Giorgio Ambrosoli (1933-1979) è stato un famoso avvocato italiano, considerato un vero paladino della giustizia del suo tempo, martire della mafia e soprannominato anche "eroe borghese".


Nato a Milano da una famiglia borghese e conservatrice, riceve una "robusta educazione cattolica" frequentando il liceo classico Manzoni, e si lega al movimento monarchico in gioventù, militando poi nell'Unione Monarchica Italiana per tutta la vita. Nel 1952 s'iscrive, seguendo l'esempio del padre impiegato di banca, alla facoltà di Giurisprudenza alla Statale di Milano e, dopo la laurea nel 1958, inizia l'attività professionale in studio legale. Nel 1962 sposa, nella chiesa di San Babila, Anna Lorenza Gorla, per tutti "Annalori", dal loro matrimonio nascono tre figli. Dopo alcuni anni di attività, dal 1964 inizia a specializzarsi nel settore fallimentare delle liquidazioni coatte e viene chiamato a collaborare con i commissari liquidatori della Società finanziaria italiana, un'azienda pubblica che si occupa di partecipazioni finanziarie.


Nel settembre 1974 viene nominato, per la sua serietà e intransigenza, dall'allora governatore della Banca d'Italia Guido Carli commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, guidata sull'orlo del crack finanziario dal banchiere siciliano mafioso Michele Sindona, al fine di esaminarne la situazione economica prodotta dall'intricato intreccio tra la politica, alta finanza, massoneria e Cosa Nostra. La Banca Privata è una banca milanese fondata negli anni ‘50, un istituto piccolo, con uno sportello solo. Il mafioso Sindona ne aveva acquistato la quota maggioritaria e, tenendo alcuni soci di minoranza tra cui l'Istituto per le Opere di Religione, l'aveva fusa con la "Banca Unione", creando la Banca Privata Italiana. Proprio nella Milano del dopoguerra, Sindona aveva conosciuto il mafioso italoamericano Joe Adonis che lo aveva presentato a tutta la Cosa Nostra d'oltreoceano, perfino a Lucky Luciano per la sua spregiudicatezza e affidabilità, arrivando ai massimi vertici della criminalità organizzata occidentale. Negli anni '70 la banca di Sindona ha buchi finanziari di centinaia di miliardi, spariti senza che nessuno sappia dove trovarli. Proprio mentre Sindona viene nominato “uomo dell’anno” dall’ambasciatore degli Stati Uniti e “salvatore della Lira” da Giulio Andreotti. Nel frattempo la Banca d’Italia trova gravi irregolarità contabili. Quando Ambrosoli entra per la prima volta nello studio privato di Sindona, cuore del capitalismo italiano, incomincia a capire il personaggio, la sua megalomania, il piacere dei grandi banchieri di apparire raffinati nel giro delle speculazioni, staccati dalla volgarità del tempo, imbattibili nelle cose concrete ma con gusti eleganti. Nessuno dei due proviene politicamente da sinistra, entrambi per tradizioni, sebbene diversissime, provengono anzi da ambienti anticomunisti.


Ambrosoli raccoglie i libri contabili e documenti per inventariarli e a ogni semestre presenta alla Banca d’Italia una relazione sulla situazione patrimoniale della Banca Privata Italiana e sull’andamento della gestione e un'eventuale sorveglianza. Nel frattempo gli giungono proposte di "salvataggio" dell'istituto di credito, perfino dai fedelissimi di Andreotti, ma sempre ritenute da lui impraticabili. Iniziano i tentativi volti a corromperlo e a dissuaderlo con minacce, Ambrosoli non cede e sa di correre grossi rischi. Alla fine conferma che è necessario liquidare la banca e riconoscere una responsabilità penale nel suo "capo". A sostenerlo ci sono Silvio Novembre, maresciallo della Guardia di Finanza, e il politico di vecchia data Ugo La Malfa. Nonostante le minacce di morte, lo Stato italiano non gli accorda comunque alcuna protezione. Nel 1977 lo stesso Licio Gelli tenta una mediazione con quell'"arrogante" avvocato monarchico meneghino, che pesta i piedi ai potenti, alla Chiesa, alla Democrazia Cristiana e le opposizioni tacciono, nessuno lo difende. Le pressioni e minacce si susseguono fino al gennaio 1979, ormai anche la famiglia ne è consapevole, pure i figlioletti. Alla fine, l'11 luglio 1979, davanti alla sua porta di casa, il sicario mafioso italoamericano William Joseph Aricò, pagato 50mila dollari da Sindona, si scusa ad Ambrosoli che sta rientrando da una cena in trattoria e lo uccide con tre colpi di rivoltella. Le richieste di estradizione di Sindona da parte dell'Italia agli Stati Uniti sono insistenti, ma il governo di Washington procrastina, lasciandolo vivere in un attico lussuoso sulla Fifth Avenue, dandogli il tempo di trasferire svariati miliardi sui conti della DC e dei servizi segreti italiani.