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Patrioti del maggioritario nel centrodestra quasi non se ne contano più, per lo meno in pubblico. Non sono scomparsi, semplicemente assistono defilati alla rinvincita del proporzionale che si annuncia tra le pieghe dell’imminente riforma elettorale. Ma non tutti si rassegnano.
Dentro An – partito schierato, nel 1998, con coloro che raccolsero firme per il referendum che avrebbe dovuto spazzare il residuo di proporzionale – almeno una quindicina di deputati, ancora appartati, si preparerebbero a una “resistenza strenua” in nome del maggioritario.
Per lo più sono eletti al nord e chiedono al coordinatore La Russa maggiori garanzie di quelle offerte dal “diplomatico” del partito al tavolo della Cdl, il napoletano Vincenzo Nespoli.
Per quale motivo? Per ragioni di lealtà bipolare (“prima di dieci anni il sistema dell’alternanza non sarà abbastanza maturo per sopravvivere a un cambiamento drastico”, osserva uno di loro). E perché, calcoli alla mano, sono convinti che il proporzionale li penalizzarebbe non poco. “Potrebbe iniziare una guerra all’interno di An per accaparrarsi l’unico seggio che rimarrebbe a disposizione in circoscrizioni dove, con l’attuale sistema, ne abbiamo già presi tre”, spiegano.
I fautori del maggioritario si ripromettono di fare “un’opposizione transcorrentizia”.
La resistenza potrebbe però franare davanti alla tentazione di estendere alle politiche il sistema concepito per le regionali (Tatarellum), che prevede l’elezione di appena un quinto dei deputati con il sistema maggioritario.
Aspettando che dicano la loro Gianfranco Fini e Adolfo Urso – fra i politici del Polo più esposti nel vecchio fronte referendario – i tatarelliani di An, come Maurizio Gasparri, si mostrano disponibili alla restaurazione proporzionale.
Nessuno mette in discussione il bipolarismo, ma sul resto si tratta. Altri nel partito, fra cui alcuni sociali legati a Gianni Alemanno, giudicano inverosimile che il Tatarellum allargato e corretto possa entrare in vigore prima di fine legislatura, e senza che si tocchi il bicameralismo sancito dall’attuale Costituzione. L’Udc è convinta del contrario, come conferma Aldo Loiodice, coestensore della legge che porta il nome di Pinuccio Tatarella, sul primo numero del neonato bimestrale d’area centrista
“Formiche”.
Gli ex dc confidano piuttosto in un’accelerazione della riforma subito dopo le regionali.
“Scommettiamo che nel 2006 si voterà con l’attuale legge elettorale?”.
Anche in Forza Italia sopravvive un manipolo di resistenti acquartierati. Confidano in un intervento dell’antiproporzionalista Antonio Martino, dal cui ambiente trapela scontento ma nemmeno una parola. Anche loro dubitano sulla legittimità costituzionale del Tatarellum:
“Non si saprebbe come assegnare il premio di maggioranza, a meno di voler premiare una coalizione anche se è vittoriosa in una Camera ma non nell’altra”.
E poi avvertono:
“Nel 1993 votammo il Mattarellum senza scrutinio segreto, secondo la richiesta dei presidenti delle Camere. Eravamo in clima di Tangentopoli e non stava bene disobbedire. Ma stavolta è diverso, una riforma proporzionale, se giudicata in Aula senza voto palese, incontrerà numerosi ostacoli e rallentamenti”.
Tra gli argomenti che esporranno a Berlusconi, c’è anche il seguente: finora lui è riuscito a contenere le intemperanze dell’Udc minacciando il ricorso alle urne, ricordando che tutti i deputati centristi sono stati eletti al maggioritario e con grandi sacrifici da parte di FI. Come a dire che, finché resiste l’attuale legge elettorale, la loro sorte è pur sempre nelle mani del Cav. Perché adesso farsi del male?

saluti