Augusto Minzolini condannato a quattro mesi di carcere per aver "cambiato mansioni" a Tiziana Ferrario quando era direttore del Tg1. Una barbarie impossibile in qualsiasi democrazia liberale
di Giovanni Sallusti
Quest’uomo è de facto un prigioniero politico, oggi 15 dicembre 2015, in Italia, luogo che assomiglia sempre più nitidamente all’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, solo in versione light e parodistica, in stile Leopolda. Ma la voglia d’ironizzare e perfino di scrivere viene meno, perché è realmente gravissimo e irricevibile quello che sta accadendo ad Augusto Minzolini, è qualcosa che in una “democrazia liberale” che non sia un mero suono privo di significato non solo non accadrebbe, ma non sarebbe nemmeno immaginabile, è il genere di barbarie contro cui mobilitarsi e firmare appelli, e quindi potete stare certi che i professionisti italici della mobilitazione e dell’appello se ne rimarranno muti in poltrona.
Ad Augusto Minzolini accade questo, e non c’è nulla più agghiacciante della pura cronaca: un direttore di testata giornalistica (il Tg1) in un Paese occidentale (l’Italia) viene condannato a quattro-mesi-quattro di reclusione (galera, spacciatori, stupratori, quella commedia umana lì) per avere cambiato ruolo e mansioni a una redattrice della medesima, ovvero per aver liberamente svolto il suo lavoro. È qualcosa che ha un senso a Pyongyang, Corea del Nord. A Teheran, Repubblica islamica dell’Iran. A Pechino, Repubblica Popolare Cinese. E invece no, dobbiamo abituarci, perché questa è la prassi anche in Italia, è ormai abituale in questo Paese marcio e analfabeta cronico di libertà che un direttore di giornale rischi la galera per aver ospitato un’opinione (fidatevi, è accaduto pochi anni fa a un mio quasi omonimo più famoso) o addirittura per aver fatto delle scelte di gestione del personale, il minimo per qualsiasi direttore. No, dipende. Se il direttore è Minzolini Augusto, purosangue del retroscenismo politico ma non intruppato nell’inner circle del Giornalista Collettivo progressista e antiberlusconiano, anzi dichiaratamente avverso. Se la “vittima” è invece a tutti gli effetti una gran dama del suddetto inner circle, Ferrario Tiziana. Se il clima di anestesia del senso critico, così ben coccolato dal renzismo, è favorevole. Allora, in quel caso, il direttore in questione non può azzardarsi a fare il direttore, non può arrogarsi il diritto di decidere, che sarebbe poi la materia del suo contratto, non può addirittura osare cambiare i volti della prima serata e perseguire un rinnovamento e un rilancio editoriale della sua testata. Perché l‘anchorwoman sostituita (dopo ventotto-anni-ventotto di video) fa causa, e il direttore che aveva la balzana idea di dirigere viene condannato per abuso d’ufficio. Con un corollario grottesco, che oggi Minzolini non ha potuto non sottolineare: «La demansionata è a New York come corrispondente. Mentre la rottamazione in politica ti porta a Palazzo Chigi, cambiare una conduttrice che ha alle spalle 28 anni di video, proponendole di andare a New York e promuovendola a caporedattore, cosa che non era, è un reato. Adesso tutti i direttori dovranno stare attenti, decidere è una colpa». Peggio. È una condanna, quella che oggi travolge Minzolini, da tribunale staliniano, è mille miglia fuori dai paletti del diritto così come è conosciuto e praticato in Occidente, e domani potrebbe travolgere ciascuno di noi. Non è un Paese per uomini liberi, quello che assiste passivo e pavido al pestaggio politico-giudiziario di un direttore di giornale, quello che non si desta dalla sua codardia illiberale e corporativa nemmeno di fronte alla violazione delle libertà minime, quello che non si alza in piedi e non twitta all’unisono #JeSuisMinzolini. Non è il mio Paese, né voglio che lo sia.
P.s. Caro direttore, consiglio non richiesto: prendi un aereo per Londra, Regno Unito, la patria della Magna Carta, e dichiarati rifugiato politico. Perché purtroppo è questo che sei, è questo che siamo potenzialmente tutti ogni giorno, in questo Paese.
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