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Discussione: Soldi

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    Predefinito Soldi

    Vi propongo un breve racconto di Gianfranco Marziano, Soldi, contenuto in un suo libro dal titolo "Niente da fare".
    Per chi fosse interessato a leggerlo tutto, supportando in tal modo lo scrittore, può acquistarlo qui:

    Niente da fare (e altri racconti) eBook: Gianfranco Marziano, Libero Peggiore: Amazon.it: Libri

    Il libro, come gli altri dell'autore, rappresenta una forte critica contro la società moderna ed i suoi orrori.

    SOLDI (Da Niente da fare)


    Fu in una splendida mattina di sole primaverile che Arturo I., aspirante
    fidanzato, si rese conto di aver finito i soldi, non i soldi di circostanza
    ma proprio gli ultimi soldi.
    Non andò subito nel panico, forse c’era qualche banconota
    di cui non si ricordava.
    Camminò compostamente fino alla sua stanza, chiuse la
    porta ed aprì lo scrigno di foggia tribale acquistato chissà dove e
    chissà da chi, e misteriosamente giunto a lui e da lui utilizzato come
    scatolino portasoldi.
    Era vuoto!
    Altro che cazzi, era proprio vuoto.
    Non vuotissimo, c’era comunque una sim della vodafone,
    un bigliettino di carta con un numero di cellulare ed una ricevuta di
    ritorno di qualcosa, ma per il resto era vuoto: nessuna moneta o
    banconota italiana o straniera.
    Richiuse il coperchio sul quale era incisa una divinità vu
    cumprà con gli occhi inespressivi da calamarone che sembravano
    fissarlo.
    Afferrò lo scatolino e si sedette sul letto sconsolato, era
    sicuro di ricordare una banconota da 50 o forse da 10…macchè.
    Non si riusciva a rassegnare, fece tutte le ipotesi: le aveva rubate
    sua cugina di 9 anni, le aveva rubate la cameriera, no…forse sua
    zia, o la signora che abitava sul pianerottolo,…forse sua madre...
    Si sdraiò e chiuse gli occhi.
    Per qualche minuto non accadde nulla poi gli si formò nella
    testa un videoricordo nitido di lui che apriva lo scatolino e
    n’estraeva una banconota da 10 euro, poi di una ricevitoria che
    faceva ricariche telefoniche. Aveva finito i soldi e l’estate non era
    nemmeno cominciata.
    Rubò una bottiglia di vino buono da casa, anche questa un
    regalo fatto chissà quando e chissà da chi e gelosamente custodita
    da sua madre in una scatola rossa con della paglia dentro.

    “Appena ho 2 euro compro una bottigliaccia al supermercato e la
    metto al posto di questa …figurati che se ne accorge…” pensò
    mentre osservava compiaciuto la fine etichettatura del bottiglio
    buono.
    Al calare delle prime tenebre si fece una doccia bollente,
    uno shampoo alle erbe, scelse i vestiti più Lapo che aveva e si
    avviò verso un angolo di strada ancora fumante di doccia con la
    bottiglia di vino sotto al braccio. Uscendo di corsa biascicò qualcosa
    ai genitori che assistevano cristallizzati ad un dramma pari
    solo a quello dell’11 Settembre: una laureanda in lettere aveva
    appena comunicato al presentatore simpaticissimo (chiamandolo
    per nome) che rifiutava l’offerta di 40.000 euro e che andava avanti!
    “Artù”, urlò la madre con voce concitata, “vieni a vedere sta ragazza,
    è di Agropoli. Vedi se la conosci!”
    Arturo non la degnò di una risposta anche perché Agropoli
    era a due ore di macchina da dove vivevano e inoltre lui c’era passato
    una sola volta negli ultimi 8 anni. Si precipitò nelle scale spandendo
    una scia tiepida che sapeva di bagnoschiuma silvestre con un
    retrogusto di palle umane al vapore.
    Il cellulare gli trillò proprio mentre incrociava per caso il
    suo grande amore segreto, una sconosciuta che incontrava solo di
    rado e che ogni volta si riprometteva di fermare. Questa gli lanciò
    uno sguardo proprio mentre il cellulare sbraitava a tutta forza un
    ridicolo motivetto natalizio.
    Arturo rispose immediatamente in uno stato confusionale,
    dal cervello gli erano partiti almeno 5 ordini, tutti diversi: fermala,
    rispondi al cellulare, spegni il cellulare, seguila, fermati.
    Erano i suoi amici, fermi in macchina e giunti con 2 minuti
    d’anticipo al luogo X dell’appuntamento.
    “Sto arrivando, sto arrivando,eccomi, vi vedo”.
    Eccome se li vedeva, si erano presentati con un macchinone blu
    confindustriale, avevano tutti il cappotto e il più scapestrato di loro
    lavorava in banca.
    “Amici” era un termine esagerato, diciamo piuttosto che
    erano degli amichevoli conoscenti di lunga data, amici di amici di
    scuola e di università, cordiali, seri, grossi lavoratori senza grilli per
    la testa, nemmeno a 15 anni.
    Che ci faceva lui con questi? Semplice: Carlo, un loro caro
    e comune amico festeggiava i fatidici 40 anni, per l’occasione
    aveva deciso di riunire un po’ di gente ed aveva chiesto di lui, del
    caro Arturo, l’esperto di Internet e di computer, il compagno occasionale
    di pesca, un bravo ragazzo. Ne aveva perso le tracce ed
    aveva incaricato degli altri comuni amici di rintracciarlo, cosa che
    questi avevano fatto prontamente e dopo un breve giro di telefonate
    e numeri inviati via sms da amici ad altri amici Carlo e Arturo avevano
    avuto una conversazione del tipo: “sei invitato, non trovare
    scuse, ti mando a prendere fin sotto casa…a proposito col lavoro
    come va?...Volevo proporti una cosa interessante, c’è una persona
    che vorrebbe conoscerti…”
    Questa prospettiva finale aveva convinto Arturo ad
    accettare l’invito, forse il mondo dei soldi non lo aveva esiliato per
    sempre.
    “Buonaseraaa”, esordì con un tono di voce falso e scemo mentre un
    elegante sportellone di macchina confcommercio si apriva con
    pesante e teutonica morbidezza.
    Si accomodò dietro, “ci stringiamo un poco” guaì una tipa
    invelettata che dimostrava 35 anni già al momento della nascita.
    Arturo si sentì subito a disagio in quel trionfo di cappotti, pelliccette,
    interni in pelle, ori e dopobarbi. Si paralizzò quasi subito e
    pensò che forse avrebbe dovuto almeno abbozzare una confezione
    alla bottiglia di vino che aveva in mano, ma gli sembrava di ricordare
    che qualcuno gli avesse detto che era più chic portarla così,
    sconfezionata. Per rompere il ghiaccio cominciò subito a presentarsi
    a tutti ed ovviamente ognuno di loro gli rispondeva più o meno
    con un sorriso leggermente velato dall’imbarazzo: “si, …già ci
    conosciamo”.
    La macchina rallentò, “ecco il nostro Roberto” fece il
    guidatore. Lo sportello si aprì dal lato di Arturo e salì uno che al
    momento della nascita non aveva nemmeno pianto ma aveva
    chiesto direttamente all’ostetrico se era possibile avere dei fazzolettini
    imbevuti per darsi una sistemata.
    Ora si stava un tantino stretti, Arturo era teso come se lo avessero
    messo in perizoma sulle montagne russe in braccio a dei froci
    pelosi. La macchina rallentò di nuovo e Roberto ne scese, poi
    questi rivolgendosi al guidatore disse (con un timbro di voce
    Unicredit-Capitalia) : “allora seguiamo te, ci fai strada!” e si avviò
    verso una macchina color sangue di tortora all’interno della quale
    ad Arturo sembrò di intravedere una Letizia Moratti (solo un po’
    più perbene) che li salutava. Tutti risposero al saluto con la mano,
    anche Arturo, più per paura che per educazione.
    Le macchine si incolonnarono verso le tenebre delle strade
    extraurbane e dopo qualche chilometro di case sempre più rade
    cominciarono ad inerpicarsi su dei tornanti collinari. Arturo non
    aveva mai percorso quelle strade e ne ignorava addirittura
    l’esistenza, si sentiva strano anche perché il viaggio era sottolineato
    da un silenzio imbarazzante, c’era un clima da esecuzione mafiosa,
    o almeno era questo che gli sembrava di percepire e, in una paranoia
    momentanea, si immaginò che tutta quella faccenda fosse una
    messinscena e che tutti gli occupanti di quella e delle altre macchine
    fossero tutti membri di una qualche setta satanico/
    confindustriale e che lo stessero conducendo ad una qualche
    sorta di cerimonia nella quale lui sarebbe stato stato sacrificato a
    satana che in cambio avrebbe fatto aumentare il Pil di due punti o
    che avrebbe defiscalizzat… La paranoia fu interrotta da una visione
    lontana. Gli sembrò di vedere dei fuochi incolonnati in doppia fila.
    Era proprio così.
    Due lunghi serpenti luminosi correvano lungo delle
    muragliette rustiche, su, su fino a quello che sembrava un gigantesco
    tempio Maya ma che ad un occhiata più ravvicinata si rivelò
    essere nient’altro che la sontuosa villa collinare del caro e ricco
    Carlo.
    Quando Arturo mise a fuoco tutta la struttura gli sfuggì un
    quasi “cazzo” che riuscì ad ingoiare a metà. Fermarono le macchine
    e scesero nel fresco di una campagna che odorava di boschi
    e lumache. Si incamminarono lungo un vialone stile Inca
    costeggiato ai lati da delle lanternine di terracotta, Arturo cominciò
    mentalmente a calcolare quanto poteva costare un vialetto del
    genere, tra lastricato, addobbi e cameriere addetto all’accensione e
    allo spegnimento delle lanternucce. Ricordava di aver regalato una
    lanternuccia simile a quelle (ma meno elaborata) a sua madre per il
    compleanno e a metà vialetto cominciò a pensare se non fosse il
    caso di gettare la bottiglia di vino che stava portando a mano. Un
    Matteo Arpe che guidava il loro gruppo bisbigliò qualcosa al cellulare
    e quasi immediatamente si spalancò la porta del villone collinare.
    Carlo li accolse come Dracula, a braccia aperte, in una posa
    maestosa amplificata dall’effetto controluce che gli conferiva
    un’aura irreale.
    Non appena che Arturo ebbe varcato quella soglia di luce
    Carlo lo abbracciò con fare affettuoso e regale disinteressandosi
    completamente degli altri, in quella espansività esagerata Arturo
    non percepì né affetto né un sintomo di latente omosessualità era
    semplicemente un modo subdolo per sottolineare l’inadeguatezza
    economica di arturo in quel contesto. “OOO Arturino non dovevi,
    gentilissimo”, disse Carlo con enfasi mentre gli sfilava la bottiglia
    di costoso vino pacchiano dalle mani e la porgeva con noncuranza
    ad una cameriera di nazionalità indefinibile. “Arturino” fu guidato
    nel salone della villa come un vagoncino da luna park, tutti gli sorridevano
    e lo salutavano con lo stesso affetto che avrebbero riservato
    ad nuovo cucciolo domestico di Carlo. Poco ci mancava che
    qualcuno gli accarezzasse la testa o che chiedesse al padrone di
    casa: “cos’è un pangolino?” , oppure: “quanto costa?”. Avevano
    quasi compiuto l’intero giro del salone quando giunsero nei pressi
    di una pianta gigante illuminata da una lampada gigante e vicino ad
    essa, disposti a semicerchio, stavano tre papere zitelle ed un beota
    con gilet che guardavano con aria rassegnata e fintamente compiaciuta
    uno stronzo grassoccio che si beatificava e si magnificava
    da solo ingozzandosi di stuzzichini tra una magnificata ed un’altra.
    Si chiamava Luciano De Crescenzo e la cosa che lo faceva incazzare
    di più nell’universo era che qualcuno appena presentatogli gli
    dicesse: “come lo scrittore?”, alchè lui solitamente rispondeva
    molto stizzito: “veramente lo scrittore sono io, semmai è quel pagliaccio
    che abusa del mio nome”, quindi cominciava a sciorinare una
    serie di aneddoti e prove deliranti in cui cercava di dimostrare a
    degli allibiti sconosciuti di come il De Crescenzo di fama nazionale
    abusasse dolosamente del suo nome e giocasse sull’omonimia per
    “sfruttare la reputazione di cui gode il sottoscritto in ambito accademico…”.
    Ovviamente non gli credeva nessuno e l’unica reputazione
    della quale universalmente godeva era quella di stronzo
    unitamente a quella di pidocchio e di rattuso. Tuttavia era uno
    ammanicatissimo e disposto a tutto ed aveva una determinazione
    marziale nel perseguire la fama, quindi i più preferivano tenerselo
    buono. Da ragazzo aveva bazzicato gli ambienti dell’estrema sinistra,
    evitando di compromettersi in alcunché ma pronto a scattare e
    ad attribuirsi meriti e gesta altrui al momento opportuno. Alla fine
    del liceo aveva dichiarato perentoriamente che si sarebbe iscritto a
    scienze politiche fulminando con disprezzo e con sentenze di fuoco
    i compagni borghesi che avevano espresso il desiderio di iscriversi
    a Giurisprudenza o a Medicina. Immaginatevi la faccia dei suoi
    amici più cari quando appresero (qualche mese dopo essersi iscritti
    loro a scienze politiche) che Luciano si era iscritto ad Economia
    e Commercio (in ossequio alle aspirazioni paterne). A metà degli
    anni 80 Luciano era convolato a nozze coi socialisti e a metà degli
    anni 90 aveva avuto un flirt con Forza Italia. Poi si era scoperto
    scrittore e aveva capito che la migliore cosa per un artista era
    ammantarsi di nebbie e puntare su tutto e su tutti. Aveva esordito
    con una raccolta di poesie erotiche (un opera incredibile ed inspiegabile
    considerando il suo modestissimo curriculum sessuale), si
    trattava di un libretto con copertina di cartone stampato con fondi
    pubblici da associazioni vicine ai comunisti, ai teatri, al jazz,a i giovani,
    alle balene, ai cani spersi e alle donne che vogliono imparare
    ad usare il computer. La seconda Opera invece era una rivisitazione
    di un opera poco frequentata di Shakespeare: il Macbeth, per la
    quale Luciano in veste di Autore e Regista era riuscito a farsi sborsare
    la bellezza di quasi 100 milioni da una direttrice di scuola elementare
    che aveva la caratura morale di un nemico di Batman e che
    gestiva il racket della cultura cittadina. La terza opera invece aveva
    rappresentato il trionfo e la definitiva consacrazione di Luciano nel
    mondo di quelli che contano: era una cagata di giallo pulp scritta a
    più mani (da inconsapevoli collaboratori) infarcita di personaggi e
    di luoghi comuni beceri e ultrascontati, ma in effetti il pregio del
    libro finiva per essere proprio quello, faceva così cagare che una
    qualsiasi casalinga si sentiva immediatamente a proprio agio nel
    leggere un mondo descritto proprio cosi come lei immaginava che
    fosse. Il libraccio era stato stampato da una casa editrice famosa e
    aveva venducchiato benino, poi il filone pulp era andato in crisi e
    Luciano si era riciclato come romanziere esistenzialista. Aveva
    venduto tipo 2000 copie di un cacatone sentimental-suicidale intitolato
    “E se domani”, il libro era andato malissimo nonostante lui
    si appostasse tra gli scaffali delle librerie cittadine ed obbligasse
    conosciuti e sconosciuti a comprarlo. Sembrava quasi che la sua
    carriera di scrittore fosse giunta all’epilogo, quando una bucchinara
    sessantenne ammanigliatissima con la Rai se ne era innamorata per
    vie traverse ed era riuscita a piazzare quell’aborto creativo in una
    fiction di due puntate, un produzione pozzo/tritasoldi piena zeppo
    di puttane, raccomandate/i, morti di fame, questuanti, fidanzati di
    maschi e un ex ed una ex famosi che non sapevano più a che santo
    votarsi. Tuttavia nemmeno questa cosa aveva avuto effetti duraturi
    e Luciano si era riciclato prima come saggista filosofico, poi come
    autore di testi per cantanti (aveva firmato i testi per uno che era
    stato scartato subito a Sanremo) ed infine si era riproposto come
    saggista socio-politico sull’onda dell’emergenza rifiuti napoletana
    e delle minacce a Roberto Saviano (che non aveva mai incontrato
    in vita sua ma che chiamava confidenzialmente “Roberto”).
    Ultimamente alternava dei momenti dannunziani all’impegno
    sociopoliticomeridionalista. Ovviamente non era credibile in nessuna
    delle due vesti. Come bohemienne decadentista faceva ridere
    perchè essendo un taccagno patologico viveva in uno squallore ed
    in un degrado da roulotte, mentre come intellettuale meridionalista
    napoletano suscitava imbarazzo perché l’accento e le scocche rosse
    tradivano origini più lucane che partenopee. Però quello di Napoli
    era l’ultimo trend nel quale valesse la pena azzupparci o almeno
    provare ad.
    Quella sera stava magnificando le sue glorie ad un pubblico
    composto da un paio di papere trentenni aspiranti giornaliste e ad una vecchia troiona aspirante amante di uno famoso quando Carlo
    lo interruppe con un tono ed un gesto molto elkanniano: “Professor
    De Crescenzo (professore era una qualifica che Lorenzo si era
    attribuito dopo aver tenuto un corso para-universitario finanziato
    dalle tasse degli studenti inconsapevoli) vorrei presentarle Arturo”.
    “Ah ecco il famoso Arturo, l’uomo che fa per me”, trillò
    l’intellettuale con l’alito che già arrivava ad un metro.
    Arturo gli porse la mano disorientato, le puttanelle circostanti
    capirono che si doveva parlare di cose concrete e che il loro ruolo
    diventava inutile, quindi si volatilizzarono.
    Il professore taccagno mise sotto Arturo di brutto, perché
    avendo subodorato la complicità di Carlo aveva capito che questo
    ragazzotto gli avrebbe potuto fare a 10 un lavoro per il quale normalmente
    ti avrebbero chiesto 100. In pratica l’esaltato saggista
    voleva realizzare un sito internet informativo delle sue attività, con
    tanto di collegamenti video di conferenze, presentazioni, saggistica
    consultabile on line, rassegne stampa, blog, podcast , insomma un
    lavoro da spaccarti il culo per il quale l’esimio farabutto sarebbe
    stato pronto a sganciare qualcosa. I termini di questo “qualcosa”
    rimanevano tuttavia estremamente vaghi.
    Dalle occhiate rassicuranti da garante che gli lanciava Carlo
    (che era rimasto sempre presente a quella contrattazione) Arturo ne
    arguì, erroneamente, che si trattava di un lavoro da svariate migliaia
    di euro, il professor De Crescenzo invece era intimamente convinto
    che non avrebbe sborsato una sola fetentissima lira e come
    suo solito al momento del conto avrebbe fatto balenare la possibilità
    al disgraziato di turno di qualche futuro guadagno mirabolante
    o di inserimento in qualche grosso affare o ente pubblico. Arturo e
    il professor-scrittor-saggista De Crescenzo Luciano si congedarono
    dopo il consueto scambio di numero di cellulari, “che hai tim?”,
    domandò il professor pidocchione, “si, tim” rispose Arturo perplesso
    (era il tipo domanda che di solito facevano le ragazze con
    poco credito sulle scheda)”ah bene, anche io ho tim” gongolò il
    taccagnone di rimando, “ho i minuti gratis”.
    A quella chiusura di gran classe Arturo sentì che la fiducia
    in un lauto guadagno cominciava ad incrinarsi e andò in cerca di
    qualcosa da bere.
    Al banco bibite c’era una ex-ragazza alta come un
    dinosauro, doveva essere una ex-fotomodella perché aveva quell’aria
    perennemente incazzata che hanno le fotomodelle quando si
    accorgono che il tempo per loro non ha fatto un’eccezione e non si
    e’ fermato. Il tipo che era con lei era alto quasi quanto lei, solo un
    po’ più profumato, le sussurrò qualcosa alla quale lei rispose con un
    monosillabo. Sembravano entrambi tesi, ma forse erano così da
    sempre. Un’altra coppia però attirò l’attenzione di Arturo, erano
    due un po’ fuori contesto. Dovevano essere dei neo-ricchi, o dei
    finti ricchi. Lui si dibatteva tra l’eleganza classica ed un look
    spregiudicato da calciatore cocainomane mentre la di lui signora
    era vestita da amante mignotta. Quella delle mogli vestite da amanti
    mignotte era una nuova categoria molto in voga che aveva preso
    piede da quando gli uomini si erano disinteressati al sesso attivo ed
    avevano abbracciato il sesso ostentato. Perché avere ancora
    un’amante che tutto sommato non era poi molto dissimile dalla propria
    moglie e che inoltre comportava tutta la fatica del dovertela
    scopare, messaggiare, scarrozzare e sopportare?
    Meglio quindi far bardare la propria moglie da amante
    mignotta, salvare la faccia in pubblico e risparmiare soldi e salute.
    La signora mignotta però non si sentiva a proprio agio, abituata a
    palestre di periferia e stabilimenti balneari, dove era circondata da
    una fascia di 25-45enni sempre prodighi di sguardi, bigliettini,
    complimenti e proposte esplicite, si sentiva a disagio nel galleggiare
    tra l’indifferenza generale da circa un’ora.
    Attaccò bottone con Arturo più per disperazione che per
    altro. Il marito li osservava con distacco, era preoccupato dalle rate
    della barcona usata che aveva acquistato nella primavera dell’anno
    precedente. Avevano trascorso l’estate su un catafalco che si beveva
    100 euro al giorno come se niente fosse, e che tutto sommato
    non era servito ad altro che a fare da materassino a motore per la
    moglietta in topless e perizoma al largo della costa cilentana.
    Neanche i gabbiani se li erano cacati e già meditava di venderla, ma
    a chi? Ad un altro stronzo come a lui che poteva pagargliela a tanto
    alla volta? E dove lo trovava uno così stronzo? Magari a quella
    festa, magari…se solo qualcuno gli avesse rivolto la parola. Nel
    parlare del meno e del sottozero con quel mignottone così inopportunamente
    abbronzato Arturo fu colto da un’improvvisa ed intensa
    malinconia. Abbandonò quel mini gruppo e si isolò dal party cercando
    una angolo isolato dove agonizzare come quei topi avvelenati
    che stanno per morire. Giunse in uno spicchio di sala dal quale
    ebbe una visione d’insieme, quindi comprese con orrore che,
    nonostante fosse forse il più povero di tutti, era circondato da persone
    egualmente tristi. Non disperati, ma tristi. Dallo spazio lontano
    gli arrivò un’informazione postata chissà da chi e chissà come:
    gli uomini non ce l’avevano fatta, i soldi avevano vinto su di loro.
    I soldi erano vivi, erano un essere, un biota, e tutta l’esistenza non
    era che illusione. I soldi erano Dio poiché ne avevano gli attributi.
    Erano onnipotenti, onnipresenti e grazie al web avevano compiuto
    un salto evolutivo finale:l’onniscienza. Ora tutta l’economia era in
    collegamento in tempo reale in ogni parte del mondo, gli uomini
    perdevano tempo a consultare i dati ma Essa era i dati, un unico
    grande metaorganismo potentissimo che non necessitava di una
    coscienza. Arturo era costernato, stava affacciandosi su un concetto
    più grande della sua mente, forse più grande di qualsiasi mente
    umana, era in trance mentre una verità suprema gli appariva sempre
    più nitida.
    Ma ebbe paura di continuare, o forse l’economia essendosi
    accorta che qualcuno stesse violando il suo segreto corse ai ripari.
    Arturo senti che stava per morire, prima un battito di cuore a vuoto,
    poi due, sentì che stava per andare nel panico. Posò il cocktail, le
    gambe gli diventavano molli, le mani fredde, un freddo strano,
    intenso ed interno, poi nausea e poi la voglia di sdraiarsi e di avere
    un equipe di dottori House e tutta la tecnologia del mondo, vi prego
    salvatemi, sto morendo, mi sento male, devo sdraiarmi, devo stendermi,
    non posso svenire, non conosco nessuno, un bagno, un terrazzo,
    un pavimento freddo, un cesso bellissimo, delle bellissime
    mattonelle, come sono fredde, ma sono piacevoli, chissà quanto
    costano, chissà se muoio, è stata l’economia, sono stati i soldi, sono
    vivi, ho scoperto il loro segreto, aiuto, non voglio morire, non lo
    dirò a nessuno, non fatemi morire, non lo dirò a nessuno, a nessuno.
    La mattina dopo Arturo non morì, scese di casa, incrociò
    quella che tanto gli piaceva, la guardò bene, non era così bella,
    anche lei sembrava disperata, non gli piaceva più. Camminò a
    lungo, sempre dritto, poi girò e tornò indietro. Sperava che gli
    venisse qualcosa da pensare, ma non gli venne niente.
    C’era qualcosa con dei grandi vetri, delle scritte e dei
    pupazzi colorati a mano, sullo sfondo si muoveva qualcosa. Si
    avvicinò incuriosito e guardò meglio, c’erano delle reti, dei tappeti
    colorati, una casetta, e delle palline isolate. In mezzo a quel nulla
    c’era un bambino, avrà avuto nemmeno due anni. Si muoveva perplesso
    in quello spazio colorato, cosi vuoto e così confortevole.
    Una signorina col maglioncino celeste ed una catenina d’oro lo
    guardava a braccia conserte. Il bambino si girava, agitava qualcosa,
    ma il suo entusiasmo scemava nel nulla, guardava l’adulta come
    per chiederle spiegazione: dove era tutto? Dove erano gli altri?
    In fondo alla strada c’era un salumiere coi clienti in coda e
    in fondo alla coda c’era un ragazzo, doveva essere un muratore.
    Attese il suo turno e comprò una colazione con del salame, formaggio
    e dei carciofini sott’olio, poi chiese anche una Peroni.
    Arturo pensò ai carciofini sott’olio Quel piccolo lusso gastronomico
    a quanto corrispondeva in ore di lavoro? Pensava a quel
    povero cristo con le scarpe sporche di cemento, che si nutriva per
    lavorare, non riusciva a levarselo dalla testa. Era una bella giornata
    di sole, ma nessuno se ne sarebbe accorto. I soldi si erano presi
    tutto.
    Ultima modifica di Majorana; 16-06-13 alle 00:13
    ████████

    ████████

    Gli umori corrodono il marmo

 

 

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