Amici di An, vi accorgete solo ora che il Pdl è una monarchia?
di Gennaro Malgieri [8 gennaio 2009]
Ancorché tardive, sono più che comprensibili le perplessità manifestate da autorevoli esponenti di Alleanza nazionale sul percorso che dovrebbe portare alla nascita del Pdl. Condividiamo le preoccupazioni di Gianni Alemanno, i rischi che paventa il politologo Alessandro Campi, il disagio di parlamentari e dirigenti che da tempo, inascoltati, si affannano nel chiedere una pubblica discussione sul nuovo soggetto politico. Nello stesso tempo ci chiediamo come mai, pur di fronte a riflessioni analoghe proposte su questo giornale e su altri, quasi nessuno sia mai intervenuto per cercare di correggere la rotta.
Il silenzio è stato assordante quando è venuto fuori che l’accordo tra An e Forza Italia era stato già fatto davanti ad un notaio nel febbraio dello scorso anno. E invece c’era da attendersi che qualcuno reagisse a una tale impropria procedura nella formazione di un partito i cui riferimenti “ideologici” dovevano essere giocati nella costruzione di una identità capace di assorbire le storie diverse in un progetto autenticamente innovativo. Ci sembra, invece, che l’opzione oligarchica abbia fin qui prevalso e, come ha detto Campi in un’intervista al Tempo, forse «tutti pensano che il Pdl sarà un Forza Italia allargato con un solo padre-padrone, Berlusconi, che decide tutto, un partito finto. Se questa è l’impressione nasce male». Probabilmente non sarà così e ce lo auguriamo vivamente.
Tuttavia è difficile credere che in un paio di mesi o poco più si riesca a definire un soggetto la cui nascita, come abbiamo scritto ripetutamente, doveva vedere coinvolte istanze territoriali, intellettuali, imprenditoriali, sociali, unitamente ad un profondo ripensamento sulle culture di appartenenza dei “soci” fondatori. Per di più nulla si sa, al momento, dei valori e delle strategie politiche che dovrebbero motivare il Pdl e si continua a parlare di quote e di statuti, senza peraltro precisare come e da chi saranno eletti i vertici centrali e periferici, quale sarà la struttura di base, in che modo si articolerà il dibattito interno. Se il Pd è nato, per comune ammissione ormai, da una “fusione a freddo”, la creatura berlusconiana verrà partorita al buio e nessuno saprà dire quale sarà la sua fisionomia. Insomma, abbiamo sempre di più la sensazione che la ricomposizione del centrodestra, dopo la scomposizione avvenuta alla vigilia delle ultime elezioni politiche, sarà difficile e precaria a meno che non ci si renda conto che i metodi fin qui seguiti non sortiranno i positivi effetti sperati.
Se poi cominciano, come da molti segni si intuisce, a proliferare dissensi e delusioni, il gioco finirà prima di cominciare. In altri termini, continuare a sostenere che dalla “fusione” tra An e Fi, più altre formazioni minori, possa nascere un partito vero (che ha regole precise, non leggero né pesante, ma un soggetto dotato di una cultura politica riconoscibile e dislocato sul territorio come la politica rappresentativa impone) e non la riedizione di un “cartello elettorale” significa, nella migliore delle ipotesi, illudersi di risolvere banalmente una pratica maledettamente complessa.
Nessuno dovrebbe rischiare il suicidio politico per una prospettiva ignota. Men che meno Alleanza nazionale che ha dalla sua un’identità, una storia profondamente intrecciata con la vicenda nazionale del dopoguerra. Per quale motivo dovrebbe rincorrere farfalle sotto l’Arco di Tito, mentre potrebbe contribuire alla definizione di nuovi assetti politici, in un movimento moderno e popolare, senza accampare pretese egemoniche naturalmente, ma neppure facendosi trasportare da una corrente che, inevitabilmente, ne travolgerebbe perfino la memoria?
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