Intanto politicamente è più fermo di un elefante nelle sabbie mobili
La fronda è finita, Renzi va in pace. Dalla minoranza Pd ai centristi, il premier non ha nemici veri nel Palazzo
Pubblicato: 08/07/2016 17:11 CEST Aggiornato: 08/07/2016 17:12 CEST
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È tornata l’afa nei Palazzi. Il temporale del caso Alfano, col suo carico di familismo, tra assunzione del fratello e valanghe di curriculum segnalati padre, è già finito. Portando via le nubi della crisi di governo: “Massì – dice quella volpe di Cicchitto – si può dire che è rientrata. È subentrata l’esigenza di riflettere: la situazione è delicata, la crisi, le banche…”.
Proprio giovedì sera Alfano ha preso di petto Renato Schifani, il capo dei frondisti, pronti a creare un incidente parlamentare per mandare sotto Renzi: “Se vuoi fare il capogruppo non puoi sostenere una linea opposta rispetto alla mia”. Alla fine dell’incontro Schifani ha vergato il comunicato di sostegno incondizionato al governo. Sostegno che arriverà, con solo qualche distinguo, anche da Ala. Insoddisfatti, i senatori verdiniani, senza poltrone, senza più luci della ribalta, senza voti nel paese, ma la domanda è: “Quale è l’alternativa?”. Auricchio è tornato a bussare a Forza Italia, Ruvolo, grande difensore di Totò Cuffaro ai bei tempi, si aggira per il Palazzo Madama contrariato perché “siamo rimasti in piedi, senza poltrone”, tutti dicono che “Denis si è visto gli affari suoi senza che noi incassassimo nulla”, ma, al dunque, non succede nulla. Anzi la prossima settimana saranno lanciati i comitati dei sì di Ala per i quali Verdini&Co sono alla ricerca di una figura di alto profilo, liberale, spendibile, alla Marcello Pera. Proprio lui, spiegano, se accettasse sarebbe l’ideale.
Al momento dunque, secondo i ben informati, la mitica fronda di Ncd non supera le tre unità. E l’altrettanto mitica fronda di Ala non supera le quattro. Il livello di debolezza degli aspiranti avversari di Renzi si misura dal rapporto inverso vissuto in queste ore col cronista: “Avete nuove notizie – chiede uno di loro – su Alfano? Nuove carte che tengano su il caso?”. Frasi che mal si addicono a nemici da far tremare. L’ex ministro Mario Mauro, uomo di grande esperienza parlamentare, riflette proprio su questo: “I nemici più forti di Renzi non sono in Parlamento ma nei luoghi che Renzi ha provato ad occupare. Domando: da dove vengono le intercettazioni su Alfano? Dalla Finanza che non ha gradito la nomina di Toschi. Così come ha avuto e avrà conseguenze la guerra scatenata dentro l’Eni. E se le posso fare una previsione accadranno cose sulle banche, dove c’era un disegno di potere attraverso le norme sulle popolari”.
A sentire i frondisti, complottardi e congiurati, ti spiegano che il sereno dopo la pioggia in verità è apparente. Vedi Franceschini, sussurrano dentro il Pd. Il segnale lo ha dato alla direzione del Pd, quando disse “dopo il referendum dovremmo ragionare sulla legge elettorale”. Dato il segnale, tutti fermi. Un parlamentare che lo conosce bene interpreta così la raffinata tattica: “A nessuno conviene fare la crisi e drammatizzare ora. Perché accelerare ora rischiando di fare un assist a Renzi? Anzi, ora vanno fugati i sospetti. Per questo Dario ha fatto uscire sui giornali Rosato e Giacomelli con un messaggio in linea”. In attesa dell’auspicato crollo, il massimo dell’opposizione a Renzi è un’ammuina sulla campagna referendaria. In pochi, anche nella sua maggioranza, sono seriamente mobilitati. Qualche convegno, qualche iniziativa in sale non proprio affollate. Insomma, tu chiamala se vuoi “attesa”, non “lotta politica”.
Uno che per fare un po’ di battaglia ha cambiato partito è Alfredo D’Attorre: “Ma di che parliamo? Questo Parlamento col miraggio del 2018 ha consentito tutto e consentirà tutto. Ormai è chiaro: il cambio di fase non avverrà per via parlamentare. Mi auguro che chi non ha votato questa legge elettorale, si schieri nel paese in vista di ottobre”. Il riferimento, neanche tanto implicito è alla sinistra dem. Anzi, a quella che Massimo D’Alema chiama “la cosiddetta minoranza dem, diciamo”. Dopo la pausa, l’aggettivo, che oscilla tra “inconcludente”, “innocua” al “non capiscono nulla di politica”. L’unico, vero, nemico a sinistra del renzismo è il lider maximo, attualmente extraparlamentare, nel senso che è fuori dal Parlamento. Da più di un anno ha identificato, diversamente da Bersani&Co nel governo il punto da attaccare, per aprire la una nuova fase. Aveva suggerito di votare contro il jobs act, mentre Bersani mise Epifani e Damiano a mediare. Ora si è schierato sul no al referendum, mentre Bersani quella sillaba “no” non l’ha mai pronunciata. Né qualcuno dei suoi ha pronunciato una sola parola sul familismo alfaniano, per non correre i rischio di destabilizzare il quadro.
Racconta un parlamentare di fede bersaniana: “Pier Luigi prima della direzione ci ha portati a cena per fare un punto. Lui dice che si deve far cambiare linea al Pd ma non far saltare il governo perché, dice, siamo sulla stessa barca. Mentre per Massimo la barca va affondata. Il primo ha la logica della Ditta emiliana, l’aggiustamento, la mediazione. L’altro ha logica comunista della grande manovra per attuare un disegno”. Un disegno che al Colle non trova una sponda ma un semplice notaio: “Mattarella – dice un vecchio amico della Dc – in cuor suo spera che vinca il sì perché ha a cuore la stabilità del sistema. E se vincesse il no avrebbe da gestire un casino di dimensioni enormi”. Ma nel Palazzo, da qualche parte, un avversario vero c’è?
La fronda è finita, Renzi va in pace. Dalla minoranza Pd ai centristi, il premier non ha nemici veri nel Palazzo