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Discussione: Pericolo Iran

  1. #1
    MazingaZ
    Ospite

    Predefinito Pericolo Iran

    A pagina 7 di La Stampa - Il Foglio del 2005-08-04, Maurizio Molinari - Carlo Panella firma un articolo dal titolo «Sanzioni o aiuti all'opposizione: il bivio di Bush - nucleare in Iran»

    LA STAMPA di giovedì 4 agosto 2005 pubblica a pagina 4 l'analisi di Maurizio Molinari "Sanzioni o aiuti all'opposizione: il bivio di Bush", sulle strategie americane verso l'Iran.

    Ecco il testo:

    Sanzioni dell’Onu per la corsa all’arma nucleare o massiccio impegno a favore dell’opposizione interna. E’ questo il bivio sul caso-Iran di fronte al quale si trova il presidente americano, George W. Bush, che dedicherà al «cosa fare a Teheran» buona parte dei briefing in programma con i più stretti collaboratori durante le lunghe vacanze estive nel ranch texano di Crawford. L’insediamento di Mahmud Ahmadinejad alla guida della Repubblica Islamica pone la Casa Bianca di fronte alla necessità di scegliere su «quale dossier puntare» - come dice Danielle Pletka, vicepresidente del neoconservatore «American Enterprise Institute» - per mettere alle strette gli ayatollah.
    «Al momento a Washington il focus è tutto sul nucleare - osserva Richard Murphy, ex ambasciatore Usa a Damasco e Riad nonché analista di Medio Oriente al "Council on Foreign Relations" - perché il negoziato fra Teheran e gli europei non promette nulla di buono mentre negli Stati Uniti è largamente diffusa l’opinione che siano più vicini alla bomba di quanto si possa in genere credere». Se fosse questo approccio a prevalere dalle sedute top-secret nella sala conferenze di Crawford allora «vedremo l’amministrazione più determinata nell’ottenere sanzioni contro Teheran da parte delle Nazioni Unite» anche se ciò «passerà attraverso una delicata fase diplomatica nella quale americani ed europei dovranno armonizzare le posizioni» per non ripetere quanto avvenne sull’Iraq.
    Questo approccio è considerato tuttavia «troppo timido» da chi come Mohsen Sazegara, ex co-fondatore dei pasdaran khomeinisti divenuto oppositore del regime ed in queste settimane ospite del «Washington Institute», ritiene che Bush debba «essere più incisivo a sostegno degli iraniani che chiedono libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani». «L’amministrazione dovrebbe affrontare Ahmadinejad - spiega Sazegara - con tre mosse: dire con chiarezza che non riconoscerà il risultato di un’elezione illegittima perché viziata dalla dittatura, compiere un passo concreto a favore del rispetto del diritti umani sostenendo la richiesta del Canada di fare piena luce sulla morte di un proprio cittadino ucciso dai servizi di sicurezza, invocare la creazione di una commissione d’inchiesta sugli atti di terrorismo che hanno consentito al regime di assassinare almeno trecento iraniani». Simile l’opinione di Michael Ledeen, voce di punta sull’argomento all’«American Enterprise Institute», secondo il quale «l’Iran è un regime terrorista a cui si oppone il settanta per cento della popolazione» e dunque «ciò che serve è maggiore coraggio e decisione nel dare sostegno all’opposizione interna».
    Tanto Ledeen che Sazegara vedono nella proposta di «un referendum costituzionale contro la teocrazia» la leva politica in grado di far crollare dall’interno la Repubblica islamica fondata da Khomeini. «Bush è a favore della rivoluzione democratica globale - aggiunge Ledeen - e dunque l’Iran, una dittatura che sostiene i terroristi in tutto il mondo, è un nostro nemico e deve essere trattato come tale». A conferma della prevalente importanza del fronte interno Sazegara aggiunge: «Qualora invece Bush puntasse sulle sanzioni all’Onu dovrebbe far attenzione a studiare provvedimenti destinati a punire i leader e non la popolazione, in maniera simile a quanto fatto in occasione delle sanzioni contro la Libia».
    Il bivio strategico fra deferimento dell’Iran all’Onu a causa della corsa al nucleare e massiccio sostegno all’opposizione interna non preclude la possibilità che la Casa Bianca decida di operare in entrambe le direzioni. Anche se Pletka tende a escluderlo: «Per far condividere il caso-Iran agli alleati Bush può puntare sul nucleare, sul coinvolgimento in atti di terrorismo o sulle violazioni dei diritti umani ed in questo momento tutto lascia intendere che il terreno su cui tenterà di costruire l’alleanza sarà il timore che Teheran possa arrivare all’arma atomica».

    A pagina 1 dell'inserto IL FOGLIO pubblica l'analisi di Carlo Panella "Il nucleare in Iran".

    Ecco il testo:

    Roma. Ennesimo colpo di scena della regia negoziale iraniana sul nucleare: ieri, all’ultimo momento utile, il negoziatore con la troika europea, Hassan Rohani, ha annunciato che Teheran non toglierà i sigilli alla centrale di Isfahan prima dell’inizio della prossima settimana (che in Iran inizia il sabato). In realtà si tratta di una decisione tecnico- politica: i sigilli erano stati posti dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), diretta da Mohammed ElBaradei, che ha avanzato la richiesta che questi non
    fossero tolti unilateralmente, ma soltanto in presenza di propri emissari. La rottura unilaterale dei sigilli avrebbe significato l’irrisione di ogni galateo istituzionale e quindi Rohani ha annunciato che la ripresa dell’attività
    della centrale (“che è comunque una decisione presa e fuori discussione”) avverrà soltanto quando gli emissari dell’Aiea giungeranno in Iran. E’ un nuovo episodio del gioco delle tre carte che gli iraniani praticano da anni, l’ennesimo piccolo rinvio che però ha risvolti complessi. I sigilli verranno infatti levati dopo il 7 agosto, data in cui la troika europea (Francia, Germania e Gran Bretagna) si è impegnata a far pervenire nuove proposte
    negoziali che saranno valutate dagli ayatollah. Resta dunque agli atti la volontà iraniana di chiudere il periodo di sospensione delle attività nucleari e di umiliare la mediazione dell’Europa con continui rilanci di una trattativa inconcludente, mentre riprendono in pieno le attività di ricerca per arricchire l’uranio per armare di atomiche i missili Shahb (che possono giungere fino a
    Israele e ai lembi dell’Europa). Ieri, nel giorno del suo insediamento quale presidente della Repubblica, Mahmoud Ahmadinejad è stato chiaro sulla strategia del suo governo: “La nazione iraniana non sopporterà la discriminazione, per cui paesi che godono di privilegi politici, scientifici e tecnologici vogliono privare di questo altri paesi. Come responsabile dell’indipendenza e dell’interesse nazionale spianerò il terreno perché la Repubblica islamica proceda nello sviluppo scientifico per difendere la gloria della nazione sulla scena internazionale”. La guida della Rivoluzione, l’ayatollah Khamenei, ha ribadito le intenzioni bellicose dell’Iran, spiegando però che esse si concretizzeranno attraverso una tattica che massimizzi i dividendi politici e metta in imbarazzo i mediatori europei: “Nella politica estera non è consigliabile la fretta per decisioni legate a certi temi ed è bene a volte prendere tempo”. Conferma della strategia verso la bomba atomica, dunque, ma grande malleabilità tattica. Nuovi spazi d’intervento E’ sempre più palese l’ennesima inadeguatezza del ruolo che l’Unione europea si è voluta attribuire con la sua mediazione. La tattica di continuo “go and back” di Teheran umilia infatti sempre più i mediatori che sinora avevano conseguito l’unico risultato della sospensione delle attività di Isfahan, che ora svanisce. L’elezione del pasdaran Ahmadinejad alla presidenza della Repubblica, con la secca sconfitta del realpolitiker Ali Rafsanjani, ha segnalato la ripresa di una politica espansiva e aggressiva dell’Iran e la fine della fase di ripiegamento su se stesso del ciclo rivoluzionario degli ayatollah, dopo la guerra con l’Iraq terminata nel 1988. E’ una dinamica aggressiva che peraltro pare non destare eccessive preoccupazioni in quella Arabia Saudita che pure per anni è stata alla testa del contrasto agli ayatollah di Teheran. L’aggressione di Saddam Hussein all’Iran del 1980 fu voluta e pianificata infatti da Riad, che la finanziò con 2 miliardi di dollari al mese, e solo dopo due anni, nel 1982, fu sostenuta dagli Stati Uniti, ma solo perché Saddam stava perdendo il conflitto e Khomeini stava dilagando con le sue armate e la sua rivoluzione islamica in tutta la Mesopotamia. Oggi Riad, invece, pare avere deciso una sorta di tacito fiancheggiamento del nuovo protagonismo atomico iraniano, e alcuni analisti sospettano che questa inusitata strategia sia il frutto addirittura di una volontà di Riad (che ha finanziato per anni la bomba atomica pachistana)
    di permettere che Teheran si doti dell’atomica per giustificare un identico passo da parte sua. Certo è che il quadro di una deterrenza atomica su scala regionale a tre, con Israele, Iran e Arabia Saudita con i missili nucleari puntati l’uno sull’altro, non è più uno scenario impossibile. Vi sono naturalmente ancora spazi di intervento da parte dell’Onu, ma l’arma delle sanzioni e delle ispezioni ha ormai dimostrato di essere spuntata. Anche perché le ispezioni dell’Aiea – come rileva preoccupato il Washington Post – non sono affatto in grado di dare un responso certo e attendibile sul tempo che occorre ancora agli iraniani per dotarsi della bomba. Certo è che se fallirà, come pare oggi ben possibile, il tentativo di mediazione europeo, l’unico deterrente vero,
    materiale, credibile alla nuclearizzazione del Golfo sarà la presenza di un forte contingente militare internazionale, a guida americana, in Iraq. Israele non sarà il solo ad avere ragione di temere la “bomba degli ayatollah”: il governo iracheno – anche nella sua componente sciita, al Sistani incluso – è ben cosciente delle mire destabilizzatici che Teheran ha finora sviluppato
    nei suoi confronti – inclusa la tentata insurrezione di Moqtada Sadr – e non potrà che reagire all’atomica iraniana, chiedendo la permanenza dello scudo protettivo della “coalition of willing” che gli ha permesso di conquistare il potere.

  2. #2
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    la solita analisi bullshit guerrafondaia
    se comandassii io gli istigatori professionisti alla guerra li metterei fuorilegge
    Nè DAVANTI Nè DI DIETRO, MA DI LATO

  3. #3
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    Predefinito Re: Pericolo Iran

    Originally posted by MazingaZ
    Simile l’opinione di Michael Ledeen, voce di punta sull’argomento all’«American Enterprise Institute», secondo il quale «l’Iran è un regime terrorista a cui si oppone il settanta per cento della popolazione».
    A chi hanno fatto fare il sondaggio? A Crespi


    Ricordo che il presidente attuale, brutto e cattivo quanto si voglia, è stato eletto dal 62% dei votanti mentre Bush è stato eletto dal 51% (e dal 47,9% nel 2000).

  4. #4
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    Predefinito

    Contro l'Iran non ci sara alcuna guerra, intesa come
    invasione di truppe, al massimo una breve campagna
    di bombardamenti aerei!!!


    Ora il problema dell'iran non è la bomba,
    ma entrare nel club del WTO, essere cioè
    un paese rispettato e riconosciuto nel suo
    ruolo di protagonista dello scenario medio-orientale!!!

    Anche se l'Iran ottenesse la bomba non potrebbe fare
    molto; non potrebbe usare quest'arma contro nessuno,
    perche verrebbe annientato dalla reazione USA.
    La bomba è un falso deterrente perche gli USA
    non potrebbero comunque invadere quel paese, per
    via delle sue dimensioni geo-demografiche e perche
    comunque non gli conviene sul piano economico!!


    L'Iran e la sua dirigenza temeno invece il cosidetto
    "soft power" americano; temono cioe che la
    la popolazione iraniana composta in gran
    parte da trentenni pieni di vita, sposino
    la modernita e lo stile di vita occidentale.

    "Internet, la Coca-cola, Mac-donald's, i film
    di Hollywood, la musica pop, discoteche
    e droghe", questi sono i principali nemici
    degli hayatollah!!!

    Se l'Iran riuscisse ad entrare nel WTO cosi
    come è successo con la Cina potrebbe
    negoziare con i paesi Europei, con le multinazionali
    petrolifere francesi, italiane e inglesi.
    A quel punto il potere dei teocratici resterebbe intatto
    e l'Iran avrebbe le risorse per non perdere
    il treno dello sviluppo!!!

 

 

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