A testa alta
Antonio Padellaro
Per Silvio Berlusconi la manifestazione di Vicenza, l’arresto dei terroristi br e l’imminente voto sulla missione militare (e umanitaria) in Afghanistan sono il triangolo delle Bermuda dove il governo Prodi potrebbe naufragare. Ciò che in un’intervista al «Quotidiano nazionale» il leader proprietario naturalmente si augura giudicando inaccettabile che una parte importante dell’Unione sia animata, dice proprio così, da sentimenti di odio «anti-occidentale e anti-americano». Che l’ex capo di un governo prono ai voleri del caro amico George non riesca a comprendere come altri governi possano non prendere ordini da nessuno, neanche dall’alleato più potente, si tratti di Iraq o di Afghanistan, non desta meraviglia. Così come la campagna denigratoria della destra che teorizza la contiguità tra sinistra radicale e terrorismo passando per il sindacato e i centri sociali, fa parte del brutto paesaggio italiano. Molto meno si capisce invece come davanti ad attacchi così beceri e strumentali la replica nella maggioranza e ai piani alti del governo sia apparsa in certi momenti tutt’altro che vigorosa e lineare.
Sul corteo di Vicenza, in fondo, bastava ribadire che a tutti cittadini sarebbe stato garantito il pieno diritto costituzionale di manifestare liberamente il proprio pensiero. Restando inteso che a difendere tale diritto dai violenti e dai facinorosi avrebbero provveduto, come sempre, le forze dell’ordine. Era sicuramente questo il messaggio che Amato e Rutelli, esponenti di un governo democratico pensavano di aver lanciato al Paese dalle aule parlamentari.
Ma non tutto è risultato alla fine così limpido se poi si sono dovute smentire le malevoli e distorte interpretazioni: e quindi l’accostamento tra pacifisti e terroristi (il ministro degli interni); e quindi l’invito alla repressione rivolto alla polizia (il vicepremier). Niente di tutto questo era stato detto ma qualcosa di sgradevole è rimasto nell’aria.
Anche sulla questione terrorismo difficile sostenere che tutto nel centrosinistra sia filato liscio. All’arresto degli iscritti alla Cgil, Romano Prodi dall’India chiede al sindacato di sorvegliare in modo «molto più forte» e attento che nelle sue file non vi siano «infiltrazioni terroristiche». Ramanzina presa non benissimo da Guglielmo Epifani se poi palazzo Chigi fa sapere che in una cordiale telefonata al segretario della Cgil il premier ha definito il sindacato un baluardo contro chi attenta allo stato e alla sue istituzioni. Forse lo stesso Epifani non ce l’aveva con Prodi quando ieri ha ripetuto che il sindacato non accetta lezioni da nessuno. Diciamo che è stato un modo per ribadire il concetto.
A questo punto le domande possono essere tante. Per esempio, per quale ragione al mondo ci appare così sulla difensiva un governo che può legittimamente vantarsi di aver assicurato alla giustizia dei pericolosi soggetti, ritardati o non (anticipandone per la prima volta i delitti, grazie soprattutto ad alcuni valorosi magistrati diffamati per anni come «toghe rosse» da quegli stessi a cui probabilmente hanno salvato la pelle)? E perché quel cortocircuito comunicativo che costringe il sindacato di Guido Rossa e dei tanti tributi anche di sangue versati negli anni di piombo a difesa della democrazia, quel sindacato, a sentirsi solo, bacchettato da amici ed alleati e difeso da Gianfranco Fini?
Se ci fosse una psicoanalisi della politica sono comportamenti che potrebbero attribuirsi, banalizzando, a una sorta di complesso di colpa. Il conflitto interiore di un gruppo dirigente cresciuto nei grandi partiti della sinistra che non ha nulla da farsi perdonare ma che forse sente di dover dare delle spiegazioni per il rosso di quelle brigate. Si tratta evidentemente di mondi e di storie lontani anni luce eppure tra un distinguo e un’esitazione si permette alla destra più squalificata d’europa di impartire lezioncine su chi dovrebbe «chiudere i conti con il passato» («Il Giornale»). Loro che dovrebbero pensare invece a chiudere i conti con la giustizia.
Le Brigate Rosse che non finiscono mai, ha scritto il «Diario» ed è un’eccellente definizione dell’eterna storia italiana avvitata su se stessa, che ritorna sempre al punto di partenza, che immancabilmente sfoglia lo stesso album di famiglia. In attesa che la politica selezioni nuove generazioni con nuove storie da raccontare evitiamo, per autolesionismo o traumi dell’inconscio di cadere nella trappola preparata dalla destra. Nulla lega l’operazione antiterrorismo al corteo di oggi a Vicenza contro l’allargamento della base americana. Non c’è nessun governo che odia gli americani ma ci sono forze e partiti che hanno un’idea della pace che non contempla i cacciabombardieri: hanno diritto di proclamarlo senza passare per eversori.
Tutti cittadini che sfileranno a testa alta sapendo di vivere in un paese dove non sarà più consentito a nessuno di ripetere lo scempio del G8 di Genova. Perciò sottoscriviamo l’appello della Tavola della Pace, rivolto anche a chi farà informazione. Nessuno provi a confondere i costruttori di pace con i violenti. Nessuno provi a dipingere di nero una manifestazione arcobaleno.