CINA
La «svolta» di Wen
ANGELA PASCUCCI
E' tempo che «le città sostengano le campagne» e che tutti possano beneficiare «dei frutti delle riforme e dello sviluppo». In due ore di discorso in diretta tv, il premier cinese Wen Jiabao di cose ne ha dette molte, aprendo domenica scorsa la quarta sessione della decima Assemblea nazionale del popolo, ma se mai passerà alla storia, l'appuntamento largamente rituale del Parlamento cinese di quest'anno lo dovrà a questi accenti particolari che confermano un cambio di priorità, anche se non di indirizzo, della politica interna cinese. Facendo un consuntivo dell'anno appena trascorso ed elencando le priorità per quelli a venire, Wen, che con un 9,9% di crescita economica alle spalle nel 2005 potrebbe dirsi soddisfatto, ha messo invece in primo piano le drammatiche diseguaglianze di reddito, e dunque sociali, che stanno spaccando la Cina, e in particolare i problemi dei contadini. Quelli che negli ultimi tempi sono stati protagonisti di rivolte e scontri feroci, anche mortali, per il controllo dell'uso della terra, oppure hanno riempito le cronache con storie drammatiche quando, divenuti migranti senza terra, sono diventati i fanti in prima linea dello sfruttamento mondiale. La loro rabbia, che minaccia di rendere irrealizzabile l'«armoniosa società» propugnata dall'attuale leadership, ha fatto infine ottenere loro una fetta più consistente della torta: 339,7 miliardi di yuan (42,3 miliardi di dollari) per il prossimo anno, con un aumento di spesa di oltre 5 miliardi di dollari rispetto al 2005. Un incremento quasi uguale a quello toccato alla spesa militare che comunque, ufficialmente, ottiene in tutto «appena» 35 miliardi di dollari . L'obiettivo di Wen, è la costruzione di una «nuova campagna socialista». Di fatto, il denaro andrà in buona parte alla costruzione di infastrutture civili, per porre fine a situazioni di estrema arretratezza dove non c'è luce né acqua potabile, e a garantire sanità e istruzione che attualmente le popolazioni rurali possono permettersi solo rinunciando a sopravvivere, visto che, secondo rilevazioni ufficiali, mandare i figli a scuola drena dal 40 al 50% dei redditi dei residenti rurali, ma anche dei residenti urbani più poveri. L'obiettivo del governo cinese è ora assicurare a 160 milioni di studenti la scuola obbligatoria gratuita (nove anni) entro il 2007. «Una pietra miliare» nella storia dell'istruzione cinese, secondo il premier Wen che ha definito «epocale» anche la decisione di eliminare l'imposta sul grano che grava sugli agricoltori cinesi da oltre 2000 anni.
Il premier cinese non ha nascosto che «lo storico compito» richiederà molto tempo per raddrizzare i torti. Se mai ci riuscirà. Data la complessità della situazione, le pur ingenti somme non accompagnate da un nuovo quadro di leggi e garanzie rischiano di tappare a malapena i buchi, ammesso che riescano ad arrivare ai loro destinatari, visto il livello di corruzione delle autorità locali, che di per sé rappresenta uno dei problemi primari. E tuttavia è la prima volta, dall'inizio dell'era delle riforme, che l'attenzione torna alle campagne per raddrizzare il tiro dell'attuale modello di sviluppo. Un raddrizzamento non indolore, se è vero che da un anno dibattiti infuocati vanno avanti dentro la cerchia del potere, come non accadeva da tempo. Da una parte i «liberal» che difendono la linea «sviluppo e mercato» prima, così da avere più risorse dopo per il riequilibrio economico, e la «sinistra» definita conservatrice, se non reazionaria, che chiede un freno e nuove priorità. La propensione verso «il popolo» mostrata dalla leadership Hu Jintao-Wen Jiabao li ha ultimamente persino esposti al sospetto di aver voluto enfatizzare ad arte i dati sugli «incidenti di massa» (87mila nel 2005, tra sit in e rivolte vere proprie). Uno scontro duro, e per nulla teorico, essendo sostenuto da interessi ormai potentissimi.
Letto a questa luce, il discorso di Wen pare un capolavoro di equilibrismo quando, esordendo con il peggio, conclude che «la politica di riforme sta attraversando un periodo molto difficile, ma noi dobbiamo rafforzare la nostra risoluzione ad accelerare tutte le riforme e a farle progredire». Come altrettanto abile è quel piano quinquennale che si limita a «suggerire» tassi di sviluppo all'8%, ecologicamente sostenibili, e poco altro, per «dare più spazio alle forze del mercato».