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Discussione: Espresso

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    La grande alleanza rifiuti

    Di Gianluca Di Feo
    Da Forza Italia ai Ds. Passando anche per Udeur e An. Così il business della spazzatura ha coinvolto le forze politiche. Tra appalti milionari e posti di lavoro

    Provate ad immaginare l'autista di un camion della spazzatura con un super-minimo di 1.500 euro in busta paga: sì, tutti i mesi l'extra garantito che gonfia lo stipendio, come si concede in genere ai top manager delle aziende private. Nell'esercito di netturbini che negli ultimi quindici anni è prosperato in Campania si può trovare persino il super-minimo che trasforma il dipendente comunale in un privilegiato di lusso, mentre tutto intorno lievitano montagne di rifiuti. È un episodio che non sorprende. La Commissione parlamentare d'inchiesta ritiene che per l'immondizia di ogni cittadino campano ogni anno si spendano 134,79 euro: di questi, ben 60 finiscono nelle paghe di spazzini e autisti. Moltiplicateli per 5.790.000 abitanti della Regione e avrete un'idea dello spreco: 350 milioni di euro ogni anno solo per mantenere chi dovrebbe fare pulizia, creando un enorme serbatoio di consenso sociale. Prosperato grazie all'interesse di camorra e partiti, i lanzichenecchi del sacco di Napoli.

    Se si vuole tentare di capire l'emergenza perenne che domina la Campania dei cassonetti, bisogna immaginare un'enorme clessidra. In alto c'è il Commissariato di governo, che gestisce i megafondi per porre riparo alla situazione. In mezzo, come la strettoia, c'è la Fibe: l'azienda della famiglia Romiti che avrebbe dovuto trasformare i rifiuti in energia. Ma in realtà come la sabbia della clessidra i finanziamenti piovono soprattutto in basso, arricchendo gli enti locali riuniti nei consorzi che inghiottono fino a 600 milioni l'anno. Soldi che spariscono lì. E non è che quando la sabbia finisce, lo Stato capovolge la clessidra e costringe gli enti locali a trovare la soluzione. No. Finora dal 1994 si è andati avanti di crisi in crisi, per poi sotterrare montagne di scorie e di denaro. Quanto? Cifre astronomiche, che sfuggono a ogni contabilità: si parla di otto miliardi. Tutti sprecati. Perché ora Gianni De Gennaro dovrà ricominciare da zero. Un disastro. Per il quale finora nessuno ha pagato: nessuna condanna penale, civile o erariale. Nessuna responsabilità politica. Possibile che non ci siano colpevoli?

    Sacchetti azzurri Antonio Bassolino apre lo scaricabarile: tutti i governi, nazionali o campani, di destra o di sinistra hanno fallito. Ma se quasi tutti i partiti, a Roma o a Napoli, hanno trovato un modo per sfruttare la crisi, ci sono alcuni leader e alcune formazioni che difficilmente possono dirsi estranee. Per parole, opere e omissioni. E per riuscire ad arrivare a qualche conclusione conviene partire dal fondo della clessidra, da quella rete di consorzi comunali che raccolgono la spazzatura e gestiscono discariche, elargendo assunzioni e commesse. Un giacimento in cui Forza Italia ha pescato a man bassa. L'unico presidente di consorzio finito in manette è Giuseppe Valente, ex numero uno del partito a Mondragone, che ha dichiarato di avere assunto l'incarico su designazione del coordinatore regionale, l'onorevole Antonio Cosentino. I verbali della procura antimafia lo descrivono mentre crea appalti "tagliati su misura" in cambio di mazzette. E poi accompagna gli imprenditori ad incontrare boss al soggiorno obbligato per discutere la quota assegnata alla camorra. Ma al partito di Silvio Berlusconi facevano riferimento due protagonisti del business dei rifiuti, che si sono riciclati più in fretta delle ecoballe.

    Il riciclato di Mastella Il più pesante è Nicola Ferraro da Casal di Principe: tessera azzurra e parentele così ingombranti da fargli negare il certificato antimafia, con la sua azienda EcoCampania ha macinato per anni appalti in quei comuni casertani diventati il regno dei padrini casalesi. Un'inchiesta celebre, citata poi in libri e atti parlamentari, indicava una delle gare vinte dall'EcoCampania come modello del potere di controllo dei casalesi. Ma Ferraro non ha mai ricevuto contestazioni penali. Dopo una lite proprio con Valente ha stracciato la tessera di Forza Italia e ceduto ogni ruolo nell'azienda dei rifiuti. Per dedicarsi alla politica a tempo pieno. Clemente Mastella lo ha accolto a braccia aperte nell'Udeur, nominandolo segretario provinciale a Caserta: non è arrivato in Senato per pochi voti, ma si è insediato nel consiglio regionale dove presiede la commissione sicurezza. Al ministro poco importa di quel certificato antimafia negato e dei familiari condannati. "Lui ha sempre smentito", ha dichiarato il Guardasigilli a 'L'espresso': "Un conto è il dato provato. Un conto è che ti affibbiano delle cose di cui tu non sei responsabile

    La Quercia tra i rifiuti Sotto il Campanile dell'Udeur negli ultimi mesi ha trovato rifugio un altro protagonista delle inchieste giudiziarie: Angelo Brancaccio, fino a un anno fa uomo forte dei ds nel casertano che ha cambiato partito dopo il recente arresto. Sindaco, consigliere regionale e candidato al Senato per la Quercia. Il suo slogan? 'La politica che fa. In Regione con Bassolino più forti'. È stato lui a offrire una tessera diessina ai nuovi signori dei rifiuti, i fratelli Orsi, gli imprenditori emergenti che avevano spodestato Ferraro. Anche gli Orsi originariamente militavano in Forza Italia, ma poi cambiano casacca per conservare gli affari. E nella sezione di Brancaccio una tessera rossa non si negava mai, nemmeno ai familiari dei latitanti. Un copione che in una Campania governata dal centrosinistra non è infrequente. I comuni 'rossi' sciolti per camorra sono almeno una decina. In tutta la regione dal '91 i municipi commissariati per infiltrazioni mafiose sono stati 59: lo scorso anno nel napoletano 83 amministrazioni su 92 erano 'monitorate' dalla prefettura. Perché è partendo dagli enti più piccoli che boss e politici si possono tuffare nella pancia della clessidra, lucrando su quella pioggia di milioni gettati nella monnezza. Lì l'unica raccolta differenziata è quella dei voti e delle mazzette: i primi vanno ai partiti, le seconde soprattutto ai padrini. Una torta così ricca che non conveniva litigare. Tanto che Brancaccio e uno dei leader di Forza Italia, Paolo Romano, propongono una gestione bipartisan: "I rifiuti sono di tutti, un patrimonio comune". Che altro dire?

    Alleanza consortile Alcuni avrebbero trasformato quel patrimonio in potere. Tra loro, secondo la procura antimafia di Napoli, un altro politico nazionale non estraneo all'oro delle discariche: Mario Landolfi, che ha fatto da spalla a Gianfranco Fini nel suo tour sdegnato tra la marea di sacchetti. I magistrati accusano l'ex ministro di An e presidente della Commissione di vigilanza Rai proprio di corruzione, contestandogli le manovre destinate a mantenere il controllo del comune di Mondragone e, tramite quello, di uno dei consorzi più ricchi. Il braccio destro di Landolfi è stato intercettato mentre chiedeva assunzioni di spazzini: "Quello vale cento voti!". Spiega ai giudici uno dei fratelli Orsi: "Circa il 70 per cento delle assunzioni erano inutili ed erano motivate per lo più da ragioni politico-elettorali, richieste da Landolfi, Valente e Cosentino". Ad ogni elezione, netturbini e autisti venivano mobilitati in sostegno del candidato di riferimento. Ma queste manovre, accusano i pm, servivano anche a garantire gli interessi della camorra. Che dal basso cercava di imporre i suoi uomini anche in alto, risalendo fino al vertice della clessidra. Insospettabili per trattare direttamente con la Fibe dei Romiti. O per arrivare addirittura nella stanza dei bottoni del Commissario per l'emergenza.

    È l'operazione che riesce ai fratelli Orsi. Prima passano dall'edilizia ai rifiuti. Poi puntano su un architetto, Claudio De Biasio. Dicono al telefono: "È uno dei nostri. Stiamo facendo di tutto perché venga nominato". E ci riescono. De Biasio si insedia al vertice sotto il prefetto Catenacci, a cui il premier Berlusconi affida la direzione dell'emergenza salvando Bassolino dal naufragio. Poi quando con Prodi arriva Guido Bertolaso, l'architetto viene promosso a numero due. Sta persino per diventare consulente della Commissione parlamentare quando interviene la magistratura che lo arresta proprio per le complicità nella gestione camorristica.

    Toghe verdi Ma il problema è doppio, anzi triplo. Perché la designazione di De Biasio come vice di Bertolaso è stata fatta da Alfonso Pecoraro Scanio. Il ministro dell'Ambiente viene in genere trascinato nel girone dell'immondizia solo per peccati di omissione, come il no alla discarica di Serre o il ritardo biblico per il nulla osta al termovalorizzatore di Santa Maria La Fossa. Certo: anche il suo partito in alcuni comuni campani ha avuto crescite record di voti e tessere, ma nulla sembra chiamarlo in causa direttamente. Possibile che il barone verde si sia fatto trarre in inganno da quello che i pm antimafia considerano un ingranaggio chiave del sistema criminale? Ed ecco che spunta la terza faccia della questione. Perché nell'istruttoria viene inquisito il viceprefetto Raio, capo di gabinetto di Catenacci. E finisce sotto inchiesta un alto magistrato, un paladino della lotta ai crimini ambientali: il procuratore capo di Santa Maria Capua Vetere Donato Ceglie. Raio descrive gli uffici del Commissariato come un 'porto di mare', con i padroncini della monnezza che si sedevano direttamente sulle poltrone degli emissari di governo. Prefetti, magistrati. Insomma lo Stato. E poi i partiti e la camorra. I controllori, i controllati e i delinquenti. Manca nessuno? Le accuse penali restano tutte da provare. Anzi, nel caso del procuratore Ceglie sono già state archiviate dai magistrati di Roma. Che però rilevano come Ceglie avesse assunto un ruolo quasi da consulente del commissariato. E parlano di "accertata familiarità tra il Ceglie e altri soggetti coinvolti... elemento censurabile sotto altri profili ma non rilevante".

    El Fibe de oro Nulla di rilevante. Alla fine gli unici protagonisti sotto processo sono la Fibe e Bassolino. A più di sette anni dalla concessione, che ha affidato tutta la questione campana all'azienda del gruppo Impregilo, allora nelle mani della famiglia Romiti, i risultati sono desolanti. Gli impianti che devono trasformare la spazzatura in combustibile ecologico non hanno mai funzionato. Da mesi - sostiene la Commissione parlamentare - non si riesce nemmeno a fare la manutenzione ordinaria. Ora l'unica strada pare la chiusura, nella speranza di inventare un modo per renderli capaci di funzionare. Il completamento del termovalorizzatore di Acerra slitta di anno in anno: ma senza vero combustibile, rischia solo di diventare un colossale inceneritore con veleni difficili da domare. L'altra centrale, quella di Santa Maria La Fossa, forse non nascerà mai. Lo spreco? Settecento milioni. Il Commissario ha fatto una sua causa civile: vuole un miliardo per il danno di immagine. Impregilo replica: è tutta colpa dei governi e pretende 1.700 milioni dallo Stato. La causa è del 2005: la prima udienza ci sarà il 23 maggio. Chissà se per quella data le strade della Campania saranno tornate pulite

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