Non è violenza il nome di Dio
di Walter Kasper
Cardinale, presidente
del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani
Dopo la fine della guerra fredda e la caduta del Muro di Berlino era nata la speranza di un periodo di pace e di uno sviluppo pacifico e democratico nel mondo. Ora sappiamo che questa speranza è stata del tutto illusoria. Il nuovo flagello dell’umanità e la nuova sfida posta all’intera civiltà - accanto alla fame e alla povertà nel mondo - è il terrorismo.
Il dibattito in atto spesso mette in luce il legame fra terrorismo e religione. Soprattutto le tre religioni monoteiste, Ebraismo, Cristianesimo e Islam, vengono sospettate di intolleranza, e quindi di essere quantomeno inclini alla violenza a causa della loro fede esclusiva - reale o così intesa - in un Dio unico.
Non possiamo negare gli esempi della storia che potrebbero sostenere questa tesi. Nel libro che i cristiani chiamano il Vecchio Testamento e gli ebrei la Tanakh si trovano tanti testi che parlano di guerre sante e di annientamento dell’avversario. Per quanto riguarda la storia della Chiesa vengono rammentate spesso le vicende legate alle crociate, alle persecuzioni sanguinose degli eretici e alle guerre di religione. Infine si rinfaccia all’Islam di volersi diffondere con la spada e di glorificare la guerra santa contro gli infedeli. Tutte e tre le religioni monoteiste hanno motivo per una revisione critica della propria storia e per una “purificazione” della memoria.
Tutte e tre le religioni monoteiste sono costrette a confrontarsi anche con fenomeni attuali, noti e spiacevoli, come il conflitto in Irlanda del Nord, la politica di sicurezza d’Israele, i gruppi terroristici di matrice islamica. Ma anche nelle religioni non-monoteiste, per esempio nell’induismo, si trovano gruppi intolleranti pronti a usare la violenza.
Tutte le religioni nominate possono riferirsi a brani centrali nei loro testi sacri che vietano in modo assoluto ogni tipo di violenza. La regola d’oro che dice che non bisogna fare all’altro ciò che non si desidera fatto a se stessi si trova in modo diverso in tutte le religioni.
Il Corano contiene frasi che parlano esplicitamente di tolleranza. Il divieto di uccidere del Decalogo, con l’unica eccezione dell’autodifesa diretta, è di grande importanza.
Nel Cristianesimo si aggiunge il comandamento dell’amore fino all’amore del nemico e l’invito a perdonare.
Tutte e tre le religioni monoteiste vietano anche il suicidio ed escludono perciò categoricamente gli attentati suicidi. Pertanto chi compie tali attentati suicidi non dovrebbe - secondo i principi del Corano - essere venerato come martire, ma dovrebbe essere condannato come omicida e delinquente.
Il divieto di uccidere e di commettere suicidio per la tradizione ebraico-cristiana si fonda sul concetto stesso di Dio. Questa tradizione è rivoluzionaria perché antepone alla storia speciale dell’elezione del popolo di Dio in Genesi 1-11 la storia umana generale e di ogni uomo che, indipendentemente dalla sua appartenenza etnica, culturale, religiosa e sessuale, afferma che è stato creato a immagine di Dio; pertanto Dio pone la sua mano su tutti gli uomini, perché il sangue altrui non debba essere versato.
La Bibbia conosce un solo Dio, però questo Dio unico non è un idolo nazionale, ma Signore universale di tutta l’umanità; e questi è il motivo della dignità di ogni uomo. Pertanto il terrorismo come negazione della dignità dell’uomo è allo stesso tempo un’offesa a Dio. La giustificazione del terrorismo nel nome di Dio è l’abuso più grave del nome di Dio e la sua maggiore profanazione.
Oggi il terrorismo è diventato una minaccia per tutta l’umanità; i terroristi possono colpire dappertutto. Non possiamo difendere la dignità dell’uomo e la pace solo attraverso parole pie, dobbiamo difenderle anche attraverso i fatti. Che cosa possiamo fare?
1. La lotta al terrorismo internazionale ha bisogno di interventi militari e di polizia. Le democrazie devono essere pronte, se necessario anche se questo significasse il sacrificio di vite umane, a difendere con la forza la loro libertà. Nella lotta al terrorismo tuttavia non può essere utilizzato ciò che si condanna e si combatte nel terrorismo. Perciò nella lotta al terrorismo non si possono cancellare i diritti umani fondamentali e utilizzare lo strumento delle torture, contrario alla dignità dell’uomo; non si può fare una guerra preventiva che abolisca le regole della guerra giusta che valgono solamente come ultima ratio; non si possono compiere uccisioni mirate senza un giusto processo precedente. La barbarie del terrorismo non può farci tornare indietro rispetto alle conquiste dell’umanità civilizzata e farci risprofondare nella barbarie.
2. Bisogna cambiare con tutte le energie le condizioni che favoriscono l’espandersi del terrorismo e che potrebbero essere considerate come una legittimazione; cioè bisogna eliminare le ingiuste situazioni sociali, economiche, politiche, e bisogna impegnarsi per un ordine mondiale più giusto, soprattutto nelle aree critiche del mondo.
3. Le religioni devono attivare le proprie risorse spirituali di resistenza alla violenza terrorista. Tale presa di distanza chiara e pubblica dal terrorismo è ciò che molti giustamente si aspettano dall’Islam. Il tratto profondamente nichilista del terrorismo si può vincere solo attraverso l’affermazione dell’atteggiamento fondamentale di ogni religione, cioè il profondo rispetto. Questo significa sia la revisione autocritica della propria storia che la predicazione non di odio, ma di tolleranza, e il rispetto delle convinzioni altrui, così come la condanna conseguente di ogni forma di violenza. Le religioni devono strappare la maschera religiosa dalla faccia dei terroristi per scoprirli e mostrarli per quello che sono veramente, cioè nichilisti che disprezzano i valori e gli ideali dell’umanità.
Si può evitare lo “scontro fra civiltà” solo attraverso il dialogo delle culture e delle religioni. Il dialogo antepone il rispetto della comune eredità di tutte le religioni, il profondo rispetto del sacro; il dialogo però non significa in nessun modo sincretismo e rinuncia della propria identità; anzi il dialogo può essere fatto solo da interlocutori che abbiano ognuno la propria identità, un’identità che conoscono, stimano e per la quale s’impegnano attraverso le armi dello spirito. Una tale unità di dialogo delle religioni che condanna il conflitto fisico, ma che non teme il confronto spirituale, è l’unica via alla pace nel mondo.
(dal portale della diocesi di Milano.)