INTERVISTA
La nostra cultura ha all'origine una doppia anima, classica e cristiana, che rischia di essere conflittuale. Parla Ciancio

Europa bifronte

«Oggi bisogna salvare l’identità senza negare le diverse parti che si affrontano. Dobbiamo cercare la sintesi» «Il nichilismo voleva negare la trascendenza. La crisi si evita soltanto con un’etica capace di comporre le fratture»

Di Edoardo Castagna


Francia e Olanda stanno per recarsi alle urne per dire sì o no all'Europa. Quale Europa? Sarà anche in crisi, questa Europa di oggi, ma da che mondo è mondo lo è sempre stata. Fratture, scontri, contrapposizioni hanno accompagnato la turbolenta storia del nostro continente e della nostra cultura. Raramente si è visto un equilibrio stabile; nei secoli gli europei hanno sempre arrancato alla ricerca di un ordine definitivo, ma la più volte evocata "fine della storia" non è mai arrivata. L'emergere di nuove istanze e di nuovi soggetti o il riaffiorare di vecchie tensioni troppo presto credute sepolte hanno, a ogni passo della storia, rimesso tutto in discussione: ma proprio da questo ininterrotto dibattito si sono affermati i valori della tolleranza che l'Occidente oggi difende. Anzi, secondo Claudio Ciancio, docente di Filosofia teoretica all'università del Piemonte orientale e direttore del Centro studi "Luigi Pareyson", tentare di ridurre l'identità europea a un concetto unico, semplice, non ha senso: «La fine della crisi dell'Europa sarebbe la fine dell'Europa stessa. La nostra cultura è da sempre attraversata da fratture, anche laceranti. Ma è proprio grazie al continuo confronto - con l'apporto decisivo del cristianesimo - che l'Occidente è diventato il luogo della libertà».
Professor Ciancio, com'è nata questa cultura delle opposizioni che distingue l'Europa?
«La dualità europea ha un'origine doppia, legata da un lato al mondo antico, dall'altro all'incontro della classicità con l'ebraismo e il cristianesimo. Nell'antica Grecia si ebbe la nascita della filosofia dal più antico strato mitico. Non si trattò di un superamento lineare o di un'evoluzione indolore, ma di un processo traumatico che determinò la contrapposizione tra il vecchio punto di vista e il nuovo, tra mito e logos. La sola narrazione mitica, che rappresentava in termini etici e religiosi ciò che sta all'origine della storia e ciò che la trascende, non fu più sufficiente a rendere comprensibile il mondo. Ma la filosofia non poté prenderne il posto, perché la realtà sfugge continuamente di mano alla sua pretesa di ordinarla e controllarla. La sicurezza del mondo antico venne spezzata e sorse una tensione, mai risolta, che trova il suo emblema nella morte di Socrate».
Fu in questa classicità, già segnata dalla frattura, che irruppe la tradizione giudaico-cristiana?
«Sì, e si trattò di un incontro che pose un ulteriore termine di tensione. L'uomo imparò a conoscere non soltanto la libertà umana, ma anche quella, radicale, di Dio. Si avvertì una frattura tra Dio e il mondo, un mondo dotato di libertà e che dunque si poteva in qualche modo contrapporre a Dio. Il cristianesimo introdusse una complessità superiore a quella del mondo classico. La tensione del cristianesimo, del simbolo così come lo si può leggere nella Bibbia, esprime allo stesso tempo la libertà e la frattura che caratterizzano il rapporto dell'uomo con il divino, una libertà e una frattura che non sono presenti nel simbolo classico».

Per conservare l'identità europea dobbiamo rassegnarci allo scontro perenne?
«Nel cristianesimo la dualità trova la sua ricomprensione più alta nell'incarnazione, dove umano e divino sono una cosa sola. E l'Europa, nata da questi incontri conflittuali, conserva la tensione alla sintesi, verso un superamento delle opposizioni. Nel Medioevo questa sintesi assunse la forma dell'unità del mondo cristiano, ma infine la dualità - questa volta, tra papato e impero - prese ancora il sopravvento. Come ogni equilibrio raggiunto in seguito nella storia europea, nemmeno questo era stabile. Le sintesi, in realtà, sono sempre state il prevalere di una parte sull'altra: il che, naturalmente, covava in sé le premesse di una nuova crisi».
Ma allora lo spirito dell'Europa è la crisi o il suo superamento?
«Spirito dell'Europa è il tentativo di cogliere una pacificazione tra le fratture, ma sapendo che si tratta sempre di soluzioni provvisorie, instabili. Con il tempo, l'Europa è diventata sempre più consapevole di questa situazione, e si può collocare l'inizio della modernità proprio nel momento in cui la nostra cultura ha preso coscienza della frattura originaria che la attraversa. A partire da quel momento si svilupparono anche le utopie della modernità, che tentavano di risalire a un ipotetico "prima" di ogni frattura: la fuga a Oriente, la società senza classi del marxismo e, da ultimo, il nichilismo».
Proprio il nichilismo, che fino a pochi anni fa sembrava potersi imporre definitivamente, sembra oggi in regressione.
«Il nichilismo si proponeva, seguendo Nietzsche, di abrogare l'Alterità e la trascendenza. Ma il suo sforzo di semplificazione non ha avuto successo. Ogni nuova sintesi, ogni superamento delle fratture è un tentativo di negare la struttura portante dell'identità europea: la tensione tra i poli opposti. La crisi è ineliminabile, ma va pensata in termini positivi: è questa l'identità, sempre precaria, dell'Europa».

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