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Discussione: BAARìA

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    Predefinito BAARìA

    L'atteso film del regista siciliano: una grande epopea
    accolta in sala con lunghi applausi. Più tiepida la stampa
    Bagheria come l'Italia
    dall'innocenza alle bustarelle
    di NATALIA ASPESI
    VENEZIA - Baarìa inizia con un bambino che corre velocissimo lungo una strada di terra tra vecchie case percorse da carretti tirati da muli; 150 minuti dopo si chiude con un bambino che corre velocissimo tra i fitti palazzi della speculazione, nella stessa strada ormai trafficata da un muro di automobili e moto. Sono passati sessant'anni, a Bagheria, 60 mila abitanti, alle porte di Palermo: là è nato 53 anni fa Giuseppe Tornatore, che se l'è tenuta nel cuore anche dopo averla lasciata a 28 anni, e adesso finalmente è riuscito a raccogliere tutte le storie che hanno attraversato la sua infanzia e giovinezza, i personaggi che l'hanno colorata con le loro voci e le loro facce, per farne un grande film, autobiografia sua, di un paese, di un'epoca, di un'Italia che lui stesso non sa giudicare se peggiore o migliore di quella di oggi.

    La grande forza del film, da cui gli spettatori italiani saranno privati per ragioni di mercato, è che la folla di attori che lo popolano parla in dialetto baarioto, con quelle grida gutturali che ci ricordano una regione, una nazione che avevamo dimenticato in tutta la sua sottomissione primitiva, la sua superstiziosa rassegnazione, il suo abbandono. In italiano il film, accolto ieri in modo tiepido dalla stampa internazionale, ma con dieci minuti di applausi nella proiezione con il pubblico, sarà più comprensibile, ma certamente meno commovente e ipnotizzante, perché i suoni di quella lingua quasi selvaggia, aderiscono, completamente alle persone e ne esaltano le storie. Ci sono gli anni del bambino Cicco, quelli del fascismo e della mafia più primitiva, che va a fare il pastore sulle Madonie e in cambio la famiglia riceverà una provola e qualche primosale. I raccoglitori di olive vengono perquisiti perché non si nascondano addosso un frutto; se no anche un bambino verrà spinto più volte da due uomini contro un albero, affinché impari la lezione dell'obbedienza. Cicco si rifiuta di cantare l'inno al duce e lo sbattono dietro la lavagna: dovrà comunque smettere di studiare perché la capra gli ha mangiato il libro di scuola. Nella miseria Cicco diventa adulto, mette su famiglia, arriva il figlio Peppino e sua sarà la storia centrale di Baarìa. Lo interpreta il siciliano Francesco Scianna, bravo attore di teatro. È lui il comunista, che il giorno della strage di Portella delle Ginestre, farà sfilare i compagni in silenzio con il bottone del lutto sulla camicia, è lui che dopo la guerra, nel locale dove le donne e gli uomini ballano separati, avrà il coraggio di invitare la ragazza che già ama, e che è la bellissima siciliana Margareth Madè, modella al suo primo film. Peppino è così povero che non può neppure organizzare la fuitina: i due innamorati si chiuderanno in cucina mentre le donne di famiglia fuori gridano al disonore, con poca convinzione, perché così si fa, tanto poi si sposeranno.

    Tornatore pensava a questo suo film da anni, raccogliendo storie che gli avevano raccontato la nonna, i genitori, gli amici, ricordi di facce, voci, paesaggi, ma anche fantasie, nostalgie, forse rimorsi. Un film grande, corale, che mostrasse gli infiniti spazi delle meravigliose Madonie e nello stesso tempo gli angusti squallidi luoghi di vita, gli stracci dei braccianti e i cappelli dei padroni, le bocche sdentate dei poveri e quelle luccicanti d'oro dei ricchi, l'architettura sontuosa di villa Palagonia con i suoi mostri e gli antri miserevoli dove si nasce, si vive, si ama, ci si ammala e si muore. La storia del cinema è piena di film sulla Sicilia, non solo italiani: storie di mafia soprattutto, di padrini, ma anche di aristocrazia, di pescatori, di braccianti, di piccola borghesia. Tornatore tutte queste storie le ha riunite in un solo film, coraggiosamente. Con quei suoi modi gentili, quasi indifesi, il regista è riuscito a riunire tutto il meglio del cinema italiano, attori abituati ad essere protagonisti, che hanno accettato ruoli di pochi minuti: Monica Bellucci è in un lampo abbracciata a un muratore, spiata dai ragazzi della scuola col permesso dell'insegnante, Lina Sastri è una mendicante-indovina che gira con un figlio scemo, Luigi Lo Cascio, Raoul Bova un giornalista dell'Unità, Angela Molina la nonna, Ficarra e Picone due amici, Enrico Lo Verso un pastore, Michele Placido l'esponente del Pci. Gli attori professionisti sono 63, i non professionisti 147, le comparse 35.000. Gli episodi sono brevi, si accavallano, dando a tutto il film un ritmo di vita che la musica di Ennio Morricone sottolinea con la solita efficacia.

    Tutto appare lieve, fermo in un tempo di cui oggi Tornatore ci fa sorridere, come se il presente fosse diverso, mentre è diverso solo nelle forme, nei rumori, negli abiti che ormai nascondono le differenze e la povertà; la polizia di Stato che disperde le manifestazioni contadine, l'assessore all'urbanistica cieco che si fa fare la pianta della città in rilievo per passarci sopra le mani e prende le bustarelle per le concessioni edilizie, la tracotanza dei politici e la mafia, che solo si è fatta meno rustica e più potente. Poi c'è Tornatore bambino: quando a 5 anni il papà lo porta al cinema a vedere Uno sguardo dal ponte, quando riesce ad avere fotogrammi di Catene, di Salvatore Giuliano, di Il Vangelo secondo Matteo. Di quella Bagheria che ha amato e da cui è fuggito, non rimane quasi nulla e tornandoci a trovare sua madre che abita in campagna, la raggiunge direttamente senza fermarsi in città, se non pochi momenti, per ritrovare gli ultimi amici comunisti.
    (3 settembre 2009)

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  2. #2
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    Predefinito Rif: BAARìA

    Citazione Originariamente Scritto da danko Visualizza Messaggio
    L'atteso film del regista siciliano: una grande epopea
    accolta in sala con lunghi applausi. Più tiepida la stampa
    Bagheria come l'Italia
    dall'innocenza alle bustarelle
    di NATALIA ASPESI
    VENEZIA - Baarìa inizia con un bambino che corre velocissimo lungo una strada di terra tra vecchie case percorse da carretti tirati da muli; 150 minuti dopo si chiude con un bambino che corre velocissimo tra i fitti palazzi della speculazione, nella stessa strada ormai trafficata da un muro di automobili e moto. Sono passati sessant'anni, a Bagheria, 60 mila abitanti, alle porte di Palermo: là è nato 53 anni fa Giuseppe Tornatore, che se l'è tenuta nel cuore anche dopo averla lasciata a 28 anni, e adesso finalmente è riuscito a raccogliere tutte le storie che hanno attraversato la sua infanzia e giovinezza, i personaggi che l'hanno colorata con le loro voci e le loro facce, per farne un grande film, autobiografia sua, di un paese, di un'epoca, di un'Italia che lui stesso non sa giudicare se peggiore o migliore di quella di oggi.

    La grande forza del film, da cui gli spettatori italiani saranno privati per ragioni di mercato, è che la folla di attori che lo popolano parla in dialetto baarioto, con quelle grida gutturali che ci ricordano una regione, una nazione che avevamo dimenticato in tutta la sua sottomissione primitiva, la sua superstiziosa rassegnazione, il suo abbandono. In italiano il film, accolto ieri in modo tiepido dalla stampa internazionale, ma con dieci minuti di applausi nella proiezione con il pubblico, sarà più comprensibile, ma certamente meno commovente e ipnotizzante, perché i suoni di quella lingua quasi selvaggia, aderiscono, completamente alle persone e ne esaltano le storie. Ci sono gli anni del bambino Cicco, quelli del fascismo e della mafia più primitiva, che va a fare il pastore sulle Madonie e in cambio la famiglia riceverà una provola e qualche primosale. I raccoglitori di olive vengono perquisiti perché non si nascondano addosso un frutto; se no anche un bambino verrà spinto più volte da due uomini contro un albero, affinché impari la lezione dell'obbedienza. Cicco si rifiuta di cantare l'inno al duce e lo sbattono dietro la lavagna: dovrà comunque smettere di studiare perché la capra gli ha mangiato il libro di scuola. Nella miseria Cicco diventa adulto, mette su famiglia, arriva il figlio Peppino e sua sarà la storia centrale di Baarìa. Lo interpreta il siciliano Francesco Scianna, bravo attore di teatro. È lui il comunista, che il giorno della strage di Portella delle Ginestre, farà sfilare i compagni in silenzio con il bottone del lutto sulla camicia, è lui che dopo la guerra, nel locale dove le donne e gli uomini ballano separati, avrà il coraggio di invitare la ragazza che già ama, e che è la bellissima siciliana Margareth Madè, modella al suo primo film. Peppino è così povero che non può neppure organizzare la fuitina: i due innamorati si chiuderanno in cucina mentre le donne di famiglia fuori gridano al disonore, con poca convinzione, perché così si fa, tanto poi si sposeranno.

    Tornatore pensava a questo suo film da anni, raccogliendo storie che gli avevano raccontato la nonna, i genitori, gli amici, ricordi di facce, voci, paesaggi, ma anche fantasie, nostalgie, forse rimorsi. Un film grande, corale, che mostrasse gli infiniti spazi delle meravigliose Madonie e nello stesso tempo gli angusti squallidi luoghi di vita, gli stracci dei braccianti e i cappelli dei padroni, le bocche sdentate dei poveri e quelle luccicanti d'oro dei ricchi, l'architettura sontuosa di villa Palagonia con i suoi mostri e gli antri miserevoli dove si nasce, si vive, si ama, ci si ammala e si muore. La storia del cinema è piena di film sulla Sicilia, non solo italiani: storie di mafia soprattutto, di padrini, ma anche di aristocrazia, di pescatori, di braccianti, di piccola borghesia. Tornatore tutte queste storie le ha riunite in un solo film, coraggiosamente. Con quei suoi modi gentili, quasi indifesi, il regista è riuscito a riunire tutto il meglio del cinema italiano, attori abituati ad essere protagonisti, che hanno accettato ruoli di pochi minuti: Monica Bellucci è in un lampo abbracciata a un muratore, spiata dai ragazzi della scuola col permesso dell'insegnante, Lina Sastri è una mendicante-indovina che gira con un figlio scemo, Luigi Lo Cascio, Raoul Bova un giornalista dell'Unità, Angela Molina la nonna, Ficarra e Picone due amici, Enrico Lo Verso un pastore, Michele Placido l'esponente del Pci. Gli attori professionisti sono 63, i non professionisti 147, le comparse 35.000. Gli episodi sono brevi, si accavallano, dando a tutto il film un ritmo di vita che la musica di Ennio Morricone sottolinea con la solita efficacia.

    Tutto appare lieve, fermo in un tempo di cui oggi Tornatore ci fa sorridere, come se il presente fosse diverso, mentre è diverso solo nelle forme, nei rumori, negli abiti che ormai nascondono le differenze e la povertà; la polizia di Stato che disperde le manifestazioni contadine, l'assessore all'urbanistica cieco che si fa fare la pianta della città in rilievo per passarci sopra le mani e prende le bustarelle per le concessioni edilizie, la tracotanza dei politici e la mafia, che solo si è fatta meno rustica e più potente. Poi c'è Tornatore bambino: quando a 5 anni il papà lo porta al cinema a vedere Uno sguardo dal ponte, quando riesce ad avere fotogrammi di Catene, di Salvatore Giuliano, di Il Vangelo secondo Matteo. Di quella Bagheria che ha amato e da cui è fuggito, non rimane quasi nulla e tornandoci a trovare sua madre che abita in campagna, la raggiunge direttamente senza fermarsi in città, se non pochi momenti, per ritrovare gli ultimi amici comunisti.
    (3 settembre 2009)

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    Sicuramente da vedere. Pochi giorni fa ho rivisto di Tornatore "Nuovo cinema paradiso". Prima parte davvero bella, un bel ritratto di tempi passati. Finale melenso. Comunque Baaria è un film da vedere.

  3. #3
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    Predefinito Rif: BAARìA

    Controcampo italiano. Delizioso debutto, tra mito lunare e cortina di ferro

    Piccoli comunisti crescono
    La "Cosmonauta" di Nicchiarelli

    Davide Turrini. Venezia

    La piccola Luciana è comunista. E non è da tutti a otto anni, in pieno 1957, gettare guantini, ombrellino, velo bianco proprio il giorno dalla santa comunione e fuggire a gambe levate oltre il sagrato. Gesto ribelle e anticonformista, che ricorda "Il laureato" e apre "Cosmonauta", opera prima di Susanna Nicchiarelli, produzione Fandango-Rai Cinema, ieri a Controcampo Italiano. Luciana (Miriana Raschillà) è una fervida sostenitrice del Pci proprio a ridosso delle prime esperienze del centro-sinistra italiano e a cavallo delle conquiste spaziali dell'Unione Sovietica. Una sorta di pedante preconizzatrice idealista di una via del progresso e dell'emancipazione femminile, tanto da proporre, tra le pernacchie dei compagni di sezione, una lettera al Cremlino per spedire una donna nello spazio. Epoca di utopie e rigorose sezioni comuniste nonostante le delusioni che, inevitabilmente, la politica regalerà (la storia si protrae fino al '63), "Cosmonauta" è anche storia intima, privata, supportata dal piglio comico di una ragazzina spregiudicata, decisa e bonariamente impulsiva alle prese con i turbamenti ideali e sentimentali della crescita. «La storia di Luciana mi è servita per raccontare un pezzo di storia del mio paese», racconta Nicchiarelli, «epoca dimenticata in cui la competizione tra due visioni del mondo divideva le nazioni e si giocava nell'orbita terrestre e nello spazio. La vicenda dimostra anche qualcosa che va oltre il tempo in cui svolge: indica come in un percorso di formazione si cerchino spesso altrove, nell'appartenenza ad un gruppo, in simboli e in definizioni inventate da altri, quei punti di riferimento che invece andrebbero cercati in noi stessi».

    Viva la Comune

  4. #4
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    Predefinito Rif: BAARìA

    Prodotto da "Medusa" ( proprietà di Silvio Berlusconi) tra l'altro...
    "Non posso lasciarti né obliarti: / il mondo perderebbe i colori / ammutolirebbero per sempre nel buio della notte / le canzoni pazze, le favole pazze". (V. Solov'ev)

  5. #5
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    Predefinito Rif: BAARìA

    Citazione Originariamente Scritto da Dr. Caligari Visualizza Messaggio
    Prodotto da "Medusa" ( proprietà di Silvio Berlusconi) tra l'altro...
    Da quello che so io se ti stai riferendo a Baaria Berlusconi ha detto che gli è piaciuto molto.

  6. #6
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    Quelle ombre rosse monito per la sinistra


    Liberazione 11/09/2009


    Devo confessarlo - Citto, me lo potrai mai perdonare? - sono andata a vedere "Le ombre rosse", l'ultimo film di Citto Maselli, con un carico di diffidenza e preconcetto. Stranamente, avendo il film tutti gli "ingredienti" per attirarmi. Sono andata a vedere questo film immaginando di trovarmi di fronte ad un pamphlet didascalico e noioso. Ed invece mi sono ritrovata di fronte ad una dolente riflessione, che mi ha scavato dentro. E mi sono cinematograficamente trovata di fronte ad un'opera corale, dove ogni figura è archetipo dei vizi, annosi ed esiziali, della sinistra. Già in "Lettera aperta a un giornale della sera", quarant'anni fa, Maselli ci metteva in guardia da certe derive dell'intellettualità di sinistra. Sembra quasi che in questi decenni questa intellettualità sia stata solo capace di scollarsi ancor più dalla realtà, di parlarsi addosso senza costrutto, di non vedere intorno a sé una realtà che andava mutando. E i clacson finali della destra in festa per la vittoria elettorale, infatti, colgono di sorpresa i nostri intellettuali, presi dalle loro conversazioni astratte. Loro non sapevano. Loro non immaginavano. Loro non credevano. Ombre rosse, appunto. Ombre. Una denuncia dei nostri limiti per svegliarci dal torpore che ci ha colto. Un grido di dolore di chi - militante di vecchia data - non può e non vuole accettare una sinistra che in gran parte si è suicidata. Non può e non vuole e non crede che questa possa essere la fine di tutto. Un monito per tutte e tutti noi affinché si cambi strada ora: forse non è troppo tardi. Alla fine, prima dei titoli di coda, ho avuto un soprassalto di commozione. Il film ha anche una dedica. E' dedicato a Sandro Curzi. E sono certa che il "nostro" direttore avrebbe molto amato questo film.

    Federica Pitoni via e-mail


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    Predefinito Rif: BAARìA

    20/1/2010 (21:15)
    "Baaria" fuori dalla corsa agli Oscar
    Esclusa la pellicola di Tornatore.
    Fuori anche il film di Almodovar.
    Superfavorito "Il nastro bianco"
    LOS ANGELES

    Era nell’aria e neanche Giuseppe Tornatore aveva dato l’idea di crederci più di tanto in questa nomination per il suo "Baaria", un ritratto della sua Sicilia forse troppo intimo e complesso per i palati americani, e che oggi è stato ufficialmente escluso dalla corsa all’Oscar. Dal 2006, infatti, anno dell’ultima nomination italiana, quella della "Bestia nel Cuore" di Cristina Comencini, i sessantacinque pretendenti all’oscar per il miglior film in lingua straniera vengono sfoltiti a nove un paio di settimane prima della cerimonia di premiazione.

    E in questi nove non figura "Baaria", mentre c’è invece "Il nastro bianco", pellicola tedesca diretta da Michael Haneke e superfavorita per il successo finale, dopo anche la recente vittoria ai Golden Globe. Gli altri otto sono: "El Secreto de Sus Ojos" di Juan Jose Campanella, "Samson & Delilah" di Warwick Thornton, "The World Is Big and Salvation Lurks around the Corner" di Stephan Komandarev, "Un Prophète" di Jacques Audiard, "Ajami" di Scandar Copti e Yaron Shani, "Kelin" di Ermek Tursunov, "Winter in Wartime" di Martin Koolhoven e "The Milk of Sorrow" di Claudia Llosa, Perù.

    Non è la prima volta che il regista siciliano è costretto a riporre le ambizioni da Oscar anzitempo, era accaduto infatti anche nel 2008, quando a rappresentare l’Italia agli Oscar era stato scelto il giallo "La Sconosciuta". Anche in quel caso Tornatore non aveva potuto bissare il successo del 1990, con Nuovo Cinema Paradiso, che invece gli valse l’Oscar. Tornatore era tornato a concorrere per la statuetta dell’Academy anche nel 1996, con "L’uomo delle stelle" ed anche in questo caso non aveva avuto successo. Il regista siciliano è in buona compagnia a sorpresa infatti neppure Pedro Almodovar con il film che vede protagonista Penelope Cruz "Gli Abbracci spezzati" è riuscito ad arrivare fra i nove film preselezionati. «Era importante che il film arrivasse negli Stati Uniti e che avesse una lunga vita. Il pubblico lo ha accolto bene e se i premi verranno sarò felice, ma sarebbero qualcosa in più» aveva detto Tornatore dopo il successo della presentazione americana del film.

    Il regista è rientrato ieri da Los Angeles a Roma, dopo la cerimonia di premiazione dei Golden Globe. Sembrano lontani, e da quel 1999 è passato più di un decennio, i tempi in cui Roberto Benigni trionfava agli Oscar con la sua indimenticabile passeggiata sugli schienali delle poltrone, l’abbraccio di Sofia Loren, e il lungo discorso che ne seguì. Quello è stato l’ultimo successo del cinema italiano in America, dopo Benigni qualche timido tentativo con film, se non in un paio di casi, mai veramente in grado di vincere. Una lunga lista che va da "Fuori dal mondo" di Giuseppe Piccioni, a "I cento passi" di Marco Tullio Giordana, "La stanza del figlio" di Nanni Moretti, "Pinocchio" di Roberto Benigni, "Io non ho paura" di Gabriele Salvatores, "Le chiavi di casa" di Gianni Amelio, "La bestia nel cuore" di Cristina Comencini, "Nuovomond" di Emanuele Crialese, "La sconosciuta" di Giuseppe Tornatore, e "Gomorra" di Matteo Garrone, tutti sconfitti, a molti, come ’Baarià, ancora prima di partire.

    "Baaria" fuori dalla corsa agli Oscar - LASTAMPA.it
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

 

 

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