Gaetano Pecorella, il presidente della commissione giustizia, è indagato a Brescia. L’avvocato, che difende Delfo Zorzi (il principale indagato per la strage di Brescia, già condannato all’ergastolo per la strage di piazza Fontana) è finito nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta su piazza della Loggia. La notizia era nell’aria da qualche mese, da quando cioè erano emerse le intercettazioni di Martino Siciliano, pentito storico delle indagini sullo stragismo nero, che nell’aprile scorso aveva deciso di ritrattare le sue accuse scagionando Zorzi. I pm Roberto Di Martino e Francesco Piantoni, ritengono che l’avvocato Pecorella abbia fatto da tramite tra Zorzi e Siciliano, il quale avrebbe scagionato l’ex ordinovista veneto per denaro. Non si sa con precisione se Pecorella è accusato di favoreggiamento o se gli inquirenti bresciani gli contestino un ruolo più complesso. Il procuratore aggiunto Roberto Di Martino non smentisce e non conferma e soprattutto non fornisce particolari sulle ipotesi d’accusa. Non si sa quindi neppure quale sia il reato ipotizzato, ma sono noti i fatti che hanno portato all’apertura di questo fascicolo di indagini.

Nel giugno scorso Siciliano è finito in carcere a Brescia, dopo un acrobatico arresto in un albergo di Milano (i carabinieri del Ros di Brescia lo bloccarono mentre tentava di lanciarsi dalla finestra). Due mesi prima, il 10 aprile i legali di Zorzi (Pecorella e Antonio Franchini) avevano depositato presso la procura di Brescia un suo memoriale, col quale ritrattava le accuse nei confronti del loro assistito. Gli inquirenti bresciani però, vista l’ambiguità del personaggio, sospettarono che il mutamento di rotta non fosse genuino e che Siciliano potesse aver subito pressioni esterne. «I sospetti - si legge nell’ordinanza di custodia cautelare - venivano avvalorati dalle dichiarazioni di Giuseppe Fisanotti, un teste sentito nell’ambito dell’inchiesta su piazza della Loggia, che aveva incontrato in diverse occasioni Siciliano e aveva ricevuto alcune confidenze sulle ragioni e le modalità della ritrattazione». A quel punto vennero messi sotto controllo i telefoni di Siciliano, di sua moglie e di Fisanotti e si scoprì che Siciliano era stato pagato: «Nella conversazione avuta con Fisanotti il 4 giugno, Siciliano ammette esplicitamente di aver ricevuto da Zorzi 5mila dollari per il memoriale e di essere intenzionato, qualora non gli venga corrisposto al più presto altro denaro, a ritrattare tutto presentandosi ai pubblici ministeri bresciani».
Pecorella viene tirato in causa in due conversazioni telefoniche, avvenute il 18 e il 21 maggio, avvenute tra Siciliano e sua moglie. Nella prima le chiede di contattare gli avvocati di Zorzi, facendo presente che lui si trova in condizioni economiche disperate. Nella seconda, dice di aver chiesto un colloquio diretto con Zorzi tramite il suo avvocato, perché si trova alla fame e non ha nemmeno i soldi per tornare in Colombia. Minaccia una smentita se le sue richieste economiche non vengono soddisfatte: “Ho detto, guardate, come le ho fatte posso anche disfarle, perché siccome non sono ancora valide per niente...state attenti, che io aspetto 48, 54 ore ma non aspetto di più, dopodiché tiro in aria il cappello e buonanotte”».
Questi fatti sono noti da maggio, ma solo adesso si scopre che Pecorella, che dichiara di non aver ricevuto nessun avviso di garanzia, è indagato. Nel frattempo Martino Siciliano è stato interrogato a più riprese dai pm di Brescia. In un primo momento si è avvalso della facoltà di non rispondere, ma adesso ha iniziato a parlare, pare che sia tornato a collaborare e si deve supporre che abbia dato agli inquirenti elementi sufficienti per scrivere sul registro degli indagati il nome del presidente della commissione giustizia. Martino Siciliano avrebbe confermato i contatti con Zorzi, le pressioni ricevute e il denaro promesso o già versato dall’ex camerata. E in quest’ambito ha fatto anche il nome degli avvocati Pecorella e Franchini, che a questo punto sono assolutamente incompatibili con la difesa di Zorzi: il «samurai» che dovrà cercarsi nuovi legali. Tra gli indagati anche l’avvocato Fausto Maniaci, difensore di Siciliano.
E a questo punto l’intrico delle incompatibilità di Pecorella è piuttosto pasticciato. Già in molti avevano rilevato che era assurdo che il presidente della commissione giustizia difendesse un imputato (Zorzi, residente in Giappone) per il quale lo Stato italiano doveva impegnarsi ad ottenere l’estradizione. Lui aveva sempre risposto a queste accuse (lo ha fatto anche ieri) dicendo di non avere potere sulle delibere del governo in materia di estradizione. Ma ha anche dichiarato che questa nuova vicenda giudiziaria che lo coinvolge è una trappola, «un complotto per imporgli di dimettersi dalla presidenza della commissione giustizia». Un complotto di cui fa parte la magistratura bresciana, dunque, quella stessa magistratura che dovrebbe occuparsi dei processi milanesi a carico di Previti e di Berlusconi, se venissero accolte le istanze di rimessione, fortemente caldeggiate da Pecorella e colleghi. Insomma, è già evidente che se i processi verranno trasferiti a Brescia per «legittimo sospetto» il giorno dopo le toghe bresciane sarebbero a loro volta «legittimamente sospettate». E la storia infinita continua.