di Gino Salvi

In Italia le procedure immobiliari o i pignoramenti sono destinati ad aumentare a causa dell’insostenibilità delle rate. Quello della casa non è che l’aspetto più macroscopico di un’emergenza economica, ma anche sociale che il nostro Paese sta attraversando. Una rata da pagare. I soldi che non bastano. Una famiglia da campare. La certezza di non arrivare a fine mese. La paura di vedersi portar via quel tetto frutto di una vita di sacrifici e di lavoro. A questo si aggiunge un guasto improvviso alla macchina. Altri soldi che già se ne vanno. Ancor prima di arrivare. Questa situazione, purtroppo, nel nostro paese non è una rarità, ma un quadro fin troppo comune. Aumentano infatti i suicidi e le tragedie tra i debitori delle banche perché le rate dei mutui diventano insostenibili. A ottobre dell’anno scorso, un operaio di 43 anni di Pollenza, in provincia di Macerata, si era suicidato, impiccandosi con una corda al collo sul proprio luogo di lavoro, quasi in un tragico gesto di denuncia e insieme un grido d’angoscia e di dolore, giunto alla disperazione perché non riusciva più a pagare il mutuo della casa, dopo che la moglie era stata licenziata nei mesi scorsi dal suo impiego precario. Mentre in precedenza, con due stipendi, le rate venivano pagate dalla coppia senza particolari difficoltà; dopo il taglio di uno dei due redditi familiari, la situazione si è fatta sempre più difficile da affrontare, con le preoccupazioni che aumentavano di giorno in giorno. Anche se non si tratta di una storia recente, ho scelto di parlarne lo stesso. Perché è una storia che non dev’essere dimenticata. Perché è una storia che dovrà sempre essere raccontata. Ieri come oggi. Nella speranza che domani ci siano altre storie da raccontare. Anche se, purtroppo, sappiamo che ci sono milioni di operai così nella nostra società. Che non poteva più sopportare di essere schiavo di un mutuo bancario. Che non avrebbe potuto sopportare lo sguardo dei suoi familiari, mentre una banca si riprendeva il frutto del suo lavoro sotto forma d’interesse. Che non avrebbe potuto sopportare l'umiliazione di finire sul lastrico dopo una vita intera di lavoro onesto e di sacrifici. Ma non parliamo di resa e nemmeno di follia. L’operaio di Pollenza è stato la vittima di un sistema usuraio. Un sistema usuraio che non solo non viene bloccato, ma che, anzi, piano, piano è riuscito a comperarsi pure i cuori pulsanti di quel quarto di mondo che, a torto o a ragione, viene considerato il motore pulsante del pianeta, l'anima produttiva, il tanto celebrato “primo mondo”. Che i mutui, i tassi d'interesse, la cartamoneta, il denaro svincolato dalle riserve auree degli stati e reso di proprietà delle banche e delle lobby di potere, fossero dei cappi che in futuro avrebbero strozzato il collo di gran parte di noi lo aveva già teorizzato Ezra Pound, quando il problema era decisamente meno d'attualità. “Attenzione” ci diceva Pound, “di questo passo un giorno finirete tutti schiavi delle banche, martoriati da tassi d'interesse da usura, con le vostre vite riposte nelle mani di chi vi tiene in pugno possedendo il vostro denaro”. Ebbene, quest'uomo è stato rinchiuso in un manicomio criminale.Lo hanno ritenuto “pazzo”. “Pazzo”, perché prima di chiunque altro aveva messo in guardia i lavoratori da quello che un giorno sarebbe stato il loro triste epilogo: impossibilitate a pagare le rate del mutuo, l’anno scorso 946 famiglie sono state private della loro casa, con l’aggravante d’aver visto andare in fumo tutti i risparmi investiti. Nel 2000 il numero degli immobili messi all’asta per gli stessi motivi non superava le 100 unità. Ne consegue che in sei anni i pignoramenti sono aumentati dell’846%. La maggior parte dei capifamiglia coinvolti hanno tra i 25 e i 40 anni, dato anagrafico compatibile con una visione entusiasta della vita. La speranza di migliorare e di progettare il proprio futuro fa fare anche qualche passo più lungo della gamba. In Italia il 91% dei mutui concessi dalle banche per comprare una casa alle famiglie sono stati concessi a tasso variabile e quindi soggiacciono all’andamento sfavorevole del costo del denaro. La spesa a rate, però, rimane in generale il problema principale dell’indebitamento delle famiglie italiane. Questo sistema reclamizzato in tutti i modi e capillarmente dà l’illusione alla gente di potersi permettere ogni cosa. Le famiglie si stanno indebitando fino all’osso. Il sistema bancario è diventato un vero strozzino legalizzato che succhia il sangue della povera gente. Nei prossimi nove mesi, gli osservatori economici ci dicono che i tassi d’interesse sono saliti lo scorso 3 luglio al 4,25%, quando l’attuale presidente della Banca Centrale Europea aveva deciso l’aumento del costo del denaro. Chi ha un mutuo a tasso variabile sulla prima casa cammina sull’orlo di un burrone. E non va certo meglio a chi decide di andare in affitto con il costo che raggiunge e spesso sopravanza la metà di un buon stipendio. Secondo gli ultimi dati dell'Istat gli italiani in affitto hanno visto in media il loro canone mensile salire, dal 2005 al 2007, di circa il 14% da 308 a 351 euro. Quella per l'abitazione resta dunque in Italia la voce più consistente del bilancio familiare: brucia oltre un quarto (il 26,7% per l'esattezza nel 2007) della spesa media mensile. Vale a dire circa 662 euro sui 2.480 medi 2007 fotografati dall'Istat nelle ultime rilevazioni Sui ''Consumi delle Famiglie''. Ed è in costante crescita. Più consistente il costo-casa al Centro, dove rappresenta il 29% del totale (736 euro su una media mensile di spese per 2.539 euro). A ciò bisogna aggiungere l'energia: 31% della spesa media mensile. Per gli anziani queste uscite mensili, in particolare, diventano un'emergenza: la casa e le spese per l'energia arrivano ad assorbire quasi la metà della spesa mensile degli over-64 (il 46,9%), quasi 635 euro su un totale medio mensile di 1.356 euro. In generale per i pensionati la voce "casa" nel bilancio rappresenta il 36,4% di quelle mensili complessive, pari a 2.101 euro. A livello geografico, invece, la zona italiana più cara per l'abitazione è la Liguria: il 31,1% del totale, sfiorando i 700 euro su un totale medio complessivo di 2.236 euro. Il dato meno pesante, ma in percentuale, spetta invece - sempre nel confronto territoriale - alla Calabria: l'abitazione pesa solo per il 18,8%, 367 euro cioè su un totale di 1.955 euro al mese. Infatti, leggiamo ( studio Cgia di Mestre) che dall’entrata in vigore dell’euro ad oggi, l’indebitamento medio di una famiglia italiana è aumentato 93,28% pari quasi a 15765 euro per famiglia. Al primo posto in questa speciale - purtroppo - classifica c’è Roma con un aumento medio di 21949,94 euro, a seguire Milano con 21321,68 euro, poi Lodi (20593,26 euro), Reggio Emilia (20128,44 euro) e Rimini con 20060,99 euro. Solo nell’ultimo anno le “sofferenze” sono cresciute del 9,2 %. In buona parte, la causa è da ricercarsi nei mutui casa, gonfiati dall’aumento costante dei tassi, e dai finanziamenti per ristrutturazioni. Poi ci sono i cosiddetti “crediti di consumo”, gli acquisti a rate , praticamente per ogni cosa, dall’auto al divano di casa. Oppure prestiti per far fronte alle spese quotidiane, conseguenze della crisi economica e degli aumenti dei prezzi, dalla benzina agli alimentari,dalla luce al gas, a fronte di stipendi fermi. A vivere con minore ansia la preoccupazione di un debito nei confronti degli istituti di credito o degli istituti finanziari sono le famiglie del Sud e specialmente quelle residenti nella provincia di Isernia (7.119,83 euro), di Reggio Calabria (7.099,05 euro), di Benevento (6.951,66 euro) e quelle di Vibo Valentia (6.769,92 euro). Il record della crescita del debito delle famiglie avvenuta tra il primo gennaio 2002 fino al 31 dicembre 2007, invece, appartiene alla provincia di Napoli che in questi 5 anni è cresciuto del 116,36%. Segue Reggio Emilia con un aumento del 116,11%, Piacenza con 116,09% e Chieti con il 115,68%. Chiude la classifica Potenza con il 46,46% e Bolzano con il 42,45%. Il minore ricorso ai prestiti non è però indice di maggiore ricchezza per il Meridione, ma il contrario, legato alla capacità di spesa inferiore del Sud rispetto al Nord. e del gap retrubutivo tra i due poli del Paese. La crisi economica ha costretto molte famiglie a ricorrere a prestiti bancari. Se limitiamo l’analisi all’ultimo anno, il 2007, il primato dell’indebitamento spetta a Prato, seguita da Genova ( + 14,3%). E a questa problematica si aggiunge quella dei salari sempre fermi, che non si adeguano al costo della vita. Infatti, secondo Bankitalia,i debiti finanziari delle famiglie italiane sono pari a 493 miliardi di euro continuano ad aumentare, con un incremento dell' 11,0% rispetto all'anno precedente. In un solo anno il rapporto tra debito e reddito disponibile, pari al 48 per cento è aumentato di tre punti. Mentre La retribuzione media lorda di un lavoratore dipendente in Italia è di circa 22.700 euro l’anno. Perciò il reddito delle famiglie con capofamiglia lavoratore dipendente è rimasto sostanzialmente stabile (+0,3%) dal 2000 al 2006. a fronte di un aumento del 19% dell’indice dei prodotti e servizi. Mentre nel 2007 - secondo uno studio dell'Osservatorio europeo per le relazioni industriali - gli aumenti salariali sono diminuiti dello 0,6% contro lo 0,4% della media di Eurolandia. L’erosione dei salari e delle pensioni arriva però da lontano, fin da quando il governo Craxi abolì i primi punti di scala mobile. Ma per gli stipendi dei supermanager, invece, le cose vanno diversamente. Nel 2007, i 50 dirigenti più pagati tra le aziende italiane hanno avuto un incremento di stipendi pari al 29% rispetto al solo anno precedente. Nelle 10 maggiori banche italiane, i 294 maggiori manager si sono riconosciuti, rispetto al 2006, aumenti retributivi pari al 68,9% a fronte, per i normali dipendenti, di un misero incremento dell’1,9%. E non in tempi di vacche grasse, ma mentre il listino di Borsa perdeva ben il 9% e quello dei titoli bancari aveva una flessione del 14,7%. Ma c’è qualcosa di più. E’ stato calcolato che con grazie all’euro ed ai mancati controlli, in 7 anni sono stati sfilati dalle tasche dei consumatori a reddito fisso che subiscono i rincari, ben 137 miliardi di euro, il 10 per cento del Pil. E visto che con l’aumento del petrolio anche i beni di primissima necessità come pane e pasta aumenteranno, il risultato è che non si arriverà alla fine del mese. E intanto il ministro delle Politiche Agricole, Luca Zaia, chiede un listino di riferimento che fissi un “prezzo politico” per pane e pasta, prodotti in costante rialzo. Questo è un segnale abbastanza inquietante della globalizzazione monetaria in atto da anni in Europa. Dall’adozione dell’euro abbiamo però assistito ad un vero e proprio salto di qualità, non venne fatto alcun controllo e dalla sera alla mattina ci trovammo con un enorme ed ingiustificato aumento di prezzi. Come se non bastasse negli anni successivi la cosa è continuata con una inflazione strisciante scaricata completamente sui generi di consumo di massa e attraverso l’inflazione sta avvenendo una gigantesca operazione di redistribuzione del reddito dal basso verso l’alto. E’ ovvio che non è possibile ridurre le cause di questa situazione economica, ma è altrettanto vero che euro e globalizzazione sono entrambi processi disgreganti che stanno causando enormi problemi economici all’Italia. Molte famiglie non riescono ad “arrivare a fine mese”. Ed è un problema reale e concreto. E purtroppo questa situazione è soltanto destinata a peggiorare. Luce e gas da ottobre costeranno di più e l'autunno per le tasche degli italiani si preannuncia davvero caldo. Secondo l'economista Alberto Clò che guida il Rie, Ricerche industriali ed energetiche, le bollette di elettricità e metano aumenteranno rispettivamente del 4% e del 6%. Conti alla mano, i possibili ritocchi all'energia significheranno un salasso di circa 100 euro in più a famiglia: un incremento di 70 euro l'anno per il gas e 20 per la luce. I rincari di ottobre seguono quelli già registrati a luglio e quantificati dall'Authority in +4,3% per la luce e in +4,7% per il gas. Il Rie aveva stimato un aumento in cifre di 58 euro l'anno, calcolando però solo le tariffe cresciute a luglio. "Le tendenze che alimentano questa crisi non verranno riassorbite", ha aggiunto Clò parlando a "Cortina InConTra 2008", nell'ambito del dibattito "Caro pane, carissimo petrolio". "L'aumento di domanda di energia porta all'aumento di domanda del petrolio - ha spiegato -. Siamo passati dai 19 dollari al barile del '99 a prezzi attorno ai 150 dollari a causa dell'impennata della domanda in Paesi come India e Cina e l'onda lunga della crisi petrolifera non ha finito di scaricarsi sui prezzi". "A settembre, con l'aumento stagionale della domanda - ha concluso - la situazione diventerà ancora più critica". Clò nel dettaglio ha annunciato che la bolletta del gas aumenterà del 6-6,5% mentre per la luce spenderemo di più, il 3,7-4%. "In Italia - ha sottolineato l'economista - abbiamo 2,5 milioni di famiglie sotto la soglia di povertà, questi rincari aggravano il problema: la politica deve dire quali meccanismi di solidarietà intende adottare per alleviare questa situazione". Secondo Adusbef e Federconsumatori, per gli alimentari per i quali è atteso un nuovo aggravio intorno ai 120 euro l'anno. Sui bilanci delle famiglie peseranno anche i prezzi maggiorati di libri e dei corredi scolastici (+62 euro), nettezza urbana (+35 euro), Rc auto (+55 euro), acqua (+30 euro) e servizi bancari e finanziari (+45 euro). Ma lo Stato che cosa sta facendo? Ezra Pound aveva proposto una serie di alternative al sistema usuraio fondato sulla speculazione e gestito dalle banche. Risultato? “Pazzo”. Infatti per questa società gli unici a non essere pazzi sono i banchieri, i finanzieri, quelli che gestiscono i prestiti di denaro e tutta quella casta che, porta sempre acqua al mulino dorato delle banche. E nemmeno ci convince l'accordo tra il governo e l’Abi sulla rinegoziazione dei mutui a tasso variabile varato dal governo (decreto legge del 21 maggio scorso). Il provvedimento si rivolgeva a chi ha stipulato un mutuo a tasso variabile per l'abitazione principale prima del 28 maggio 2008 (data di entrata in vigore del decreto), prevedendo una riduzione delle rate il cui ammontare è riportato a quello medio del 2006. Questo significa che la rata costante che ne è derivata incorpora già i rialzi dei tassi variabili dovuti agli aumenti del tasso di riferimento della Bce iniziati a dicembre del 2005: per esempio, l'Euribor 1 mese (l'indice di riferimento della maggior parte dei mutui a tasso variabile) è passato dal 2,41% di gennaio 2006 al 3,64% di dicembre 2006. In pratica, siamo di fronte a una rinegoziazione di un mutuo a tasso variabile in un mutuo che resta a tasso variabile, ma a rata costante. Cosa ci guadagna il mutuatario? Ben poco nel lungo periodo: tutta l'operazione, infatti, porta a una riduzione della rata attuale (e nemmeno di tanto), ma rimanda semplicemente al futuro i maggiori oneri dovuti alla situazione di mercato (in quasi tutti i casi facendo pagare pure di più di quanto previsto dal piano di ammortamento iniziale). Però, così facendo, il mercato bancario si adegua, dunque, all’invecchiamento delle generazioni, dopo i mutui quarantennali e cinquantennali, lanciando, perciò, il “mutuo eterno”. Magari anche con la possibilità dunque di destinare, ovvero di “girarlo”, il proprio debito agli eredi, dando vita al “credito eterno”. Le motivazioni addotte relativamente all’accessibilità generale ai mutui, a garantire il diritto alla casa, oppure alle mutate condizioni del mercato immobiliare o dell’innalzamento del rischio e così del costo dell’accesso al credito, sono sbagliate ed illusorie. Perché comunque il provvedimento sulla rinegoziazione dei mutui nulla toglie alle banche che continueranno ad agire, guidati esclusivamente dalle leggi del profitto, contro il popolo italiano. Ancora una volta, purtroppo, un governo di Centro Destra (e qui rimarchiamo, ancora una volta, che la Destra dev’essere sociale e popolare) si è persa l’occasione per difendere tutte quelle fasce deboli. fra cui ci sono centinaia di migliaia di famiglie, magari anche costrette, per poter fare la spesa della terza settimana, ad impegnare o persino vendere i propri piccoli gioielli, a volte la catenina d'oro ricordo della comunione o l'orologio del compleanno. E così mentre prima era possibile lasciare in eredità una casa, un patrimonio, un domani il sistema bancario ci costringerà a lasciare un mutuo e un debito da estinguere. Pena la perdita di tutto ciò che è stato costruito durante un’intera vita. Ora, se pensiamo che il 50% della vita di una famiglia si basa sul problema economico di acquistare una casa, ne possiamo facilmente dedurre che se un governo aiutasse i propri cittadini ad assolvere a questa difficoltà, avrebbe praticamente risolto la metà dei problemi dell’Italia. I dati sulla casa sono infatti impietosi: sono già 600 mila le famiglie escluse dal mercato immobiliare che attendono in graduatorie l'assegnazione di un alloggio popolare. L'edilizia pubblica è in ginocchio e nel Paese si costruiscono in media solo 1500 case popolari l'anno. Ora anche fasce della popolazione, prima non toccate dal dramma alloggio, non se la passano bene: nel 2007, 100 mila sono state le richieste di sfratto (30 mila quelli eseguiti, tra questi l'80% avviene per morosità). E c’è di più. Il sistema di recupero dei crediti bancari non soffoca soltanto i cittadini (ed è già troppo) ma anche gli imprenditori. Nel 2001, nella sola Roma, ci furono 1.377 fallimenti. Nel 2002 aumentarono a 1.444. Se si passa ad analizzare le cifre (e sono cifre del 2003) dei protestati, il fenomeno si allarga ancora più a macchia d'olio: 12 milioni a livello nazionale, 1.000.000 e 300.000 nel Lazio (al terzo posto dietro Sicilia e Campania), 900.000 dentro i confini della capitale. Il dramma più grande che le famiglie italiane hanno dovuto sopportare è stato quello delle esecuzioni immobiliari. Ovvero La vendita all'asta, quasi sempre a prezzi irrisori, di quanto una famiglia o un imprenditore possiede. Sempre nel 2003, erano circa 2 milioni quelle in via di definizione a livello nazionale, mezzo milione nella sola Roma. Circa il 90 per cento di queste esecuzioni è avvenuto su iniziativa delle banche. Ora alle ultime elezioni politiche grazie alla Destra (con la proposta del Mutuo Sociale) la lotta a favore del Diritto alla Casa è ritornata ad essere una bandiera per tutti noi militanti. Ma spieghiamo che cos’è il Mutuo Sociale. In poche parole, si tratta di creare un ente regionale che costruisca case e quartieri a misura d'uomo con soldi pubblici e che venda a prezzo di costo queste case a famiglie non proprietarie con la formula del Mutuo Sociale: ovvero una rata di mutuo senza interesse, una rata che non superi 1/5 delle entrate della famiglia, una rata che viene bloccata in caso di disoccupazione, una rata che non passa attraverso le banche. Come primo atto dovrebbe, perciò, venir costituito un ente regionale: l'Istituto Regionale per il Mutuo Sociale (IRMS), che si occuperebbe di costruire nuovi quartieri con modelli di bioarchitettura tradizionale, a bassa densità abitativa e con tecniche innovative in materia di fonti energetiche rinnovabili. L' Istituto Regionale per il Mutuo Sociale dovrebbe utilizzare per la costruzione dei nuovi quartieri i terreni gratuiti del pubblico demanio. L' Istituto Regionale per il Mutuo Sociale, per la progettazione dei quartieri, non dovrebbe pagare famosi e costosi architetti, ma bandire prestigiosi concorsi fra giovani architetti e istituti universitari di architettura e urbanistica. In questo modo, l'Istituto Regionale per il Mutuo Sociale non pagherebbe terreni, non pagherebbe concessioni e tasse e non pagherebbe progetti. Inoltre l'Istituto Regionale per il Mutuo Sociale in qualità di ente pubblico non mirerebbe al profitto. Questo permetterebbe di vendere le case costruite a reale prezzo di costo, calcolando esclusivamente materiali edili e manodopera. Il prezzo finale per una casa di 100m2 costruita a queste condizioni sarebbe di circa 80.000 Euro. E stiamo parlando di una bella casa, in palazzi bassi con massimo 5 nuclei familiari per palazzina, in quartieri costruiti nel verde, in quartieri costruiti attorno all'uomo, con rispetto per le esigenza comunitarie. Le case di questi quartieri dovrebbero essere assegnate a famiglie non proprietarie con la formula del Mutuo Sociale. L'ente venderebbe a prezzo di costo, ossia allo stesso prezzo che è stato pagato dall'ente per la costruzione, e senza interessi applicati alla rateizzazione. Potrebbero accedere al Mutuo Sociale solo famiglie in cui nessun componente del nucleo risulti proprietario di altro immobile. La famiglia pagherebbe il Mutuo Sociale con una rata che non potrebbe in nessun caso superare 1/5 delle entrate economiche familiari. Ossia se la famiglia ha entrate per 1000 euro la rata del Mutuo Sociale sarebbe di 200 euro mensili. Se tutti i membri maggiorenni della famiglia diventassero disoccupati la famiglia potrebbe dichiarare lo stato di “totale disoccupazione” e il pagamento del mutuo verrebbe interrotto senza che vada perduto il diritto di proprietà. La famiglia riprenderebbe il pagamento del mutuo quando tornasse ad avere introiti economici. La famiglia che dichiarasse lo stato di “totale disoccupazione” verrebbe seguita costantemente da un'assistente sociale inviato dall' Istituto Regionale per il Mutuo Sociale. Le funzioni dell'assistente sociale sarebbero di aiuto sociale mirate all'ottenimento di un nuovo lavoro ma anche di controllo. Qualora l'assistente sociale scoprisse che una componente della famiglia che dichiara “totale disoccupazione” in realtà lavora e dichiara il falso per non pagare il mutuo la famiglia in questione perderebbe il titolo di proprietà e la casa verrebbe assegnata ad un'altra famiglia. La proprietà della casa acquisita con Mutuo Sociale verrebbe vincolata: la casa non potrebbe essere rivenduta, affittata, messa a garanzia di un prestito o ipotecata. La casa ottenuta con mutuo sociale sarebbe quindi economicamente inerte e dovrebbe essere utilizzata esclusivamente come abitazione per la famiglia che ne è proprietaria. Non potrebbe essere quindi né pignorata né confiscata. Inizialmente L’Istituto Regionale per il Mutuo Sociale si finanzierebbe esclusivamente utilizzando i fondi regionali a disposizione per l'emergenza abitativa, per le politiche di edilizia residenziale pubblica e i fondi europei specifici. In una seconda fase utilizzerebbe le entrate derivanti da i pagamenti mensili delle rate del Mutuo Sociale e le entrate derivanti dall' affitto dei locali commerciali dei nuovi quartieri. Si creerebbe in questa maniera un circolo finanziario che non necessiterebbe di continui finanziamenti da parte dello Stato. In ultima analisi, dunque, con il Mutuo Sociale, i costruttori sarebbero comunque vincolati da piani urbanistici: non avrebbero insomma carta bianca. Invece, purtroppo, il “Piano Casa” tremontiano smantella il ruolo del pubblico sposando in toto la causa dei costruttori. E adesso il Pdl annuncia sì 20 mila nuove case ma utilizzando però 550 milioni di euro destinati già nel 2007 all'emergenza delle famiglie disagiate sottoposte a sfratto. Dunque, si tratta di 550 milioni destinati ad un ‘emergenza attuale, che però adesso finanzieranno un “Piano Casa” che dovrà essere definito entro gennaio 2009 e da lì attuato successivamente. Perciò, nell’immediato, a farne le spese saranno i cittadini più deboli, che, da anni, aspettano una casa. Inoltre, secondo il segretario nazionale del Sunia, Luigi Pallotta, verranno “sottratti altri 280 milioni già destinati ad alloggi in locazione a canone sostenibile, nei contratti di quartiere, a dimostrazione ulteriore di quale indirizzo il governo intende dare alla politica abitativa”. E verissimo che gli stanziamenti del governo Prodi sono stati soltanto la classica “goccia nel mare”, del tutto insufficienti alle esigenze del Paese, purtroppo, però, Il governo Berlusconi rischia di peggiorare ulteriormente la situazione. E lo diciamo, essenzialmente, per due buonissimi motivi. Primo, perché le ricette “monetariste”, “turbo-liberiste” e “globalizzanti” della Bce e del Fondo Monetario Internazionale si sono dimostrate fallimentari (esempi di questo fallimento li abbiamo innumerevoli dagli Stati Uniti, alla Russia, alla Gran Bretagna, all’Argentina alla nostra Italia), incapaci di far crescere l’economia “reale” (in antitesi con quella “finanziaria”) e di creare “benessere diffuso”. Al contrario la politica economica di questi due enti ha prodotto soltanto povertà, estrema concentrazione della ricchezza, stagnazione economica e speculazione selvaggia. Secondo, perché da un governo di destra ci aspetteremmo, legittimamente, una politica assai più incisiva sul piano sociale (a livello strutturale) ed una maggiore autonomia di decisione nei confronti del sistema bancario. Invece troviamo una misura di “housing” dove il settore pubblico sarà completamente assente. Perciò a rischio di speculazione. Come se i costruttori non fossero già stati fin troppo avvantaggiati da anni di deregulation e di cartolarizzazioni. Infatti dalla morte dell’equo canone in avanti i cosiddetti “furbetti del quartierino” hanno potuto speculare liberamente. Per non parlare, poi, del problema relativo alle “case sfitte”, di cui nel “Piano Casa” di Tremonti non si fa nessun cenno. Mentre, per quel che riguarda i mutui, abbiamo avuto una “misura tampone”, un “accordo al ribasso”, grazie ad una concertazione, però a ruoli rovesciati, fra l’Abi e il governo. Laddove il governo ha lasciato capire di non essere affatto intenzionato ad intervenire strutturalmente sul sistema bancario italiano. Al contrario, perciò, sia della nostra proposta del Mutuo Sociale, sia della “patrimoniale”, proposta da Daniela Santanchè in piena campagna elettorale, sulle banche e sulle assicurazioni. Una tassa che avrebbe prelevato l'1% dell'attivo di banche e assicurazioni. Secondo i calcoli avremmo avuto un gettito pari a 21 miliardi di euro, cioè come due Finanziarie. Con questi soldi avremmo aiutato le famiglie che faticano a pagare il mutuo della casa o che hanno una pensione al minimo vitale. Infatti, sia Il Pdl che il Pd hanno avuto entrambi la massima cura nell’escludere dal Parlamento qualunque forza politica che avesse progetti e caratteristiche popolari e sociali. Nessuno avrebbe dovuto disturbare i manovratori turbo-liberisti. E allora si spiega il richiamo al “voto utile”. E che questa interpretazione sia corretta lo prova l’intervista rilasciata (l’ 11 agosto 2008, al Giorno/Resto del Carlino/Nazione, a cura di Marcella Cocchi) da Massimo Calearo, leader degli industriali vicentini, in cui elogia l’operato di ministri come Brunetta, Tremonti, Sacconi. E, al riguardo, vorremmo sapere che cosa significa che “Il Paese ha tante piccole e medie imprese che vanno benissimo ma non riescono a globalizzarsi: bisogna stare vicino alla famiglia media, aiutare una classe media che sta scomparendo e favorire la crescita, favorendo il consumo”. In questo discorso affiora, a mio modesto parere, un’evidente contraddizione. Perché, vedete, la parola “globalizzazione” per me s’accorda soltanto con “finanziarizzazione”, “delocalizzazione” e “disoccupazione”. Ovvero con un processo di impoverimento che colpisce il tessuto della società e si allarga come un’infezione partendo dagli strati poveri e salendo verso le classi medie. Infatti non c’è niente di più sbagliato, come metodi, del turbo-liberismo e della globalizzazione per “curare” l’economia italiana. Le liberalizzazioni (ovvero il taglio delle norme che regolamentano un dato mercato) e le privatizzazioni sono state un completo fallimento. Perché non hanno portato nessuno dei benefici che ci avevano promesso: la diminuzione dei costi e delle tariffe e, contestualmente un miglioramento dei servizi e, finanche, un aumento di “buona occupazione”. Ovvero di contratti di lavoro a tempo indeterminato. Infatti, sul fronte dei prezzi dei prodotti "controllati", il Tesoro fotografa infatti un aumento del 2,8% mentre per quelli dei prdotti "liberalizzati" la corsa dei prezzi, in media è stata dell'8,1%. Nessuna politica “globalizzatrice” e “super-liberista” sarà capace di creare un ritorno di fiamma dei consumi. Ci troviamo di fronte a una economia in cui tutti i prezzi sono indicizzati salvo quelli relativi alla forza lavoro. I salari non sono indicizzati e i prezzi relativi ai beni di consumo di massa sono in costante crescita. La riduzione del costo del lavoro e la redistribuzione del reddito la fanno così: contengono il monte salari nella sfera della produzione e riducono il suo potere d’acquisto nella sfera del consumo. E lo prova il dato che “la stagione dei saldi è stato un fallimento”. Secondo il Codacons le svendite estive sono calate del 20% rispetto all'anno scorso, con picchi anche del 50%. “Non c'è da stupirsi se milioni di italiani alle prese con i folli rincari di pane e pasta e con i prezzi smisurati della benzina abbiano evitato l'assalto ai negozi alla ricerca dell'acquisto conveniente” riferisce l'associazione per i diritti dei consumatori. Siamo chiari: nessuno vuole il ritorno alla “spesa pubblica allegra” della Prima Repubblica. Ma nemmeno vogliamo una sventagliata di privatizzazioni “selvagge” alla maniera di quelle nell’Iri della prima metà degli anni Novanta. Quando fu venduto (o svenduto, a seconda delle opinioni) il patrimonio industriale pubblico italiano. Ricordate il “Britannia”? Ci dissero che le privatizzazioni erano una politica economica “virtuosa”. Già ma non per il popolo italiano. Così come ci raccontarono che, se non avessimo scelto l’Euro, avremmo avuto un crack simile a quello argentino. Sì, la ricchezza è aumentata. Ma quella del popolo italiano è soltanto diminuita. Gli italiani si sono fidati ma, ora, dopo tutte queste promesse non mantenute, la fiducia è, giustamente, a zero. E anche l’Europa avrebbe bisogno di un progetto economico radicalmente differente da quello “eurocratico”. D’altra parte dobbiamo essere altrettanto chiari: la spesa pubblica dev’essere tagliata. Ma non a vanvera. A quali voci ci riferiamo? Facciamo qualche esempio: uno degli ultimi amministratori di Alitalia, Giancarlo Cimoli, percepiva uno stipendio da 2,7 milioni di euro l’anno, per tentare di rilanciare l’Alitalia. Il tentativo non è andato troppo bene, eppure gli hanno dato una buonuscita di 5 milioni di euro. L’Italia è il Paese in cui ci sono 50 manager che prendono più di 2 milione di euro l’anno e altri 150 che ne prendono più di un milione. E’ inaccettabile che super remunerazioni e liquidazioni dei manager in molti Paesi possano essere dedotte dalle tasse e presentate come normali “spese generali”. In Olanda sono già passati dalle chiacchiere ai fatti: il ministro delle Finanze, Wouter Bos, ha depositato una proposta per tassare del 30% le buonuscite superiori a 500mila euro e di aumentare del 15% i contributi che le aziende dovranno sborsare per i dirigenti pagati più di 500mila euro l’anno. Con, in più, la semplice osservazione che da noi gli emolumenti non sono legati ai risultati, ma a prescindere dagli stessi. Non così per i dipendenti che sono sempre i primissimi ad esser, a torto o a ragione, sempre sotto esame, a patire decurtazioni degli stipendi, ad esser posti “in esubero”, che, al di là del “burocratese” vuol dire, crudelmente, che uno non ha più il suo lavoro. Il secondo esempio (relativamente alla spesa pubblica) riguarda quell’oceano di consulenze esterne (ed è, comunque, altamente sintomatico che proprio nel tempio del rigore economico e, cioè, l’Unione Europea ci siano 45 mila “consulenti” a libro paga, divisi in mille “expert groups”, che forniscono consulenza sulla legislazione e sulle direttive che la UE sforna a getto continuo) pari al 55% del totale delle Amministrazioni pubbliche (si parte dai Comuni fino ad arrivare al Consiglio di Stato) e a 1 miliardo e 250 milioni di euro. Soldi che non si sa dove finiscano e a che cosa servano. E’ così che si riforma lo Stato e la Pubblica Amministrazione. E’ così che si risanano i conti pubblici. Non c’è nessun bisogno di concepire “ardite” privatizzazioni dell’acqua o della sanità nazionale. Così come non c’è nessun bisogno della reintroduzione dell’Ici. Come non ci sarebbe stato nessun bisogno di un risanamento vampiresco dei conti pubblici. Realizzato “tosando” senza pietà i redditi dei lavoratori dipendenti. Come fece il precedente governo. E, magari, così en passant , appioppando il titolo di “bamboccioni” ai lavoratori più giovani. Sommando così anche la beffa. In cui c’era tutto l’irritante snobismo radical-chic di chi non dovrà mai prendere l’autobus alla mattina presto per recarsi al lavoro. Per mille euro al mese. Se va bene. E allora, chiudendo il cerchio del discorso, diciamo che è giunto, infatti, il momento che lo Stato governi, senza sacrificarla. l’economia. Ma soprattutto senza sacrificare i lavoratori. Finora La gente si è aggiustata. Facendo economie, prendendo d’assalto ogni genere in offerta in un supermercato, andando a fare la spesa al discount. L’impoverimento di massa che ha toccato milioni di persone in Italia non è stato in alcun modo scalfito o mitigato dalla politica e nello specifico dalla politica nè del governo Prodi, prima, né da quello Berlusconi, adesso. Non solo non è stato scalfito ma nessuna battaglia seria e continuativa è stata condotta in questi anni per cercare di affrontare in modo collettivo una situazione che viene vissuta come dramma individuale. Perché è il momento che ci sia una forza di Destra che si batta contro questo stato di cose. Perché è il momento di dire basta ai sacrifici. I cittadini ne hanno sopportati anche troppi. I sacrifici stanno a zero.

Gino Salvi

Fonte: http://ginosalvi.blogspot.com/