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Discussione: Totemismo

  1. #1
    leghista nero
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    Predefinito Totemismo

    STO' FACENDO UNA TESI SUL TOTEMISMO.
    E' INCREDIBILE COME I PELLEROSSA E ALTRI POPOLI DELLA POLINESIA FOSSERO ATTACCATI ALLA LORO ORIGINE.
    Alcuni miti sono veramente romantici........erano così orgogliosi che per differenziarsi dagl'altri arrivavano a mutilare il proprio corpo per assomigliare all'animale totemico.

    Ho trovato qualcosa sul totemismo nei celti.
    Qualcuno sà qualcosa del totemismo nei popoli ariani-indoeuropei?

  2. #2
    leghista nero
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    Predefinito

    CELTI E IL SIMBOLISMO DEGLI ANIMALI
    Nell’antichità, i Celti costituivano un gruppo etnico che, per sopravvivere, doveva scendere a patti con i popoli che, man mano, incontrava. Alcuni reperti archeologici di epoca preistorica testimoniano che le popolazioni celtiche avevano un rispetto particolare per alcuni tipi di oggetti materiali. E’ come se questi reperti testimoniassero l’esistenza di un rapporto speciale tra la persona e l’oggetto in questione.
    Nei racconti epici che ci hanno tramandato compaiono riferimenti importanti sia sul mondo vegetale, sia su quello animale. E’, quindi, per forza di cose che dobbiamo ammettere che la cultura celtica fosse una cultura totemica.
    Per definizione, il totem è “un oggetto materiale, un corpo celeste, un animale o una pianta che, nelle credenze delle tribù primitive, ha dato origine ad un gruppo etnico, con la conseguenza di un rapporto di discendenza e parentela, che determina degli obblighi all’interno del gruppo, talvolta di carattere religioso”. Di conseguenza, il Totemismo “è un sistema di discendenze e di parentele fondato sul totem”. A seconda delle varie credenze, esso presuppone l’esistenza di animali-antenati, che avrebbero dato origine al gruppo, diventandone anche i protettori.
    Ogni gruppo etnico si identificava con un animale. E infatti, ogni membro del gruppo non solo pensava di discendere da un determinato animale (il totem), ma pensava anche di potersi appropriare, con iniziazioni particolari, delle qualità di questo animale: ad esempio, della forza, del coraggio, della bellezza… (è ovvio che caratteristiche degli animali- totem avessero una forte valenza simbolica). Per quanto riguarda la cultura celtica, ad esempio, noi crediamo molto probabile che la divinità di nome Cernunnos (a forma di cervo) abbia proprio questo tipo di origine.
    Nei suoi risvolti religiosi, il Totemismo si manifesta come un vero e proprio culto dell’animale – totem, e cioè dell’animale che era ritenuto come un proprio antenato. I rapporti tra l’uomo ed il suo totem sono reciprocamente benefici: il totem protegge l’uomo e l’uomo esprime il suo rispetto per il totem in diversi modi: ad esempio, non uccidendolo, quando si tratta di un animale (se si è costretti ad ucciderlo, lo si fa osservando un prescritto rituale di scuse e di cerimonie espiatorie) o non cogliendola, quando si tratta di una pianta.
    Nel suo libro “Totem e tabù”, lo psicologo Sigmund Freud spiega che le religioni (almeno quelle precristiane) si sono sviluppate da un sentimento di colpa: quella di aver ucciso e utilizzato il proprio Antenato, e cioè il Padre primitivo. In seguito, nelle religioni primitive, questa uccisione diventa oggetto di una ritualizzazione che si conclude con un cosiddetto pasto totemico, un modo come un altro per realizzare una fusione mistica con il proprio “archetipo” religioso e\o sociale.
    In questa ottica deve essere interpretato il culto orgiastico di Dioniso “Zagreo” che assunse in Grecia le caratteristiche di una religione misteriosofica, qual è, appunto, l’Orfismo. E, non da ultimo, anche l’atto sacrificale di Cristo (ricordato nella “Comunione” del Cristianesimo) che, per amore, offre il suo corpo e il suo sangue per riscattare, a nome di tutti e per tutti, il male del mondo.
    Ma, ritornando alla cultura celtica, vediamo che alcuni gruppi etnici si chiamano “Figli dell’Orsa”, giacché simboleggiano, nel nome che portano, la loro discendenza dalla Grande Madre, il cigno oppure l’oca dal piumato bianco, come il vestito di un Druido.
    Da parte nostra, sottolineiamo che, presso i Celti, il Totemismo ha una valenza prevalentemente simbolica e sociale: l’animale o la pianta prescelti sono, per i membri del gruppo etnico, essenzialmente un simbolo di identificazione sociale.
    Su un eroe druido di nome Diarmaid possiamo leggere molte cose interessanti. La sorte di questo eroe, infatti, sarebbe legata ad un cinghiale. Su di lui esistono molte leggende. E tutte spiegano che il fratello di Diarmaid avrebbe ucciso accidentalmente un cinghiale. Proprio questo fatto sarebbe all’origine del divieto (tabù) di cacciare il cinghiale per tutti i suoi discendenti: pena la morte.
    Il simbolo totemico del cinghiale è molto diffuso nella Gallia (l’odierna Francia), dove quasi tutte le insegne di guerra sono sormontate da aste che rappresentano dei cinghiali. Nel calderone di Gundestrip c’è una placca dove è scolpito un cinghiale e dove i guerrieri hanno un elmo dove è stata fatta l’incisione di questo animale totem. È probabile che, col tempo, il cinghiale sia passato a rappresentare le forze solitarie del guerriero.
    Ma ritorniamo all’eroe druido che ha lasciato scritte molte opere di sé: Cû Chulainn. Prima di essere iniziato si chiamava Sètanta. In seguito alla morte di un cane che, per sbaglio, egli stesso aveva provocato, gli viene imposto il soprannome di “Cane di Chulainn”. Ma il fatto era che egli aveva ucciso il cane da guardia di un fabbro e, sentendosi in colpa, aveva deciso di fare lui stesso la guardia, per proteggere il fabbro. Ecco come Sètanta ottiene dal druido Cathhad la trasformazione del suo nome. Da allora, egli porterà sempre il nome di Cû Chulainn, che significa appunto Cane di Chulainn. In questa storia si può intravedere l’allusione ad un rito druido ed iniziatico, a cui Sètanta sarebbe stato sottoposto per poter accedere – in qualità di membro a pieno titolo - al suo clan che aveva appunto, come simbolo totemico, proprio un cane.
    Fra le tante storie legate al totemismo, e cioè al connubio tra uomo e animale, ricordiamo la storia di Kulhwch, un giovaneche nasce in mezzo a un branco di porci domestici. Poi, la storia di Prydui, un altro eroe che - si dice - venne rapito alla sua nascita e poi deposto in una stalla dov’era appena nato un puledro. L’irlandese Art, figlio di Conn - o meglio “Testa di Orso” - prese questo nome totemico dopo avere conquistato la figlia di Coinechend.
    E per finire cosa dire di Re Artù, che significa orso? E che dire poi, lo ricordiamo solo per curiosità, che l’orso è il simbolo (mi verrebbe quasi da dire animale totemico) della Russia?
    Il divieto di uccidere l’animale di cui si porta il nome è molto più di una regola: è una legge totemica. Ma se tutto ciò ci fa sorridere, se tutto ciò ci fa pensare che i nostri antenati celtici fossero solo dei “barbari”, riducendo così, ai nostri occhi, il significato del totemismo druidico - allora faccio subito un breve cenno al totemismo che, nel terzo millennio, hanno le squadre di calcio italiane! Tutte o quasi tutte le squadre hanno nella loro bandiera l’effigie di un animale. Così il Torino il toro, la zebra la Juventus, la Roma la lepre, il Genoa il grifone e così via… non voglio prolungarmi perché è giusto che lo faccia chi legge: è un modo come un altro per riscoprire il nostro cuore celtico e il Totemismo che è in noi.
    Nell’antichità, i Celti costituivano un gruppo etnico che, per sopravvivere, doveva scendere a patti con i popoli che, man mano, incontrava. Alcuni reperti archeologici di epoca preistorica testimoniano che le popolazioni celtiche avevano un rispetto particolare per alcuni tipi di oggetti materiali. E’ come se questi reperti testimoniassero l’esistenza di un rapporto speciale tra la persona e l’oggetto in questione.
    Nei racconti epici che ci hanno tramandato compaiono riferimenti importanti sia sul mondo vegetale, sia su quello animale. E’, quindi, per forza di cose che dobbiamo ammettere che la cultura celtica fosse una cultura totemica.
    Per definizione, il totem è “un oggetto materiale, un corpo celeste, un animale o una pianta che, nelle credenze delle tribù primitive, ha dato origine ad un gruppo etnico, con la conseguenza di un rapporto di discendenza e parentela, che determina degli obblighi all’interno del gruppo, talvolta di carattere religioso”. Di conseguenza, il Totemismo “è un sistema di discendenze e di parentele fondato sul totem”. A seconda delle varie credenze, esso presuppone l’esistenza di animali-antenati, che avrebbero dato origine al gruppo, diventandone anche i protettori.
    Ogni gruppo etnico si identificava con un animale. E infatti, ogni membro del gruppo non solo pensava di discendere da un determinato animale (il totem), ma pensava anche di potersi appropriare, con iniziazioni particolari, delle qualità di questo animale: ad esempio, della forza, del coraggio, della bellezza… (è ovvio che caratteristiche degli animali- totem avessero una forte valenza simbolica). Per quanto riguarda la cultura celtica, ad esempio, noi crediamo molto probabile che la divinità di nome Cernunnos (a forma di cervo) abbia proprio questo tipo di origine.
    Nei suoi risvolti religiosi, il Totemismo si manifesta come un vero e proprio culto dell’animale – totem, e cioè dell’animale che era ritenuto come un proprio antenato. I rapporti tra l’uomo ed il suo totem sono reciprocamente benefici: il totem protegge l’uomo e l’uomo esprime il suo rispetto per il totem in diversi modi: ad esempio, non uccidendolo, quando si tratta di un animale (se si è costretti ad ucciderlo, lo si fa osservando un prescritto rituale di scuse e di cerimonie espiatorie) o non cogliendola, quando si tratta di una pianta.
    Nel suo libro “Totem e tabù”, lo psicologo Sigmund Freud spiega che le religioni (almeno quelle precristiane) si sono sviluppate da un sentimento di colpa: quella di aver ucciso e utilizzato il proprio Antenato, e cioè il Padre primitivo. In seguito, nelle religioni primitive, questa uccisione diventa oggetto di una ritualizzazione che si conclude con un cosiddetto pasto totemico, un modo come un altro per realizzare una fusione mistica con il proprio “archetipo” religioso e\o sociale.
    In questa ottica deve essere interpretato il culto orgiastico di Dioniso “Zagreo” che assunse in Grecia le caratteristiche di una religione misteriosofica, qual è, appunto, l’Orfismo. E, non da ultimo, anche l’atto sacrificale di Cristo (ricordato nella “Comunione” del Cristianesimo) che, per amore, offre il suo corpo e il suo sangue per riscattare, a nome di tutti e per tutti, il male del mondo.
    Ma, ritornando alla cultura celtica, vediamo che alcuni gruppi etnici si chiamano “Figli dell’Orsa”, giacché simboleggiano, nel nome che portano, la loro discendenza dalla Grande Madre, il cigno oppure l’oca dal piumato bianco, come il vestito di un Druido.
    Da parte nostra, sottolineiamo che, presso i Celti, il Totemismo ha una valenza prevalentemente simbolica e sociale: l’animale o la pianta prescelti sono, per i membri del gruppo etnico, essenzialmente un simbolo di identificazione sociale.
    Su un eroe druido di nome Diarmaid possiamo leggere molte cose interessanti. La sorte di questo eroe, infatti, sarebbe legata ad un cinghiale. Su di lui esistono molte leggende. E tutte spiegano che il fratello di Diarmaid avrebbe ucciso accidentalmente un cinghiale. Proprio questo fatto sarebbe all’origine del divieto (tabù) di cacciare il cinghiale per tutti i suoi discendenti: pena la morte.
    Il simbolo totemico del cinghiale è molto diffuso nella Gallia (l’odierna Francia), dove quasi tutte le insegne di guerra sono sormontate da aste che rappresentano dei cinghiali. Nel calderone di Gundestrip c’è una placca dove è scolpito un cinghiale e dove i guerrieri hanno un elmo dove è stata fatta l’incisione di questo animale totem. È probabile che, col tempo, il cinghiale sia passato a rappresentare le forze solitarie del guerriero.
    Ma ritorniamo all’eroe druido che ha lasciato scritte molte opere di sé: Cû Chulainn. Prima di essere iniziato si chiamava Sètanta. In seguito alla morte di un cane che, per sbaglio, egli stesso aveva provocato, gli viene imposto il soprannome di “Cane di Chulainn”. Ma il fatto era che egli aveva ucciso il cane da guardia di un fabbro e, sentendosi in colpa, aveva deciso di fare lui stesso la guardia, per proteggere il fabbro. Ecco come Sètanta ottiene dal druido Cathhad la trasformazione del suo nome. Da allora, egli porterà sempre il nome di Cû Chulainn, che significa appunto Cane di Chulainn. In questa storia si può intravedere l’allusione ad un rito druido ed iniziatico, a cui Sètanta sarebbe stato sottoposto per poter accedere – in qualità di membro a pieno titolo - al suo clan che aveva appunto, come simbolo totemico, proprio un cane.
    Fra le tante storie legate al totemismo, e cioè al connubio tra uomo e animale, ricordiamo la storia di Kulhwch, un giovaneche nasce in mezzo a un branco di porci domestici. Poi, la storia di Prydui, un altro eroe che - si dice - venne rapito alla sua nascita e poi deposto in una stalla dov’era appena nato un puledro. L’irlandese Art, figlio di Conn - o meglio “Testa di Orso” - prese questo nome totemico dopo avere conquistato la figlia di Coinechend.
    E per finire cosa dire di Re Artù, che significa orso? E che dire poi, lo ricordiamo solo per curiosità, che l’orso è il simbolo (mi verrebbe quasi da dire animale totemico) della Russia?
    Il divieto di uccidere l’animale di cui si porta il nome è molto più di una regola: è una legge totemica. Ma se tutto ciò ci fa sorridere, se tutto ciò ci fa pensare che i nostri antenati celtici fossero solo dei “barbari”, riducendo così, ai nostri occhi, il significato del totemismo druidico - allora faccio subito un breve cenno al totemismo che, nel terzo millennio, hanno le squadre di calcio italiane! Tutte o quasi tutte le squadre hanno nella loro bandiera l’effigie di un animale. Così il Torino il toro, la zebra la Juventus, la Roma la lepre, il Genoa il grifone e così via… non voglio prolungarmi perché è giusto che lo faccia chi legge: è un modo come un altro per riscoprire il nostro cuore celtico e il Totemismo che è in noi

  3. #3
    leghista nero
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    Berserker (lett. "Camice d'orso) e i loro corrispettivi lupini meno conosciuti Ulfedhnar (lett. teste di lupo) appartenevano a delle particolari confraternite militari germaniche.
    Questi simpatici e gioviali figuri erano soliti recarsi in battaglia seminudi, con lo scudo come unica protezione ed indossando la pelle del loro animale totemico (lupo od orso che fosse).
    Durante il combattimento i Guerrieri-Bestia erano presi da un'estasi mistica alla quale i popoli di cultura latina diedero il nome di "Furor": nel parossismo precedente allo scontro ringhiavano, ululavano e bramivano, mordendo il bordo dello scudo, e nella mischia dimostravano una forza disumana, non avvertendo il dolore delle ferite subite e massacrando indistintamente tanto i nemici che i loro alleati.

    Di fatto i Berserkr e gli Ulfhednar erano guerrieri sacri ad Odino (anticamente Wotan, o Woden, dalla radice germanica “Wut-“, che significa appunto “furia”) e secondo il mito era proprio lui ad indurre l'estatico stato del "Furor", fino a provocare delle vere e proprie trasformazioni sul piano fisico.
    si lanciavano all'attacco senza armatura, pazzi come cani o lupi, mordevano i loro scudi ed erano forti come orsi o cinghiali selvatici. Uccidevano i nemici con un sol colpo e né ferro né fuoco poteva ferirli”.

    Ancora oggi in lingua inglese di chi viene preso da rabbia cieca viene detto che è “gone berserk”, mentre in Svedese "barsarkargong", significa "marciare determinati".
    In alcune saghe i Berserker e gli Ulfedhnar sono descritti in maniera tale da non rendere possibile un vero e proprio distinguo tra uomo e bestia, cosa che in un secondo tempo avrebbe dato vita in Europa alla figura del Licantropo, e senza dubbio i Berserker e gli Ulfhedhnar stessi erano realmente convinti di trasformarsi in lupi ed orsi in battaglia, convinzione che era profondamente radicata anche nei loro avversari.
    Questa condizione era ritenuta essere ereditaria, almeno è quello che si deduce in una saga che narra di dodici fratelli, tutti Berserker; quando sentivano montare la furia andavano a sfogarsi nei boschi su massi o alberi per evitare di danneggiare i loro amici.

    Accorsi sul luogo dove doveva svolgersi una grande battaglia, pieni di furia omicida, i dodici fratelli giungono però in ritardo, e per sfogare il loro “Furor” dirompente tornano alla loro casa e uccidono il loro stesso padre.
    I Berserker si facevano un punto d'onore di non ritirarsi mai dalla battaglia, e per questo motivo facevano spesso parte della guardia del corpo dei re vichinghi, normalmente in numero di dodici, combattendo sempre in prima linea, sia in terra che sulle navi.
    Non sempre farsi prendere dalla furia poteva costituire un vantaggio in combattimento: Snorri Sturlusson racconta che alcuni Guerrieri-Bestia della nave di re Olaf, dimenticando di essere in mare si lanciarono contro il nemico, cadendo fuori bordo e annegando.
    L'adozione del cristianesimo portò a vedere nei Guerrieri bestia dei demoni satanici, e vengono dipinti alla stregua di fuorilegge, sempre meno Guerrieri Sacri e sempre più Licantropi (cfr. le testimonianze del vescovo Olaus Magnus sui “Licantropi del Baltico”)
    Il "Furor Teutonicus" dei Germani e dei Vikinghi però ha un carattere sostanziale che lo differenzia dal "Furor Gallicus" del quale ci parlano i Romani riguardo ai Celti.
    La figura del Guerriero Sciamanico germanico si fonda principalmente su un credo : quello del "Contratto col Dio" : il guerriero dimostra sprezzo del pericolo andando in battaglia con minimi mezzi, ed Odino lo ricambia donandogli qualità prodigiose (il "Furor") e deviando le armi dei nemici.
    Il "Furor Gallicus" invece si fonda su basi ben diverse: il guerriero celta scende in campo senza armatura e combatte completamente nudo per stupire e sorprendere tanto il nemico che i suoi stessi compagni: pur propiziandosi gli Dei prima dell'inizio della battaglia, egli durante lo scontro non si affida a nessuna divinità, ed il suo obbiettivo non è quello di ricevere doni divini per le sue prodezze, ma elogi dai suoi compagni e fama e gloria eterna (che in una società come quella celtica, sprovvista di una struttura ben codificata, equivalevano a ricompense sul piano sociale).

    Anche il totemismo animale, parte determinante ed imprescindibile del “Furor Bersercicus”, è assente dal contesto celtico.
    Benché il cinghiale, il serpente, il cervo o l’orso venissero spesso utilizzati nella simbologia celtica sugli stendardi o persino come soprannomi (Cù Chulaìnn, il “Cane di Culann”, o Artù, l’ “l’Orso”), il legame che le popolazioni celtiche hanno con gli animali è puramente ideologico, mentre quello dei Germani è totemico, identificativo e diretto.
    Un esempio di “Furor” in contesto celtico è sicuramente quella dell'eroe irlandese Cù Chulaìnn, il cui volto in battaglia viene orrendamente deformato dall’ardore guerriero, e che alla fine dello scontro, per recuperare la calma, deve fare almeno tre bagni in acqua gelida.
    Il concetto di “Furor” è comunque comune a tutte la popolazioni antiche: basti pensare ad Achille nell’Iliade o ad Ercole (la cui pelle sottratta al leone Nemeo e portata sul corpo e sul capo fa favoleggiare di un’interessate parallelo coi Guerrieri-Bestia Germanici).
    Anche i Romani non sono alieni al concetto di “Furor”: durante uno dei primi scontri che videro i Quiriti contrapporsi agli Etruschi, il figlio del condottiero romano, preso dal furore guerresco, uscì dalle ordinate fila dei suoi per scagliarsi contro il nemico, e per tutta risposta venne abbattuto dal suo stesso genitore, che si limitò ad asserire che l’evento sarebbe stato da monito per i soldati indisciplinati.
    Al di là della probabile natura esclusivamente “didattico-eucativa” del racconto in questione, appare evidente che il “Furor” dunque, originariamente sacro per molte popolazioni indeuropee (Germani, Celti, Achei) dai Romani viene al suo stato puro represso perché elemento incontrollabile e destabilizzante, ed eventualmente incanalato nel “Mars Exurgis!”, gridato all’unisono dai legionari prima di caricare i nemico.
    Al di la delle considerazioni di carattere storico-antropologico sulla figura dei Guerrieri-Bestia, che coinvolgerebbero un enorme quantità di materiale, dai rilievi neolitici di Catal Huyuk alla fiaba di Cappuccetto Rosso, sarebbe molto interessante capire cosa induceva nei Guerrieri Sciamanici o Guerrieri-Bestia quello stato di esaltazione guerriera chiamata nelle fonti "Furor".

    Analizzando il problema da un punto di vista pragmatico, le tesi principali che saltano all'occhio sono le seguenti:

    1) "Barking Mad"
    Partendo dalle saghe scandinave come la Hrolf Kraka Saga o la stessa Edda, è evidente che il comportamento dei Guerrieri-Bestia è imprevedibile e lunatico.
    In battaglia i Berserker e gli Ulfhednar si scatenano in scoppi di furia cieca e inarrestabile, massacrando tanto gli avversari che i propri compagni, non risparmiando nemmeno i propri familiari, ed in tempo di pace sono descritti come soggetti ombrosi che ricercano la solitudine e rifuggono il contatto con gli altri.
    Il quadro che si forma, letto con gli occhi di un critico del nostro tempo, non può non evocare la figura di un soggetto affetto da una qualche prepotente forma Maniaco-Depressiva, forse lievemente demofobico.
    Oltretutto, nelle saghe spesso viene riportato che la carica di Guerriero Sciamanico è ereditaria e passa da padre in figlio, il che può avvalorare ulteriormente la teoria di una forma di malattia mentale congenita.

    2) “Sympathetic Magic

    Dando per assodato che la Magia Empatica funzioni (e per “Magia Empatica” intendiamo una forma molto forte di autosuggestione collettiva indotta dal contesto sociale e culturale), si potrebbe anche ipotizzare che lo stato di “furor” che sopravveniva nei Guerrieri Sciamanici fosse esclusivamente indotto dall’alto grado di suggestione che veniva raggiunto durante le pratiche religiose.
    Sappiamo per certo, grazie alla sperimentazione e soprattutto all’analisi di alcune società primitive, che la Magia Empatica è in grado di generare artificialmente determinate reazioni naturali nella psiche e persino nei processi biologici, fino a provocare nei casi estremi la morte.
    Dunque non è assolutamente improbabile che lo stato estatico raggiunto in battaglia, unitamente alla convinzione di tramutarsi effetivamente nell’animale del quale si indossava la pelliccia (orso per i Berserker, lupo per gli Ulfhednar, cane per gli Halfhundingas), fosse da imputare esclusivamente alla suggestione dettata dal fanatismo religioso.

    3) “Feral Training
    In un passaggio successivo, volendo si potrebbe anche raggiungere un compromesso tra le due teorie sovracitate.
    Nella Volsunga Saga, nel passo che parla della gioventù e dell’addestramento di Sinfjotli da parte di Sigmund, vi sono svariati accenni che fanno pensare che si tratti di una narrazione allegorica sull’addestramento di un Guerriero Sciamanico.

    Il terzo di due bambini già inviatigli dalla sorella, nonché figlio incestuoso dei due, Sinfjotli viene costretto da Sigmund a fare il pane impastando della farina che all’interno ha celato un serpente velenoso, ed è l’unico che supera la prova, mentre i precedenti fanciulli, che non si sono dimostrati abbastanza coraggiosi, per questo vengono uccisi.
    Dopo aver conseguito la prova, Sinfjotli viene portato da Sigmund a cacciare nei boschi, e durante la battuta di caccia i due trovano in una capanna abbandonata due pelli di lupo; le indossano, ed entrambi si trasformano in belve feroci, per poi darsi per lunghi mesi al brigantaggio.
    Il fatto che la scoperta delle pelli sia presentata come casuale è probabilmente dovuto esclusivamente al fatto che la Volsunga Saga venne trascritta in epoca cristiana, durante la quale rimandi espliciti agli antichi culti sciamanici potevano non essere recepiti o volutamente obliati.
    Quindi, mettendo in relazione l’addestramento duro al quale il ragazzo viene sottoposto con il conseguente ritrovamento della pelle di lupo, si può a buon diritto ipotizzare che ai giovani Guerrieri-Bestia venissero imposte delle pratiche iniziatiche dure e feroci, alla fine delle quali uscivano mutati nel corpo quanto nella mente.

    Se vogliamo creare un parallelo moderno, magari poco consono ma di facile intendimento e di effetto immediato, lo si può fare con l’addestramento dei cani da combattimento.
    Ci stiamo riferendo insomma ad una forma di Mitomania-Delusione (quindi un disordine mentale propriamente detto e non più una semplice autosuggestione) indotta artificialmente da un addestramento volto ad esasperare i tratti più bestiali ed inumani dell’individuo.
    Le fonti non ci hanno restituito nulla su un addestramento "spirituale" dei Berserker e degli Ulfedhnar, posto che ve ne sia stato uno.
    Inoltre, a differenza del processo evolutivo presente negli eroi celtici o achei, l'intento non è quello di tramutare l'uomo nel Guerriero con la "G" maiuscola (e quindi nel "super-uomo" e "semi-dio" che ci mostrano tanto i Poemi Omerici che quelli celtici), bensì nell'animale, nella "Bestia".
    Un Berserker è inaffidabile, pericoloso, bestiale, terribile tanto per i suoi compagni che per il nemico.
    Ha un concetto di morale assolutamente nullo e come primo motore immobile ha Odino/Wotan, dio tanto della conoscenza quanto della furia e del massacro.

    Mentre dalla figura dell'eroe celtico germoglierà in futuro l'ideale della cavalleria medievale, quella del Berserker si trova ad un punto morto: mentre genericamente l'eroe indeuropeo (celtico, argivo o quant'altro) è spinto dalla volontà di eccellere, il Berserker è trainato verso il basso, verso gli aspetti più bestiali della natura umana.
    La figura dell'eroe celtico, nella sua volontà di eccellere si evolve costantemente col passare dei secoli, ed ecco che i Fianna di Fionn MacCumhaill diventano i Cavalieri della Tavola Rotonda di re Artù, mentre i Guerrieri-Bestia germanici, chiusi nel loro totemismo animale, non riusciranno a superare lo scoglio del cristianesimo e ad integrarcisi, ma subiranno con lo scorrere del tempo un fenomeno diametralmente opposto di involuzione, diventando i Licantropi della tradizione europea.
    L'eroe celtico, così come quello acheo, è sovrumano e semi-divino.
    Il Guerriero-Bestia germanico è invece disumano e semi-ferino.
    Per questo è dubbio che i Guerrieri-Bestia approfondissero più di tanto le pratiche sciamaniche, al di fuori di una semplice accettazione del legame col proprio animale totemico; essi sono sempre presentati come una potenza priva di controllo, e quindi priva di saggezza.
    C'è un'unica fonte, scandinava, che presenta il Guerriero-Bestia non come una belva odinista assetata di sangue ma come qualcosa di più, ma è evidente che non basta per mettere i fenomeni teriantropici in contesto germanico su base di transfert e meditazione sciamanica, viste le altre migliaia di testimonianze opposte:
    "un enorme orso giunse sul campo di battaglia, massacrando le schiere nemiche...felice per l'aiuto ricevuto dalla belva, ma preoccupato per la sorte del suo signore, egli si recò nella sua tenda, e trovò Bjorn (in Scandinavo "orso" n.d.r.) che scrutava con occhio assente davanti a se, e pareva morto.."

    4) “Drug Addicted

    Spesso è stato ipotizzato che gli scoppi di furia animalesca dei Guerrieri Sciamanici fossero in parte causati dall’assunzione più o meno massiccia di sostanze stupefacenti.
    Nella spossatezza che si impadroniva dei Guerrieri-Bestia al termine della battaglia, descritta meticolosamente nelle saghe vikinghe, si potrebbero in effetti ravvisare i postumi di una forte ubriacatura od intossicazione, così come nell’amnesia che a volte li coglieva.
    Oltretutto, nella Hrolf Kraka Saga sono presenti alcuni passi che potrebbero dar a intendere che alcuni dei Guerrieri-Bestia, alla conclusione della battaglia, morivano per lo sforzo, col cuore esploso.
    Sappiamo per certo ad esempio che gli Uomini-Leopardo dell’Africa Centrale, temutissimi dalle truppe britanniche per la loro ferocia e per il loro sprezzo del pericolo, e così pure i Simba (Uomini-Leone) del Katanga, si drogavano con il Kat (vegetale africano dalle qualità eccitanti e lievemente stupefacenti), che veniva utilizzato come base dei vari infusi eccitanti conosciuti come “Thè di Lumumba” o “Acqua di Mulele”.

    Comunque, il fatto che l’uso di droghe fosse o meno presente nei rituali delle caste dei Guerrieri-Bestia, per quanto degno di interesse, non è particolarmente determinante.
    Nel contesto europeo, l’Amanita Muscaria, che se assunta in maniera appropriata (esclusivamente la cuticola essiccata) è un forte allucinogeno e antidolorifico, potrebbe essere una possibile candidata, così come la Digitale, che trattata a dovere provoca un aumento esponenziale del battito cardiaco e della quantità di adrenalina prodotta dal corpo.
    Sia il fungo che il vegetale sovracitati potevano essere assunti combinati ad alcolici (birra, sidro od idromele), che ne potevano potenziare gli effetti, ma il punto della discussione è un altro:
    in un ambiente dove la Magia Empatica era oggettivamente un carattere comune della realtà di ogni giorno, dalle potenzialità praticamente illimitate, una sostanza stupefacente sarebbe stata di per se stessa per lo più superflua.

    La storicità della figura del “Soma”, il Dio-Bevanda proprio della cultura Indeuropea (cfr. Dùmezil, “Le Sorti del Guerriero”), è innegabile, ma la vera e propria funzione della bevanda penso fosse da imputare al bisogno di avere qualcosa di pratico e materiale che, in un effetto placebo, fungesse da legame tra l’uomo e la possessione divina.
    Per dirla in parole povere, è molto più facile credere che sia un veicolo materiale visibile e verificabile a conseguire un’operazione (come la possessione da parte del dio o la trasformazione dell’uomo in bestia), ma il fatto che il veicolo in questione provocasse realmente un qualsiasi effetto è poco importante, visto che a provocare la trasformazione non è necessario un elemento estraneo, ma semplicemente la suggestione.

  4. #4
    kalashnikov47
    Ospite

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    Interessante, Granitico.

 

 

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