Qualche domenica fa entrando in una chiesa ho notato un cartello dove si leggeva: "chi arriva in ritardo a messa non rispetta Dio e il popolo". Non ho resistito, ed a penna ho aggiunto: "Giuseppe Mazzini".
Qualche domenica fa entrando in una chiesa ho notato un cartello dove si leggeva: "chi arriva in ritardo a messa non rispetta Dio e il popolo". Non ho resistito, ed a penna ho aggiunto: "Giuseppe Mazzini".
Un parroco d'altri tempi.....
Con senescenza.
Già, il Mazzini.........
sembrava proprio un prete...........
@Allanim
mah, il maometto era forte, un vero laico..........
agaragar deve essere sinonimo di non-capisce-un-kaz...
accà nisciun è fessOriginally posted by Allanim
agaragar deve essere sinonimo di non-capisce-un-kaz...
a casa tua tutti.
Maometto liberò una parte del mondo dalla chiesa,
Mazzini......bè, era laico come Berlusconi(iscritto in europa al gruppo democratico cristiano)...
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Minalla ? MinallaH
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GIUSEPPE MAZZlNI PENSATORE
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di Ugo Della Seta
E' Mazzini un filosofo?
Vuota disputa intermittente tra sedicenti filosofi accademi-
ci e bizantineggianti.
Non si compiacque certo Mazzini di procedere raziocinan-
do e sillogizando. Ne ebbe intelletto portato alla fredda analisi
e alla indagine scientifica. Ne presunse creare un sistema entro
il quale poi chiudersi come baco nel proprio bozzolo.
Mazzini è un intuitivo. Il suo spirito è aperto ai quattro
venti dello spirito. la sua, più che dottrina, è fede. Una fede
nella quale il sentimento vivifica l'idea. Di qui il pathos del
suo stile.
Se non un filosofo nel senso tecnico della parola, Mazzini
del vero filosofo ebbe queste note essenziali: sentì profonda, la
religione del pensiero; la libertà del pensiero sempre rivendicò
contro ogni dogmatismo di scuola, teologico o politico; sem-
pre si richiamò al valore dei grandi principii; vide, come po-
chi, la unità inscindibile fra quanti problemi -facce diverse del
medesimo poliedro -costituiscono, come problema dell'essere,
del conoscere e dell'operare, il problema umano.
Ne per intero sarebbe delineata la sua forma mentis se o-
bliassimo altre due note in lui caratteristiche.
Mazzini, questo emotivo, questo intuitivo, ebbe, rigido, fer-
reo, il senso logico. Non semplice logica formale fu la sua, ma
logica reale, sostanziale. Una logica che per lui non è solo coe-
renza ideologica; non è solo, come disciplina di vita, come sie-
ro; è sopratutto criterio supremo di valutazione nel giudicare
gli stessi istituti civili e le leggi, è criterio essenziale nella stessa
interpretazione della storia.
Mazzini, questo spirito platonizzante, vivente intimamen-
te, malgrado la febbre dell'azione, nel mondo delle idee, ebbe
profondo, oltre il senso logico, anche il senso della storia. Pun-
to questo del suo pensiero non ancora abbastanza illustrato.
Perciò nulla di più antimazziniano che fare di Mazzini un
mito e giudicarlo al di fuori della storia. E' solo alla luce della
storia, cioè di quanto fu il movimento del pensiero in Europa,
nel secolo scorso, che è dato ancor oggi poter parlare, senza
cadere in dogmatiche interpretazioni, della continuità o della
perennità, viva e feconda, del mazzinianesimo.
Non si ha vera filosofia se, come fondamento, come coro-
namento, essa non si risolve in una visione della Vita.
La stessa filosofia, anzitutto, è per Mazzini vita, non una
congerie di aride formule più o meno sottilmente escogitate.
Vita e disciplina di vita. Orientamento non solo nella indagine
teoretica, ma nelle stesse pratiche attuazioni.
Mazzini è uno spiritualista. La parola idealismo oggi ha
mutato significato e potrebbe generare l' equivoco. Oltre il tan-
gibile, oltre il visibile, egli crede -senza disconoscere per que-
sto il valore dei fatti -crede nella suprema realtà dello spirito.
Nella prima metà del secolo scorso, con Rosmini, con Gio-
berti, egli, pur con altro orientamento, segna, in Italia, la prima
vigorosa reazione contro il sensismo, ancora insinuato, del se-
colo XVIll; contro il materialismo del Vogt, del Buchner e del
Moleschott; contro il positivismo del Comte e del Taine; come
contro ogni posizione eclettica (Cousin) o scettica (Renan).
Per quanto tempra fortemente volitiva, per quanto indefes-
so uomo d'azione, Mazzini rientra, come Emerson, nella sfera
dei grandi spiriti platonici.
E come nell'essere umano egli riconobbe interiori facoltà,
recondite energie che sfuggono alla normale psicologia, così
ebbe profondo, immanente, il senso del trascendente.
Tutta la sua fede per lui s'impernia attorno due trascenden-
tali certezze: esistenza di Dio e immortalità dell'anima. Motivi
dominanti nel suo pensiero. Fondamento spirituale, spirituale
coronamento della Vita.
Questa sua fede, se gli alienò i consensi dei cosidetti liberi
pensatori, non gli cattivò neppure le simpatie dei credenti alle
varie ortodossie delle varie chiese costituite. Per lui santa è l' e-
resia.
Il suo Dio, se non è un Dio politico, come erroneamente fu
detto, non è neppure un Dio imprigionato, se non materializ-
zato, nella dogmatica delle varie teologie. E' il suo un Dio di
Vita, la di cui azione è incessante, la di cui rivelazione è conti-
nua. Le varie religioni sono successivamente, nel tempo, gradi
di questa rivelazione. La nuova rivelazione -nuovo profeta
l'Umanità collettiva -dovrà segnare, nell'umanità stessa, un
maggior grado di educazione, di elevazione spirituale. Il moti-
vo è lessinghiano. Il Dio di Mazzini non chiede ai fedeli la cre-
denza in taluni dogmi, ne la partecipazione a certi riti: chiede
la santità della vita testimoniata dalla santità delle opere.
Mazzini è un grande moralista. Il suo è il Genio etico. Il
problema pratico, quello dell'operare, più lo appassiona del
problema teoretico, quello del conoscere. Più del problema
dell'essere egli si preoccupa, come fondamentale, del proble-
ma del dovere essere. Si ha in lui una visione etica di quanti
sono i massimi problemi dello spirito.
Una morale eteronoma, certo, la sua per il principio religio-
so su cui si fonda. Però non arida precettistica. E' una morale
sentita, proclamata, vissuta, testimoniata per un quarantennio
e più della sua tormentata esistenza.
Non è qui il caso di addentrarsi nei problemi particolari
che costituiscono, per così dire, il fondamento teoretico del
problema pratico.
Quale il criterio di giudizio per qualificare una azione? O-
gni azione, risponde Mazzini, va giudicata non nella sua este-
riorità, bensì nella sua interiorità, cioè nel fine che la determi-
na. E' buona azione quella il cui fine è rivolto al bene.
E come intendere il rapporto tra il bene e l'utile? La morale
utilitaria, caratteristica della scuola inglese, non ha avuto, co-
me in Mazzini, un critico più severo e convinto. Buoni alleati
in questo il Manzoni e, nella stessa Inghilterra, Carlyle. Egli si
fa assertore eloquente della morale disinteressata. Un qualcosa
dell'austero spirito kantiano parla in lui. L'utile, egli afferma, ci
potrà essere o non essere. Ci potrà essere l'utile come risultato
del bene; non mai l'utile prospettato come fine esclusivo del-
l'operare virtuoso. Come con la teoria dell'utile potreste espli-
care il sacrificio della madre, il martirio per un'idea? Il bene
per il bene, la virtù per la virtù, questa, inderogabile, la norma.
E come intendere il rapporto tra l'io e il noi, tra l' elemento in-
dividuale e l'elemento collettivo?
Ancora aperta la contesa. Vi sono scuole che in nome del-
l'io sacrificano là collettività (individualismo) o scuole che, in
nome della collettività sacrificano l'individuo (collettivismo).
Posizioni antitetiche ma convergenti in una medesima soluzio-
ne, in quanto soluzione unilaterale, esclusiva.
il problema, secondo Mazzini, non può essere posto così
come comunemente è posto, cioè in forma dilemmatica: que-
sta soluzione o quella. Trattasi invece di trovare il punto di in-
tersezione, onde tra i due termini si stabilisca un rapporto non
antitetico, ma armonico.
Preminente, afferma categoricamente Mazzini, è il fine col-
lettivo; e a questo fine ogni altro fine particolare deve essere
subordinato.
Però ogni ente, individuale o collettivo -l'individuo, la fa-
miglia, il Comune, la nazione -ha il suo proprio fine che con-
sacra, per così dire, il suo proprio destino.
Ma il conseguimento, per ogni ente, del proprio fine parti-
colare, si converte, alla sua volta, in mezzo per il consegui-
mento di un fine più generale. Così la piena affermazione del-
la personalità si converte in maggior potenziamento morale
dell'istituto della famiglia. Così la famiglia, difesa nella sua in-
teriore individualità, si converte in maggior potenziamento
della vita del Comune. Così il Comune, nella sua piena e sana
autonomia, è l'istituto nel quale già si afferma ed opera la vita
della nazione. Così la nazione, nella sua individualità etnica,
morale, sociale e politica, è come l'operaio che il suo contribu-
to apporta alla più vasta lavoreria dell'Umanità.
Sono come tante sfere concentriche, distinte ma collegate
in un rapporto onde ogni fine particolare si tramuta in mezzo
per un fine più alto e più generale. Concezione questa non e-
sclusiva, unilaterale, ma integrale e organica, sicche i due ter-
mini, l'io e il noi, anziche antitetici, si pongono come costituen-
ti una feconda armonia. Soluzioni che in Mazzini, come è no-
to, viene espressa nella formula: tutto nella libertà per l'Associa-
zione. E' davvero questa di Mazzini semplicemente una for-
mula?
Oggi troppi, in verità, riducono a formule -ed a formule
meccanicamente biascicate e non comprese nel loro intimo si-
gnificato spirituale -quelli che in Mazzini sono principii di vi-
ta, chiave di volta per la retta impostazione e giusta soluzione
dei problemi giuridici, politici ed economici che ogni giorno si
presentano al dibattito della vita pubblica. Se i limiti rigorosa-
mente imposti a queste note non ce lo vietassero, facile sareb-
be il dimostrare che quella che in Mazzini si suole chiamare
dottrina politica o dottrina sociale non è se non la logica espli-
cazione e la pratica attuazione di quelli che in lui sono i princi-
pii primi della sua morale.
Quella di Mazzini è un'etica politica, è un'etica della eco-
nomia, come, in altro campo, si ha in lui un'etica dell'estetica.
Dissociata dalla sua morale tutta la sua dottrina rimarrebbe
dottrinarismo astratto ed evanescente e crollerebbe come crol-
la un edificio cui venissero sottratte le fondamenta.
Il dissociazionismo dalla morale della politica e dell'econo-
mia questo il tarlo della vita sociale contemporanea. Ristabilire
tale ricollegamento: questa una delle sue più profonde e non
derogabili esigenze. Qui la vera attualità di Mazzini.
Superfluo dire che quando parliamo di un Mazzini attuale
non intendiamo, con criterio dogmatico e antistorico, fare di
Mazzini una colonna d'Ercole allo spirito progressivo.
Il che, anzitutto, sarebbe antimazziniano. Mazzini fu il pri-
mo, nella piena consapevolezza di se, a riconoscere che la sua
era una delle tante voci che esprimevano il pensiero della sua
epoca. Fu il primo a riconoscere che la sua non era se non ope-
ra di seminagione che avrebbe atteso dal tempo la correzione e
la integrazione. Ma fu anche lui, con criterio storico, a senten-
ziare di se: l' avvenire dirà se io antivedeva o sognava.
L'avvenire, rispetto a Mazzini, siamo noi, oggi, noi i posteri
che, dopo averlo decretato, e dopo tante vicende, innalziamo a
Lui, sul colle Aventino, il monumento.
Non vuoI essere, semplicemente, un omaggio al Grande
Patriota, al Risvegliatore delle anime dormienti, all'Educatore
primo del sentimento nazionale. E' l' omaggio al Precursore, al-
l' Assertore ardito e ardente della libertà civile e della giustizia
sociale, al Banditore della santa alleanza fra i popoli.
Più eterno del bronzo nel quale la sua terrena effigie è scol-
pita rimarrà, per le future generazioni, inciso nelle coscienze il
monito austero della sua coscienza.
Dice quel monito che la vita è missione, che legge della vita
è il dovere e che ogni più vitale problema si risolve in un pro-
blema di educazione.
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<a href="http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA/index-12.html">NUVOLAROSSA website</a>
Puro co tutte ste frignaccie che stanno 'n coppa, nun ce fammo scinquiquerrà da iste ennesime tre carte imbruoglione e bare assai e tenimmo a dì solamente:Originally posted by nuvolarossa
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GIUSEPPE MAZZlNI PENSATORE
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di Ugo Della Seta
E' Mazzini un filosofo?
Vuota disputa intermittente tra sedicenti filosofi accademi-
ci e bizantineggianti.
Non si compiacque certo Mazzini di procedere raziocinan-
do e sillogizando. Ne ebbe intelletto portato alla fredda analisi
e alla indagine scientifica. Ne presunse creare un sistema entro
il quale poi chiudersi come baco nel proprio bozzolo.
Mazzini è un intuitivo. Il suo spirito è aperto ai quattro
venti dello spirito. la sua, più che dottrina, è fede. Una fede
nella quale il sentimento vivifica l'idea. Di qui il pathos del
suo stile.
Se non un filosofo nel senso tecnico della parola, Mazzini
del vero filosofo ebbe queste note essenziali: sentì profonda, la
religione del pensiero; la libertà del pensiero sempre rivendicò
contro ogni dogmatismo di scuola, teologico o politico; sem-
pre si richiamò al valore dei grandi principii; vide, come po-
chi, la unità inscindibile fra quanti problemi -facce diverse del
medesimo poliedro -costituiscono, come problema dell'essere,
del conoscere e dell'operare, il problema umano.
Ne per intero sarebbe delineata la sua forma mentis se o-
bliassimo altre due note in lui caratteristiche.
Mazzini, questo emotivo, questo intuitivo, ebbe, rigido, fer-
reo, il senso logico. Non semplice logica formale fu la sua, ma
logica reale, sostanziale. Una logica che per lui non è solo coe-
renza ideologica; non è solo, come disciplina di vita, come sie-
ro; è sopratutto criterio supremo di valutazione nel giudicare
gli stessi istituti civili e le leggi, è criterio essenziale nella stessa
interpretazione della storia.
Mazzini, questo spirito platonizzante, vivente intimamen-
te, malgrado la febbre dell'azione, nel mondo delle idee, ebbe
profondo, oltre il senso logico, anche il senso della storia. Pun-
to questo del suo pensiero non ancora abbastanza illustrato.
Perciò nulla di più antimazziniano che fare di Mazzini un
mito e giudicarlo al di fuori della storia. E' solo alla luce della
storia, cioè di quanto fu il movimento del pensiero in Europa,
nel secolo scorso, che è dato ancor oggi poter parlare, senza
cadere in dogmatiche interpretazioni, della continuità o della
perennità, viva e feconda, del mazzinianesimo.
Non si ha vera filosofia se, come fondamento, come coro-
namento, essa non si risolve in una visione della Vita.
La stessa filosofia, anzitutto, è per Mazzini vita, non una
congerie di aride formule più o meno sottilmente escogitate.
Vita e disciplina di vita. Orientamento non solo nella indagine
teoretica, ma nelle stesse pratiche attuazioni.
Mazzini è uno spiritualista. La parola idealismo oggi ha
mutato significato e potrebbe generare l' equivoco. Oltre il tan-
gibile, oltre il visibile, egli crede -senza disconoscere per que-
sto il valore dei fatti -crede nella suprema realtà dello spirito.
Nella prima metà del secolo scorso, con Rosmini, con Gio-
berti, egli, pur con altro orientamento, segna, in Italia, la prima
vigorosa reazione contro il sensismo, ancora insinuato, del se-
colo XVIll; contro il materialismo del Vogt, del Buchner e del
Moleschott; contro il positivismo del Comte e del Taine; come
contro ogni posizione eclettica (Cousin) o scettica (Renan).
Per quanto tempra fortemente volitiva, per quanto indefes-
so uomo d'azione, Mazzini rientra, come Emerson, nella sfera
dei grandi spiriti platonici.
E come nell'essere umano egli riconobbe interiori facoltà,
recondite energie che sfuggono alla normale psicologia, così
ebbe profondo, immanente, il senso del trascendente.
Tutta la sua fede per lui s'impernia attorno due trascenden-
tali certezze: esistenza di Dio e immortalità dell'anima. Motivi
dominanti nel suo pensiero. Fondamento spirituale, spirituale
coronamento della Vita.
Questa sua fede, se gli alienò i consensi dei cosidetti liberi
pensatori, non gli cattivò neppure le simpatie dei credenti alle
varie ortodossie delle varie chiese costituite. Per lui santa è l' e-
resia.
Il suo Dio, se non è un Dio politico, come erroneamente fu
detto, non è neppure un Dio imprigionato, se non materializ-
zato, nella dogmatica delle varie teologie. E' il suo un Dio di
Vita, la di cui azione è incessante, la di cui rivelazione è conti-
nua. Le varie religioni sono successivamente, nel tempo, gradi
di questa rivelazione. La nuova rivelazione -nuovo profeta
l'Umanità collettiva -dovrà segnare, nell'umanità stessa, un
maggior grado di educazione, di elevazione spirituale. Il moti-
vo è lessinghiano. Il Dio di Mazzini non chiede ai fedeli la cre-
denza in taluni dogmi, ne la partecipazione a certi riti: chiede
la santità della vita testimoniata dalla santità delle opere.
Mazzini è un grande moralista. Il suo è il Genio etico. Il
problema pratico, quello dell'operare, più lo appassiona del
problema teoretico, quello del conoscere. Più del problema
dell'essere egli si preoccupa, come fondamentale, del proble-
ma del dovere essere. Si ha in lui una visione etica di quanti
sono i massimi problemi dello spirito.
Una morale eteronoma, certo, la sua per il principio religio-
so su cui si fonda. Però non arida precettistica. E' una morale
sentita, proclamata, vissuta, testimoniata per un quarantennio
e più della sua tormentata esistenza.
Non è qui il caso di addentrarsi nei problemi particolari
che costituiscono, per così dire, il fondamento teoretico del
problema pratico.
Quale il criterio di giudizio per qualificare una azione? O-
gni azione, risponde Mazzini, va giudicata non nella sua este-
riorità, bensì nella sua interiorità, cioè nel fine che la determi-
na. E' buona azione quella il cui fine è rivolto al bene.
E come intendere il rapporto tra il bene e l'utile? La morale
utilitaria, caratteristica della scuola inglese, non ha avuto, co-
me in Mazzini, un critico più severo e convinto. Buoni alleati
in questo il Manzoni e, nella stessa Inghilterra, Carlyle. Egli si
fa assertore eloquente della morale disinteressata. Un qualcosa
dell'austero spirito kantiano parla in lui. L'utile, egli afferma, ci
potrà essere o non essere. Ci potrà essere l'utile come risultato
del bene; non mai l'utile prospettato come fine esclusivo del-
l'operare virtuoso. Come con la teoria dell'utile potreste espli-
care il sacrificio della madre, il martirio per un'idea? Il bene
per il bene, la virtù per la virtù, questa, inderogabile, la norma.
E come intendere il rapporto tra l'io e il noi, tra l' elemento in-
dividuale e l'elemento collettivo?
Ancora aperta la contesa. Vi sono scuole che in nome del-
l'io sacrificano là collettività (individualismo) o scuole che, in
nome della collettività sacrificano l'individuo (collettivismo).
Posizioni antitetiche ma convergenti in una medesima soluzio-
ne, in quanto soluzione unilaterale, esclusiva.
il problema, secondo Mazzini, non può essere posto così
come comunemente è posto, cioè in forma dilemmatica: que-
sta soluzione o quella. Trattasi invece di trovare il punto di in-
tersezione, onde tra i due termini si stabilisca un rapporto non
antitetico, ma armonico.
Preminente, afferma categoricamente Mazzini, è il fine col-
lettivo; e a questo fine ogni altro fine particolare deve essere
subordinato.
Però ogni ente, individuale o collettivo -l'individuo, la fa-
miglia, il Comune, la nazione -ha il suo proprio fine che con-
sacra, per così dire, il suo proprio destino.
Ma il conseguimento, per ogni ente, del proprio fine parti-
colare, si converte, alla sua volta, in mezzo per il consegui-
mento di un fine più generale. Così la piena affermazione del-
la personalità si converte in maggior potenziamento morale
dell'istituto della famiglia. Così la famiglia, difesa nella sua in-
teriore individualità, si converte in maggior potenziamento
della vita del Comune. Così il Comune, nella sua piena e sana
autonomia, è l'istituto nel quale già si afferma ed opera la vita
della nazione. Così la nazione, nella sua individualità etnica,
morale, sociale e politica, è come l'operaio che il suo contribu-
to apporta alla più vasta lavoreria dell'Umanità.
Sono come tante sfere concentriche, distinte ma collegate
in un rapporto onde ogni fine particolare si tramuta in mezzo
per un fine più alto e più generale. Concezione questa non e-
sclusiva, unilaterale, ma integrale e organica, sicche i due ter-
mini, l'io e il noi, anziche antitetici, si pongono come costituen-
ti una feconda armonia. Soluzioni che in Mazzini, come è no-
to, viene espressa nella formula: tutto nella libertà per l'Associa-
zione. E' davvero questa di Mazzini semplicemente una for-
mula?
Oggi troppi, in verità, riducono a formule -ed a formule
meccanicamente biascicate e non comprese nel loro intimo si-
gnificato spirituale -quelli che in Mazzini sono principii di vi-
ta, chiave di volta per la retta impostazione e giusta soluzione
dei problemi giuridici, politici ed economici che ogni giorno si
presentano al dibattito della vita pubblica. Se i limiti rigorosa-
mente imposti a queste note non ce lo vietassero, facile sareb-
be il dimostrare che quella che in Mazzini si suole chiamare
dottrina politica o dottrina sociale non è se non la logica espli-
cazione e la pratica attuazione di quelli che in lui sono i princi-
pii primi della sua morale.
Quella di Mazzini è un'etica politica, è un'etica della eco-
nomia, come, in altro campo, si ha in lui un'etica dell'estetica.
Dissociata dalla sua morale tutta la sua dottrina rimarrebbe
dottrinarismo astratto ed evanescente e crollerebbe come crol-
la un edificio cui venissero sottratte le fondamenta.
Il dissociazionismo dalla morale della politica e dell'econo-
mia questo il tarlo della vita sociale contemporanea. Ristabilire
tale ricollegamento: questa una delle sue più profonde e non
derogabili esigenze. Qui la vera attualità di Mazzini.
Superfluo dire che quando parliamo di un Mazzini attuale
non intendiamo, con criterio dogmatico e antistorico, fare di
Mazzini una colonna d'Ercole allo spirito progressivo.
Il che, anzitutto, sarebbe antimazziniano. Mazzini fu il pri-
mo, nella piena consapevolezza di se, a riconoscere che la sua
era una delle tante voci che esprimevano il pensiero della sua
epoca. Fu il primo a riconoscere che la sua non era se non ope-
ra di seminagione che avrebbe atteso dal tempo la correzione e
la integrazione. Ma fu anche lui, con criterio storico, a senten-
ziare di se: l' avvenire dirà se io antivedeva o sognava.
L'avvenire, rispetto a Mazzini, siamo noi, oggi, noi i posteri
che, dopo averlo decretato, e dopo tante vicende, innalziamo a
Lui, sul colle Aventino, il monumento.
Non vuoI essere, semplicemente, un omaggio al Grande
Patriota, al Risvegliatore delle anime dormienti, all'Educatore
primo del sentimento nazionale. E' l' omaggio al Precursore, al-
l' Assertore ardito e ardente della libertà civile e della giustizia
sociale, al Banditore della santa alleanza fra i popoli.
Più eterno del bronzo nel quale la sua terrena effigie è scol-
pita rimarrà, per le future generazioni, inciso nelle coscienze il
monito austero della sua coscienza.
Dice quel monito che la vita è missione, che legge della vita
è il dovere e che ogni più vitale problema si risolve in un pro-
blema di educazione.
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SEMPRE EVVIVA O RE NUOSTRO !!!
se mazzini era un filosofo io sono wanda osiris,
mazzini era un beccamorto fallito
Ulan... tu si che fai proprio ridere con le tue barzellette... proprio divertenti.
Perchè mica dicevi sul serio sopra vero!?!?!
anticipiamo di un paio di settimane l'uscita di questo messaggio che, a questo punto della discussione, dovrebbe aprire la mente, si spera, alle persone di buona volonta'
N.R.
**************************************************
Giù le mani da Cattaneo
*******************************************
IL 15 giugno 2001 cadde il secondo centenario della nascita di Carlo Cattaneo, una delle più belle figure del nostro Risorgimento che ha avuto tuttavia pochi estimatori, anche se fra quei pochi ci sono stati Luigi Einaudi e Gaetano Salvemini.
La ricorrenza e' stata l’occasione adatta per approfondire il significato della sua opera. Di fronte a recenti commenti che hanno presentato Cattaneo quale un antesignano del federalismo della Lega, è tuttavia bene mettere tempestivamente in chiaro alcuni punti fermi sul pensiero politico dell’esule milanese.
Carlo Cattaneo sosteneva il federalismo perché lo considerava, a ragione, una forma superiore di unità rispetto a quella degli Stati accentrati, monarchici o repubblicani che fossero. Era infatti convinto che la vera unità politica è quella che conserva il pluralismo e trae forza da esso, non quella che lo trascende o pretende di fonderlo in un tutto unico.
Ha sempre rifiutato l’idea che il federalismo sia un mezzo per sottrarsi agli obblighi comuni. In una lettera a Giuseppe Ferrari del 29 ottobre 1851, a chiarire possibili cattive interpretazioni del suo pensiero scriveva: "Il male non si è che il principio federativo non abbia una rappresentanza, ma bensì che non sia ancora popolarmente spiegato e popolarmente compreso. Siccome viene contrapposto alla pretesa unità, si cade facilmente a crederlo un principio d’isolamento e di separazione".
La sua proposta federale si oppone alle unità dall’alto e alle fusioni, ma non all’unità fondata sulla libertà di tutti e sulla libera solidarietà. "Ti ripeto - scriveva a Ferrari il 3 ottobre 1851 - che bisogna contrapporre la federazione alla fusione e non all’unità, e mostrare che un patto fra popoli liberi è la sola via che può avviarli alla concordia e alla unità: ma ogni fusione conduce al divorzio, all’odio".
La ragione per cui Cattaneo ammira lo Stato federale svizzero è che ciascuna "repubblichetta", come le chiamava spregiativamente Gioberti, può fare di più, non di meno, grazie alla struttura federale, per la causa comune. In una lettera a Mauro Macchi del 26 dicembre 1856 scriveva: "Hai visto la repubblichetta di Vaud che alla dimanda di nove battaglioni risponde offrendone venticinque! \ e il Vaud fa duecentomila anime, poco più della provincia di Pavia! Di questa misura le repubbliche d’Italia potrebbero dare più di tremila battaglioni".
Immagini il lettore che cosa Cattaneo avrebbe pensato di presidenti di Regione "federalisti" che nicchiano per partecipare alla sfilata della Festa della Repubblica a Roma, o di leaders come Bossi che addirittura la disertano, o ancora di parlamentari che in nome del federalismo si preoccupano soprattutto di far sì che le risorse prodotte al Nord restino in larghissima parte al Nord, e che solo l’1,5% del prodotto interno lordo possa essere destinato ai fondi perequativi perché servono per garantire alle regioni più povere diritti di cittadinanza paragonabili a quelli delle regioni più ricche.
Cattaneo riteneva che la federazione dovesse essere il mezzo per promuovere l’autogoverno e per sviluppare la coscienza dell’unità nazionale. "La federazione - scriveva a Agostino Bertani nel maggio 1862 - è la pluralità dei centri viventi, stretti insieme dall’interesse comune, dalla fede data, dalla coscienza nazionale". Era un discepolo di Romagnosi, e come il suo maestro sosteneva che il municipio fosse la molla attiva del "vero e sicuro patriottismo". Scriveva infatti che "i comuni sono la nazione; sono la nazione nel più intimo asilo della sua libertà". Vale la pena sottolineare: per Cattaneo l’autogoverno locale è il cuore del patriottismo e dell’unità della nazione, non un espediente per sottrarsi agli obblighi comuni.
E’ bene chiarire che per Cattaneo la soluzione federale era la migliore anche per le regioni meridionali. In una lettera a Francesco Crispi del 18 luglio 1860 scriveva: "La mia formula è Stati Uniti; se volete Regni Uniti; l’idra di molti capi, che fa però una bestia sola. Per essere amici bisogna che ognuno resti padrone in casa sua". I siciliani potrebbero fare un gran beneficio all’Italia, spiegava, "dando all’annessione il vero senso della parola, che non è assorbimento. Congresso comune per le cose comuni; e ogni fratello padrone in casa sua. Quando ogni fratello ha casa sua, le cognate non fanno liti".
Da uomo dei lumi qual era, credeva fermamente nei benefici effetti della circolazione delle idee. Studiava con passione e rigore la storia e i costumi dei popoli più lontani. Era persuaso che la chiusura di un popolo in se stesso fosse causa di declino e vedeva negli innesti culturali una ragione di progresso. Detestava qualsivoglia pretesa di egemonia di una nazione o di una razza sulle altre: "Fermi nel gran principio della comune natura dei popoli \ noi vogliamo onorare la natura umana in tutte le sue manifestazioni". E precisava, a dissipare ogni equivoco, che tutte le nazioni sono "egualmente inviolabili; e non riconosciamo egemonie del genere umano". Di fronte ad un leader politico che avesse pronunciato una frase del tipo "Padania, razza pura ed eletta", avrebbe provato un moto di disgusto.
Norberto Bobbio ha scritto che Cattaneo non fu mai "infangato dal fascismo". Cerchiamo, se possibile, di risparmiargli nuove onte.
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di Maurizio Viroli Presidente della Associazione Mazziniana Italiana
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