Originariamente Scritto da
Bèrghem
I nuovi disastri della questione meridionale
Sulla spesa sanitaria il ministro Tremonti è stato lapidario: è un disastro. Il collega Sacconi non è stato da meno: “Spesa devastante al Centro-Sud”. Campania e Molise sono commissariate perché i disavanzi, secondo il governo, non possono essere coperti con ulteriori manovre fiscali.
Ogni lombardo versa in un anno quattromila euro in più rispetto a quello che riceve dalla pubblica amministrazione. Nel Veneto sono tremila e trecento, in Emilia tremila e seicento, in Piemonte mille e trecento e via di seguito. Dove finisce questo fiume di denaro quantificato in 75 miliardi? Semplice, a colmare i disavanzi del Sud. Ogni cittadino siciliano versa 2.648 euro in meno rispetto a quanto la mano pubblica spende per lui, per i calabresi sono 2.598 in meno, per i lucani 2.311, per i campani 1.137,
un deficit annuale che va colmato, per poi ricominciare da capo con gli avanzi di bilancio generati dalle imposte del Nord.
Nulla di scandaloso, anzi assolutamente normale in un Paese che fra due anni celebra i 150 anni dalla sua unità nazionale, e quindi fa della solidarietà uno strumento di coesione oltre che sociale anche patriottica. È andata avanti così dal dopoguerra e le motivazioni sono sempre state nobili. Del resto nella vicina Germania, che fonda la sua struttura sul federalismo, la ricca Baviera aiuta con un fondo di perequazione le parti più povere del Paese.
I bavaresi pagano il 4% del prodotto interno lordo come fondo di solidarietà, mentre al Nord d’Italia si arriva all’11%: la differenza ci sta se poi si vedono i risultati. Ma i dati sono impietosi:
nei tre anni dal 2003 al 2006 la cifra che il cittadino lombardo paga in più rispetto ai servizi ricevuti è cresciuta di 800 euro, mentre il rapporto tra dipendenti regionali e popolazione è di 0,42 su 1000. In Calabria, solo per fare un esempio, è di 2,28 su mille: cinque volte tanto.
È dell’ottobre 2008 la notizia che
il governo ha dato alla Regione Calabria 60 milioni per regolarizzare a tempo indeterminato 1.759 lavoratori socialmente utili, in grado, per dirla con le parole del presidente della Regione Loiero, di “svuotare il bacino del precariato regionale”. E questo dopo aver ripianato i bilanci dei Comuni di Roma e di Catania. Va detto per inciso che
Milano, nonostante l’Expo 2015 alle porte, non sa ancora se riuscirà a finanziare completamente le nuove metropolitane progettate.
Insomma, la disoccupazione al Sud è il problema, e sinora
si sono impegnati i fondi pubblici non per creare posti di lavoro, ma per dirottare verso la pubblica amministrazione parte della manodopera in esubero. La restante parte è a sua volta tacitata da sussidi e pensioni. Fra contributi versati e assegni previdenziali erogati la Lombardia presenta un saldo attivo, il Veneto (94%) è quasi in equilibrio e il Lazio (97%) anche, ma al Sud la percentuale è al 51,1% in Calabria, in Sicilia al 54,9%, come in Puglia: con le loro forze coprono la metà.
E il resto chi lo mette? Un mare di soldi non per produrre ricchezza ma sussidi. Il dramma del Meridione non sono le risorse. Dal 2007 al 2013 la Comunità europea darà al Mezzogiorno d’Italia 28 miliardi. La Spagna con i fondi strutturali dell’Ue ha fatto la sua fortuna e ha superato l’Italia nel reddito pro capite.
Dopo decenni bastano le parole sconsolate del vicepresidente di Confindustria, Andrea Moltrasio: “Come imprenditori non vogliamo più sentire parlare di fondi strutturali. Il gap infrastrutturale tra il Sud e il resto del Paese è rimasto intatto e
le risorse sono state in gran parte intercettate dalla criminalità organizzata”. Ecco, la questione meridionale è tutta qui.