Di Islam si può morire
Promessa sposa a 12 anni con un tizio di 14 che nemmeno conosce, tenta il suicidio tagliandosi le vene
4 dicembre 2005 - Nel 1974 l'algerino Bumediene profetizzò la conquista dell'Occidente da parte delle masse provenienti dal Sud del mondo. Una conquista che non sarebbe avvenuta né con la scimitarra né con altre armi più moderne, ma solo grazie all'immigrazione e alle gonadi dei nuovi dominatori.

Bumediene è stato ottimo profeta. Per quello che riusciamo a capire dai dati oggi disponibili, i fatti sono in linea con le sue previsioni.

Secondo le proiezioni dei demografi, il 2050 segnerà in Francia l'anno della svolta: solo il 50% della popolazione potrà ancora chiamarsi "francese". Il resto sarà formato da un coacervo di africani, arabi e asiatici di ogni genere, provenienti da quell'ineasuribile fabbrica di esseri umani che è il cosiddetto terzo mondo.

La religione predominante di questi "nuovi europei" sarà l'islam, che già concepisce questo grande movimento migratorio e l'azione del trio pene/vagina/utero come strumento di conquista territoriale e culturale.

Con questo sistema stiamo andando diritti incontro a quella entità geo-politica di cui già si delineano i contorni e che va sotto il nome di Eurabia (Europa + Arabia).

L'Eurabia, d'altra parte, sembra essere il lucido disegno di capi e capetti religiosi islamici, trasferitosi in Europa al seguito di macellai d'agnelli, venditori di kebab, e via elencando.

Gli Usa, poi, gli hanno dato man forte. Grazie alla sciagurata guerra contro la Serbia hanno creato uno Stato islamico nel cuore dell'Europa: la Bosnia; un altro lo stanno formando tra Kosovo e Albania; mentre spingono come matti per infilare nell'Unione Europea 70 milioni di islamici residenti in Turchia.

Una flebile speranza è legata alla possibilità che le donne islamiche rifiutino di prestarsi alla diabolica strategia dei loro dominatori. Se quel disegno si realizzasse, esse resterebbero prigioniere del burqa fino alla fine dei tempi, mentre qui in Eurabia, se frequentano le scuole pubbliche, possono ancora avere la cognizione della libertà e dei diritti umani.

Il fatto accaduto sabato scorso a Vicenza dimostra che per noi "indigeni" (così qualcuno ha già cominciato a chiamarci) forse c'è ancora speranza.

Una ragazzina di 12 anni è stata informata dai genitori che le corre l'obbligo di comportarsi come una donna ormai "impegnata", in quanto fidanzata con un tizio di 14 anni, mai visto prima, che vive nel Bengala e che per il tramite del matrimonio potrebbe venire anche lui a piantare le tende in Italia.

Un matrimonio, insomma, programmato a tavolino dai genitori di lei e di lui, con il beneplacito, c'è da scommetterci, del capo della moschea locale.

Nonostante l'età, la giovanissima promessa sposa ha avuto tuttavia il coraggio, e la maturità, di dire "no" e di dirlo nel modo più drammatico possibile: con un gesto da suicidio.

E' stata brava anche a scegliere il luogo: se lo avesse fatto in casa non se ne sarebbe saputo nulla e nulla per lei sarebbe cambiato. Ha pensato invece di farlo a scuola, dove trova quel sapere e quelle persone che possono aiutarla a diventare un essere umano libero e consapevole.

Il gesto ha avuto infatti la sua risonanza e quel matrimonio imposto non è più così sicuro. E anche quei figli che nasceranno forse non entreranno nella schiera dei mujaheddin che invece di conquistare l'Europa con le armi pensano di riuscirci con il pene.

Fglia unica di immigrati islamici bengalesi, la ragazza vive da 8 anni a Vicenza. A scuola è molto brava, tanto da essere riuscita a vincere un concorso per le scuole medie con un bel tema sulla pace, premio che non ha potuto ritirare perché i genitori glielo hanno proibito.

Sabato mattina, dopo la ricreazione, va in bagno con l'astuccio, nel quale conserva le sue forbicine. Con questo strumento si tagliuzza le vene dei polsi. Il sangue scorre, la ragazza si sdraia per terra. Da sotto la porta si vedono i capelli.

Non passa gran tempo che una compagna viene a cercarla: l'insegnante, non vedendola tornare, ha mandato qualcuno a controllare.

Scatta l'allarme, le lezioni sono sospese, arrivano ambulanza e polizia. La ragazza viene caricata sulla barella, ma le ferite sono lievi e lei non corre nessun reale pericolo di vita.

Le prime parole che dice a una ispettrice di polizia sono: "Non voglio tornare a casa". Dopo lo sfogo, le spiegazioni con le assistenti sociali.

Infine arrivano i genitori: la madre casalinga, il padre operaio. Non parlano l'italiano o forse, vista la situazione, fanno ancora finta, dopo 8 anni di permanenza a Vicenza, di non capire la nostra lingua.

Ci vuole allora l'interprete, il cui costo, non ce lo dimentichiamo, va considerato, assieme agli altri costi, in primis la delinquenza, nel conto nazionale sulla reale convenienza dell'immigrazione islamica.

Non risultando prove di maltrattamenti, la ragazza è tornata a casa, ma ci auguriamo che gli assistenti sociali continuino a tenerla d'occhio

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