, doveva essere riservata la gloria di organizzare i franchi tiratori, incaricati di prendere a fucilate dai tetti le donne che uscivano durante l'emergenza a far provvista d'acqua. »(Piero Calamandrei [3])

    Successivamente ricoprì vari incarichi negli istituti di cultura e negli organismi giovanili fascisti (fu ad esempio addetto stampa della Legione Ferrucci). Collaborò a Battaglie fasciste, Rivoluzione fascista e a Critica fascista. Pubblicò il romanzo Giro d'Italia e compose poesie di tema crepuscolare.
    Nel maggio del 1927 fu nominato vice Federale di Firenze. Nel 1929 successe, appena ventiseienne, al marchese Luigi Ridolfi alla carica di segretario della federazione provinciale [4] del PNF di Firenze. In questo ruolo promosse la realizzazione dell'autostrada Firenze-Mare e della stazione centrale del capoluogo toscano, ed istituì il Maggio Musicale Fiorentino.
    Sempre nel 1929 fondò la rivista Il Bargello, organo della federazione e rivista letteraria. Tra il 1926 e il 1932 fece sporadici interventi su Solaria e collaborò saltuariamente a riviste letterarie.
    Eletto deputato nel 1934, collaborò con Giuseppe Bottai all'ideazione dei Littoriali della cultura e dell'arte. Dal 1934 al 1942 fu stabilmente al Corriere della sera come inviato speciale. Dal 29 ottobre 1934 al 23 novembre 1939 fu presidente della Confederazione fascista dei professionisti e artisti e membro del consiglio nazionale delle Corporazioni.
    Strinse amicizia con Galeazzo Ciano, con il quale condivideva un'idea del fascismo alquanto distante da quella propugnata da Starace, ed il piacere della bella vita. Ciano lo protesse e lo difese a più riprese, una prima volta nel 1935 quando a Mussolini giunse una segnalazione circa suoi supposti indebiti arricchimenti e stipendi da favola [5] ed in un'altra occasione, quando Mussolini espresse a Ciano dubbi sul "lealismo politico" di Pavolini
    Doris Duranti [modifica]
    Nel frattempo l'attrice Doris Duranti, diva del cinema dei "telefoni bianchi", divenne sua amante [7] e lo resterà sino all'ultimo, quando Pavolini, alla vigilia della sua tragica fine, la fece rifugiare in Svizzera.
    Iniziò a scrivere per il Corriere della sera; in un articolo si scagliò contro la stampa estera, affermando che gli stranieri fossero «lividi d'ira e d'invidia perché hanno la precisa coscienza del livello morale che passa tra i nostri giornali, araldi di un'idea, e quelli delle "grandi democrazie", asserviti alla massoneria e all'affarismo».
    Partecipò alla guerra d'Etiopia come tenente osservatore nella 15a squadriglia da bombardamento comandata da Ciano, detta "la Disperata"[8]; al contempo, vi operò quale inviato speciale del Corriere.

    "La Disperata", squadra d'azione di Firenze cui Ciano dedicò il nome della sua squadriglia di bombardieri.


    Della sua esperienza bellica Pavolini riferì nel libro di memorie di guerra Disperata, pubblicato da Vallecchi a Firenze nel 1937. Il libro ha toni analoghi a quelli di altri memoriali redatti da altri illustri reduci della conquista abissina [9] e rivela disprezzo verso il nemico, assenza di pietà nel suo sterminio ed esaltazione della bella morte, valori reputati - all'apice del fascismo - positivi e degni di essere francamente proclamati e rivendicati.
    Scrisse Pavolini nel suo Disperata, descrivendo l'assalto della squadriglia durante la ritirata etiopica seguita alla sconfitta nella battaglia dell'Amba Aradam:
    « L'aviazione concepita come cavalleria d'inseguimento. Vere e proprie cariche di velivoli si avventarono lungo le carovaniere, incalzando i fuggiaschi ai guadi, dispersero le colonne, perseguitarono i dispersi con la mitragliatrice e la carabina.[10] »(Alessandro Pavolini)

    Nella stessa operazione di persecuzione del nemico in fuga, questo venne sottoposto anche al bombardamento con 60 tonnellate di iprite, un'arma chimica il cui impiego era vietato dalla Convenzione di Ginevra: Pavolini non ne parla [11]. Poco tempo dopo, Pavolini è di nuovo all'inseguimento dei nemici sconfitti:
    « Quest'operazione finale, nelle selve, nelle forre e nelle caverne del Tembien, richiamava ancora una volta alla mente immagini di caccia grossa. Somigliò ad una gigantesca battuta.[12] »(Alessandro Pavolini)

    E ancora:
    « Infinite altre ecatombi. Ma di rado la strage si concentrò in un tempo e in uno spazio altrettanto ristretti. [...] Fulminata, una generazione giaceva sui tratturi dell'altopiano.[13] »(Alessandro Pavolini)

    Anche rime vergò, di lirismo bellico e di metro arrangiato:
    « Vita, sei nostra amica. Morte, sei nostra amante.
    Nella prima carlinga è Ciano comandante.
    A chi ci seguirà, il varco si aprirà
    Anche la geografia bombardando si rifarà »(Alessandro Pavolini)Ministro del Minculpop [modifica]
    Nel 1938 Pavolini fu tra i firmatari del Manifesto della razza in appoggio alle leggi razziali fasciste.
    Dal 31 ottobre 1939 fu ministro della Cultura Popolare, il Minculpop, in sostituzione di Alfieri, inviato a Berlino come ambasciatore. Per Montanelli, con la sua nomina "salì sul firmamento fascista una stella che avrebbe brillato di luce sanguigna durante il periodo repubblichino"[14].
    Ad ispirare la nomina di Pavolini fu il suo amico Galeazzo Ciano che già la sera del 19 ottobre 1939 aveva annotato nel suo Diario: «...Il Duce si accinge a fare ministri tutti i miei amici, Muti, Pavolini, Riccardi, Ricci...». Tutti, come lo stesso Ciano, erano originari della Toscana. Tale fu l'influenza del genero del duce percepita nel rimpasto ordinato da Mussolini (mentre la guerra europea divampava ormai da due mesi), che presso alcuni circoli il nuovo governo venne definito, seppure a mezza bocca, "il primo gabinetto Ciano".
    Tra i principali e quotidiani compiti del ministero assegnato a Pavolini v'era la redazione delle "note di servizio", le cosiddette "veline" del Minculpop che imponevano ai media italiani cosa dire e come dirlo. L'arrivo di un uomo colto come Pavolini alla guida del dicastero, tuttavia, non portò alcun miglioramento - al contrario - nello stile e nella sostanza di tale attività, tesa a sostituire interamente la propaganda ai fatti ed alle notizie.
    Già una settimana dopo l'inizio del mandato, la velina del giorno della gestione Pavolini assume toni grotteschi:
    « Nelle cronache delle partite di calcio e negli articoli sul campionato non attaccare gli arbitri; ... Assoluto divieto di abbinare altri nomi alle acclamazioni all'indirizzo del Duce »(Nota di servizio del Minculpop del 6 novembre 1939)

    Ma sono appena gli inizi. Nel febbraio del 1940 viene emessa una velina che rappresenta egregiamente il culto della personalità dedicato a Mussolini cui Pavolini non cessa di dare impulso:
    « Tenere sempre presente che tutto quanto si fa in Italia attualmente: lo sforzo produttivo del Paese, la preparazione militare, la preparazione spirituale, ecc., tutto promana dal Duce e porta la sua sigla inconfondibile »(Nota di servizio del Minculpop del 22 febbraio 1940)

    La foga con la quale la propaganda promossa sotto la supervisione di Pavolini viene prodotta (in un'Italia che vorrebbe massicciamente restare fuori dalla guerra e che solo un pugno di fascisti fanatici vuole precipitarvi, ordinando ai giornali di esprimersi in tal senso) porta anche ad infortuni linguistici che contribuiranno all'ironia che si va diffondendo in modo sotterraneo nel Paese all'indirizzo del "colto" ministro e del suo ministero, produttore di strafalcioni persino grammaticali:
    « È inutile continuamente parlare, in questa fase del conflitto, della non-belligeranza italiana: ma si può parlare invece che ci troviamo [sic!] in un periodo di intensissima preparazione, con le armi al fianco, e osserviamo con la più vigile attenzione gli avvenimenti che si svolgono intorno a noi. »(Nota di servizio del Minculpop del 15 aprile 1940)

    Con l'Italia ormai coinvolta nel conflitto mondiale la situazione, se possibile, peggiora, e le veline divengono ordini perentori, aumentando il proprio distacco dalla realtà sino a specificarlo, a volte, esse stesse in modo esplicito, come quando, nell'anniversario della Marcia su Roma, il Minculpop non esita ad emettere una nota tutt'altro che bellicosa ma alquanto surreale, destinata probabilmente a tacitare i pettegolezzi che si vanno sempre più facendo intensi circa la relazione sentimentale tra Pavolini e Doris Duranti, che per questo viene popolarmente schernita come "l'artista per (sua) eccellenza":
    « Tra i presenti alla "prima" del film "Bengasi" dare anche il ministro Pavolini (anche se non ci sarà). »(Nota di servizio del Minculpop del 28 ottobre 1942)

    Nel gennaio del 1941 fu inviato sul fronte greco, col grado di capitano, sempre al seguito di Ciano. La polizia politica registrò un'azione riservata di attacco compiuta con ardore ma senza fortuna dai due gerarchi: la "vittima" era un'attricetta di passaggio a Bari, che ne uscì indenne [15].
    Pavolini perse l'incarico di ministro a seguito di un rimpasto governativo voluto da Mussolini l'8 febbraio 1943, nel tentativo di controllare il fronte interno mentre la guerra appariva ormai perduta: i pesanti bombardamenti alleati sulle città italiane e il diluvio di feriti e di caduti che né la propaganda di Pavolini, né la censura militare riuscivano più ad occultare, avevano ormai reso chiaro a tutti ciò che da tempo era chiaro anche ad alcuni membri della Casa reale[16]. Forse consapevole del fallimento di una propaganda à la Starace [17], Mussolini secondo una interpretazione dei fatti tentò di risalire la china con un cambio di ministri nell'ambito del quale la testa più illustre a cadere fu proprio quella del ministro della Cultura popolare [18]. Pavolini fu così privato del ministero (sostituito da Polverelli) e nominato direttore del quotidiano romano Il Messaggero. Secondo altre interpretazioni, invece, il rimpasto era però dovuto al conflitto sotterraneo sulle più alte cariche dello Stato che andava aprendosi tra Casa reale e Capo del governo, e Mussolini intendeva togliere gli uomini sospetti di maggiore fedeltà alla monarchia che al fascismo dalle poltrone più delicate [19], dovendo poi a catena propagare gli avvicendamenti.
    In ogni caso, quello impostogli da Mussolini costituì obiettivamente un arretramento - seppure destinato a restare momentaneo, conservò comunque la carica di consigliere nazionale del PNF - nel prestigio di Pavolini [20] e come un allontanamento (ancora, temporaneo) dalle alte sfere della politica attiva, sebbene a Pavolini fosse stata comunque offerta una tribuna, quella di direttore di un importante quotidiano, che gli consentiva, se non altro, di tornare a coltivare la sua vecchia passione per il giornalismo.
    Continuò l'attività letteraria con la pubblicazione di memorie come Disperata (1937) e racconti o romanzi come Scomparsa d'Angela (1940).Segretario del Partito Fascista Repubblicano [modifica]« Il fanatismo divenne violenza e crudeltà anche in uomini che, come Alessandro Pavolini, avevano sensibilità e cultura »(Indro Montanelli)

    In seguito al 25 luglio 1943 e alla destituzione e all'arresto di Mussolini, Pavolini fece perdere le proprie tracce, beffando sia la folla che all'annuncio della caduta di Mussolini occupò la sede de Il Messaggero chiedendone la testa, sia la polizia di Pietro Badoglio, che invano perquisì la sua villa sulla via Flaminia, trovandola vuota (essendo moglie e figli altrove a passare le ferie estive). Pavolini si nascondeva in città, presso un amico, dopo aver appreso l'esito della seduta del Gran Consiglio nella nottata del 25 luglio direttamente dal ministro Zenone Benini, che riferì di averlo udito gridare "Mitra! Mitra! Alla macchia!" mentre si allontanava. Cinque minuti prima della mezzanotte del 27 luglio un'auto nera con le tendine abbassate fu vista varcare il cancello di Villa Wolkonsky, all'epoca sede dell'ambasciata tedesca a Roma. A bordo c'era Pavolini, venuto a cercarvi rifugio. L'indomani mattina ne uscì su un'auto diplomatica diretta allo scalo aereo di Ciampino, da dove partì su un aereo militare raggiungendo Vittorio Mussolini a Koenigsberg.



    Tra i gerarchi che si erano rifugiati in Germania a seguito del tracollo del regime, Pavolini colse l'occasione per risalire repentinamente la china e presentarsi ai nazisti come il più fedele dei fedeli al duce, intransigente continuatore degli ideali e della violenza del primo squadrismo. Ancor prima dell'armistizio dell'8 settembre, insieme a Vittorio Mussolini, sviluppò i piani politici per la restaurazione del fascismo e pronunciò comunicati radio destinati all'Italia che preannunciavano il ritorno del duce al governo: quando questi fu liberato dalla prigionia sul Gran Sasso e condotto in Germania, Pavolini fu a Monaco in prima fila tra coloro che sostennero la necessità di dare all'Italia del centro-nord un "governo provvisorio nazionale" dopo la fuga da Roma del Re e di Badoglio; un tale governo, insistette con l'esitante Mussolini, attendeva "la ratifica del suo capo naturale", ovvero Mussolini stesso 2

    Costituita la Repubblica Sociale Italiana, fu nominato segretario provvisorio del nuovo Partito Fascista Repubblicano, ed il 17 settembre era già a Roma insieme a Guido Buffarini Guidi per riaprire la sede del Partito, a palazzo Wedekind, e "reclutare", soprattutto fra i gerarchi, aderenti ed appoggi per il nuovo organismo [22].
    Il 23 settembre, dopo un burrascoso colloquio con il maresciallo Rodolfo Graziani e convintolo all'adesione al rinascente partito, Pavolini convocò gli ufficiali del Presidio Militare di Roma e, annunciato loro che il "il partito che io guido... sarà un partito totalitario", ordinò alla Divisione Piave di deporre le armi, consegnarle ai tedeschi e di mettersi in marcia verso il nord, in attesa di ulteriori ordini.
    L'aspirazione di Pavolini ad essere non solo capo politico, ma anche militare, lo portò a frequenti scontri con altri gerarchi, dai quali spesso finì per uscire vincitore: con Graziani che desiderava che il nascente esercito della neonata repubblica fascista fosse apolitico, e con l'amico Ricci, contro la cui creatura, la Guardia Nazionale Repubblicana, l'ex ministro della propaganda condusse una dura e continua lotta, sino a riuscire a contrapporgli le "sue" Brigate Nere.
    In poche settimane raccolse circa 250.000 richieste di iscrizione, giungendo a chiudere la campagna di tesseramento per il sospetto che potessero essere richieste strumentali da parte di "avventurieri ed opportunisti" [23].
    Questo dato portò al congresso costituente di Verona (nel successivo novembre)[24] raccontando: «ci siamo impadroniti dei ministeri mandando un camerata accompagnato da due, massimo da quattro giovani fascisti armati di mitra[25]».
    In realtà i due gerarchi erano nella capitale, seguendo un progetto discusso a Monaco con Mussolini, per riunire la Camera dei fasci ed il Senato per far loro dichiarare decaduta la monarchia, ma si avvidero che era eccessivamente rischioso, avendo le Camere già votato in modo apertamente antifascista[26].



    Partecipò in modo decisivo alla stesura del Manifesto di Verona, nel congresso del PFR del 14 e 15 novembre 1943; commentò a posteriori l'assise sostenendo che vi si era espresso «un ardore di fede disordinata» (ciò che Mussolini descrisse in modo più diretto come una «bolgia vera e propria»[27] «con molte chiacchiere confuse e poche idee chiare»[28]).
    Pavolini aveva aperto la riunione paventando il pericolo costituito dai partigiani e questo s'era - o almeno così apparve - materializzato con persino eccessiva puntualità: mentre il congresso ero in corso, giunse a Verona la notizia dell'uccisione di Igino Ghisellini, pluridecorato [29] reggente la Federale di Ferrara. Ghisellini dopo l'armistizio aveva aperto trattative con gli antifascisti e che, forse per questo, era in urto con Pavolini e Farinacci[30]. Pavolini assecondò le richieste di rappresaglia dell'assemblea congressuale che, inferocita dalla notizia, avrebbe preteso un concentramento di forze straordinario, pur disponendo infine l'invio solo degli squadristi ferraresi e di Verona e Padova, ma promettendo che quanto da farsi «lo faremo con il nostro stile spietato e inesorabile».
    Settantacinque antifascisti innocenti furono prelevati dalle loro abitazioni e dalle locali carceri, undici dei quali sommariamente fucilati la notte stessa del 15 novembre (la "lunga notte del '43" rievocata nel film di Florestano Vancini), mentre alcuni altri morirono successivamente in carcere (sotto i bombardamenti alleati o -come nel caso della maestra socialista Alda Costa - di morte naturale). Le circostanze dell'omicidio furono chiarite solo nel dopoguerra, quando un processo celebrato nel 1948 concluse che Ghisellini fu ucciso dai suoi stessi camerati per contrasti intestini[31].
    La rappresaglia di Ferrara fu criticata da Mussolini per la sua ferocia e per la sua inopportunità politica: in quel momento egli cercava di riunire quel che restava del Paese sotto la RSI, non precipitarlo ulteriormente in una guerra fratricida. Tuttavia, da quel momento il dado fu definitivamente tratto. Roberto Farinacci commentò così l'episodio su "Il Regime Fascista"[32] : «La parola d'ordine è stata: occhio per occhio, dente per dente. Si è creduto forse che noi non avessimo la forza e il coraggio di reagire. I fatti ora hanno parlato». Da quel momento la stampa di Salò prese ad impiegare largamente il neologismo "ferrarizzare" quale sinonimo di analoghe operazioni di liquidazione del nemico interno[33] reputate "esemplari".
    D'altra parte, la guerra civile non fu una scelta casuale, né essa ebbe un solo padre o fu imposta dai partigiani che, all'epoca dell'assise di Verona, erano ancora assai meno numerosi dei fascisti di Salò in armi, per non parlare di quelli iscritti al PFR, circa 250mila come abbiamo visto, molti dei quali erano fascisti della prima e primissima ora, in gran numero marginalizzati se non epurati durante il regime.
    Il fascismo risorto dalle sue ceneri sotto la segreteria di Pavolini era in effetti un vulcano in ebollizione pieno di contraddizioni e di rivalità intestine sviluppate dalle diverse personalità che lo animavano, da Guido Buffarini Guidi a Renato Ricci, da Rodolfo Graziani a Roberto Farinacci, Giovanni Preziosi o Pavolini e che non si risparmiavano nell'ordire intrighi e colpire i rivali e nel fomentare contrapposizioni anche feroci.

  2. #2
    Onore e Fedeltà
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    In Ostuni, la Città Bianca piena di Cuori Neri!!! Di origine chiaramente romana, di razza puramente Italiana!!! Laziale nell'anima!!!
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    Onore!!!

  3. #3
    La nobiltà al bancone
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    Un grande.

  4. #4
    Onore e Fedeltà
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    L'hai preso da Wikipedia?

  5. #5
    FORZA NUOVA
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    onore a Pavolini!

  6. #6
    Nuova Destra Sociale
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    Predefinito discutiamo?

    Citazione Originariamente Scritto da Toninuccio Visualizza Messaggio
    L'hai preso da Wikipedia?
    si...
    ma vorrei discutere con voi della figura di Pavolini,dato che e' sempre criticato dai compagni.
    Onore.....

  7. #7
    FN ROMA
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    Onore

  8. #8
    Nuova Destra Sociale
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    Predefinito Pavolini E il Calcio Storico Fiorentino

    Se è vero che per quasi duecento anni non si hanno notizie di partite organizzate, è altresì vero che questo sport era rimasto vivo nella memoria collettiva dei fiorentini. Quest'ultimi infatti, sebbene lontani dalle grandi piazze e dai fasti medievali, continuarono a praticarlo nei propri rioni e quartieri, contribuendo così a forgiare quello che sarebbe diventato secondo il motto popolare "lo spirito moderno del calcio antico".
    La prima partita organizzata del XX secolo si giocò nel maggio del 1930 quando, per la ricorrenza del quattrocentenario dall'Assedio di Firenze, su iniziativa del gerarca fascista Alessandro Pavolini, venne organizzato il primo torneo tra i quartieri della città; da allora il Calcio fiorentino è andato riaffermandosi fino a divenire con gli anni la manifestazione rievocativa più importante di Firenze.
    Dal 1930, salvo che per il periodo bellico, si svolsero puntualmente fra le secolari mura cittadine le sfide fra i calcianti dei quattro Quartieri storici di Firenze: i "Bianchi" di Santo Spirito, gli "Azzurri" di Santa Croce, i "Rossi" di Santa Maria Novella e i "Verdi" di San Giovanni.
    per Nuova Destra Sociale i Fiorentini dovrebbero ricordare e onorare Pavolini anche per avere riportato il calcio storico fiorentino.

  9. #9
    FN ROMA
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    Citazione Originariamente Scritto da viterbonera Visualizza Messaggio
    Se è vero che per quasi duecento anni non si hanno notizie di partite organizzate, è altresì vero che questo sport era rimasto vivo nella memoria collettiva dei fiorentini. Quest'ultimi infatti, sebbene lontani dalle grandi piazze e dai fasti medievali, continuarono a praticarlo nei propri rioni e quartieri, contribuendo così a forgiare quello che sarebbe diventato secondo il motto popolare "lo spirito moderno del calcio antico".
    La prima partita organizzata del XX secolo si giocò nel maggio del 1930 quando, per la ricorrenza del quattrocentenario dall'Assedio di Firenze, su iniziativa del gerarca fascista Alessandro Pavolini, venne organizzato il primo torneo tra i quartieri della città; da allora il Calcio fiorentino è andato riaffermandosi fino a divenire con gli anni la manifestazione rievocativa più importante di Firenze.
    Dal 1930, salvo che per il periodo bellico, si svolsero puntualmente fra le secolari mura cittadine le sfide fra i calcianti dei quattro Quartieri storici di Firenze: i "Bianchi" di Santo Spirito, gli "Azzurri" di Santa Croce, i "Rossi" di Santa Maria Novella e i "Verdi" di San Giovanni.
    per Nuova Destra Sociale i Fiorentini dovrebbero ricordare e onorare Pavolini anche per avere riportato il calcio storico fiorentino.
    ora il calcio storico fiorentino ha altre regole...la palla non viene considerata tanto.

  10. #10
    Cacciaguida
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    Predefinito Pavolini: Il Fascismo Che Resiste!

    "Le Brigate nere allineano - dai vecchi ai ragazzi - gli uomini di ogni età. O meglio: gli uomini che non hanno età, se non quella del proprio spirito.";

    "Le Brigate nere anelano al combattimento contro il nemico esterno, ma sanno che in una guerra come l'attuale, guerra di religione, non c'è differenza fra nemico di fuori e di dentro...";

    "Le Brigate nere sono una famiglia, questa famiglia ha un antenato: lo Squadrismo, un blasone: il sacrificio di sangue, una genitrice: l'Idea fascista, una guida, un esempio, una dedizione assoluta e un affetto supremo: MUSSOLINI."

    ONORE A TE CAMERATA PAVOLINI!
    ONORE A TE POETA DELL'INTRANSIGENZA FASCISTA!
    ONORE AI TUOI BRIGATISTI !
    ONORE AI TUOI FRANCHI TIRATORI!

 

 
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