GIOVANNI BOTERO

"Perche spetta anco al Prencipe la guerra, deve aver piena notitia delle cose militari, della qualità d'un buon Capitano, d'un buon soldato, del modo di farne scelta, di schierarli, di avvalorarli, e delle scienze che sono quasi ministre dell'arte militare; della Geometria, Architettura, e di tutto ciò che si appartiene alle mecaniche; nel che fu eccellentissimo Giulio Cesare. Non voglio però, ch'egli attenda a queste cose, come ingegniero o artefice, ma come Prencipe; cioé che n'habbia tanta notitia, che sappia discernere il vero dal falso, e 'l buono dal reo; e di molte cose proposte sappia sceglierne la migliore".

(Della Ragion di Stato)

INTRODUZIONE

A cura di Gigliana Maestri



Giovanni Botero nasce a Bene Viagienna, vicino Cuneo, probabilmente nel 1544. Ancora giovanissimo, entra nella Compagnia di Gesù, compie i suoi studi in varie città italiane, e viene poi mandato ad insegnare retorica in Francia, dapprima a Billom, in seguito a Parigi. Dal momento che per ben due volte gli viene negata la professione dei voti, forse anche a causa del suo carattere non facile, chiede di essere dimesso dalla Compagnia, ed entra a servizio di Carlo Borromeo. Dopo aver svolto una missione in Francia per conto del duca di Savoia Carlo Emanuele I, egli diventa precettore del giovane Federico Borromeo, con il quale si reca a Roma nel 1586. È richiamato a Torino nel 1599, in qualità di precettore dei tre figli di Carlo Emanuele. Ottiene poi il titolo di abate di San Michele della Chiusa, ed è anche primo segretario e consigliere dei Savoia. Muore nel 1617.
Botero scrive molti libri e di vario genere: trattati, biografie di personaggi famosi, apologie, prediche e poesie. Tuttavia, la sua opera più nota è Della ragion di stato, pubblicata in dieci volumi nel 1589. Si possono anche ricordare: Delle cause della grandezza e della magnificenza delle città, le Relazioni universali, De regia sapientia, Relazione della repubblica veneziana, I capitani, Detti memorabili di personaggi illustri.
Come si è ricordato, la sua opera più popolare è Della ragion di stato. Qui, Botero cerca di conciliare la politica con i precetti etico-religiosi della fede cattolica, in netta polemica con Machiavelli. Tuttavia, al di là di questa scelta teorica, priva di originalità perché perfettamente in linea con lo spirito della Controriforma, egli si distingue in quanto, nella sua riflessione politica, quando si sofferma sulla vita degli Stati, attribuisce molto rilievo a quegli aspetti geografici ed economici, quindi "mondani" e concreti, che influiscono sull'esistenza delle nazioni e delle città. Ad esempio, egli sostiene che i centri urbani della nostra penisola sono più grandi di quelli degli altri paesi europei, perché vi risiede la nobiltà, che invece all'estero tende a vivere prevalentemente in campagna. Evidentemente, Botero si concentra sulle particolarità regionali e nazionali, e manifesta anche interesse, oltre l'ambito europeo, per società non cristiane.
Più in generale, egli appare avverso a qualsiasi forma d'intellettualismo utopistico, e, nel descrivere gli uomini e le loro vicende, il suo atteggiamento è decisamente realistico, grazie anche alle sue notevoli doti d'osservatore. Complessa, e a tratti controversa, appare la sua personalità, da cui emerge una sincera devozione religiosa, unita però ad un conformismo talora eccessivamente ostentato.



LA RAGION DI STATO



È difficile dare in poche pagine un riassunto completo della Ragion di Stato, piena com'è di lunghe digressioni su questo o quell’aspetto della politica regia, con frequenti richiami a esempi storici, presentati nel modo più opportuno per confortare la tesi dell'autore. Si occupa dei commerci, delle fortificazioni, dei mezzi adatti ad imbrigliare gli eretici, riguardo ai quali osserva acutamente che "il cambiare religione può esser di qualche utile a un particolare ed è contro il bene pubblico, quindi avviene che una città libera abbraccia più facilmente l'eresia che un principe assoluto": consiglia ai governanti di cercare all'esterno un diversivo per i contrasti interni: "la Spagna è in somma quiete perché si è impiegata in guerre straniere e in imprese remote nelle Indie e nei Paesi Bassi.... La Francia, stando in pace con gli stranieri, se rivolta contro sé stessa e gli animi sono pieni di furore e di rabbia"; raccomanda il possesso di colonie oltremare per dare terre e pane al sopravanzo della popolazione; e, contro l’opinione dominante ai suoi tempi, vuole che le imposte regie colpiscano proporzionatamente tutte le proprietà dei privati non siano personali, ma reali, cioè non su le teste, ma su i beni, altrimenti tutto il carico delle taglie cadrà sopra de’ poveri, come avviene ordinariamente, perché la nobiltà si scarica sopra la plebe e le città grosse sopra i contadini "l'agricoltura dev'essere favorita" e si deve "far conto della gente che s’intende di migliorare e fecondare i terreni e di quelli i cui poderi sono eccellentemente coltivati", perciò da lode ai Duelli di Milano che scavando canali irrigatori "hanno arricchito sopra ogni credenza quel felicissimo contado": è avverso alle milizie mercenarie, che "vendono a guisa di mercatanti e di bottegai di poca fede l’opera loro piena di infinita tara di mille paghe morte o truffate, o di gente a buon mercato e perciò di poco valore e mal condizionata": si dilunga sull'arte militare, sulla scelta delle armi per i cavalieri ed i fanti....

La Ragion di Stato e le Aggiunte che ad essa tennero dietro: Della eccellenza dei grandi capitani; Della neutralità; Della reputazione del Principe; oltre alle Relazioni universali che il Botero, veniva pubblicando sui vari Stati di Europa, quasi ad illustrazione ed a commento delle sue teorie di governo, gli valsero fama e considerazione grandissima, non solo a Roma. nell'ambito della Corte pontificia, ma presso i principali potentati nazionali e stranieri; tanto che il Duca Carlo Emanuele volle chiamarlo a Torino, per affidargli l'educazione dei suoi tre figli, ancora giovinetti. Giovanni Botero, da buon suddito, non esitò ad obbedire e benché forse gli pesasse un poco di perdere la sua cara indipendenza e di interrompere i suoi studi prediletti, tornò in Piemonte dopo quindici anni di assenza, e si accinse con zelo coscienzioso ad assolvere il compito che gli avevano assegnato. Egli del resto aveva sempre professato che "un privato non può l’opera e il saper suo meglio impiegare che in servire o di consiglio o di aiuto a quegli a cui Dio ha la cura dei popoli e l’amministrazione delle città confidato". Ora la sorte gli offriva l'occasione di porre in atto questo suo principio preparando e plasmando per le responsabilità del comando la mente ed il carattere di futuri sovrani. Alla corte di Carlo Emanuele, il nuovo precettore visse circa quattro anni e seppe così bene accattivarsi l'affezione dei principi e la fiducia del Duca, che quando nel 1603 i suoi allievi dovettero partire per la Spagna, invitati a passare qualche tempo alla corte del Re Filippo III. egli fu scelto per accompagnarli. Il soggiorno durò quasi tre anni e si sarebbe forse prolungato, se la tragica sorte del principe Filippo, rimasto vittima di una epidemia di vaiolo, non avesse indotto il Duca padre a richiamare presso di sé i due superstiti. Vittorio Amedeo e Filiberto. Dopo il ritorno in Piemonte l'illustre precettore che fra le cure pedagogiche e di corte non perdeva di vista la politica e dalla Spagna aveva mandato a Torino molte informazioni preziose, fu promosso alle cariche onorevoli e ambite di Consigliere e Primo Segretario dei Duchi di Savoia. E non furono vane sinecure: ché il Sovrano teneva in alta stima il senno e l'esperienza dell'Abate Botero, e lo consultava spessissimo sugli affari di Stato. Aveva allora molta carne al fuoco, l'ambizioso Signore montanaro che vedeva lontano, grande ed alto, e pensava all'Impero, ed ai Regni di Macedonia e di Cipro, alla Provenza ed alla Lombardia come alle splendide possibili poste di una grande partita! Di tutto ciò trattava col Primo Segretario negli intimi colloqui a palazzo, o per lettere; e discuteva se colui familiarmente anche di storia e di letteratura, sottoponendo al suo esame e al suo giudizio gli scritti in versi e in prosa di cui si dilettava nei momenti di svago. Anche il Botero aveva ripreso a scrivere e diede fuori in quegli anni alcune aggiunte alle sue Relazioni; e un'opera sui Principi Cristiani, "ove nelle azioni di ottimi e valorosissimi Re la pratica e l’uso di essa ragione di Stato quasi pittura al suo lume si scorge"; a cui segue una storia della Casa Sabauda dai tempi di Beroldo fìno al Duca regnante. Dello stesso periodo sono un trattato didattico sui Grandi Capitani: un Discorso sull’Eccellenza della Monarchia in cui riprende e illustra le idee che già sappiamo, ed un Discorso della Nobiltà, in cui mostra di anteporre l'aristocrazia militare a quella civile o togata "perché la toga non è così efficace e pronta all’operare come la spada in tagliare i nodi gordiani e le difficoltà che si sogliono nelle alte imprese attraversare" ; ed ancora poemetti e dissertazioni diverse, sempre in lode del Duca e del Piemonte, produzioni di gusto secentesco per la ricerca preziosa dei concetti, ma tuttavia eleganti ed aggraziate. Il suo ultimo scritto politico è del 1611: il Discorso sopra la lega contro il Turco, alla cui testa sognava il suo Signore, breve lavoro che tradisce in qualche punto la grave età dell'autore, già più che settantenne.



GIOVANNI BOTERO