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Risultati da 1 a 6 di 6

Discussione: Proletari@

  1. #1
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    ARDITI NON GENDARMI

  2. #2
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    Citazione Originariamente Scritto da Muntzer Visualizza Messaggio
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    ARDITI NON GENDARMI
    Ma sta cosa alla fine che è?

    L'ennesima costituente che gira attraverso un progetto reale quale una rivista?

    ....stiamo in un periodo di rimpasti, molte volte incompatibili, spero comunque che vadano bene, certo che a giuducare dal nome le prospettive sono limitate.

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da bixio_cv Visualizza Messaggio
    Ma sta cosa alla fine che è?

    L'ennesima costituente che gira attraverso un progetto reale quale una rivista?

    ....stiamo in un periodo di rimpasti, molte volte incompatibili, spero comunque che vadano bene, certo che a giuducare dal nome le prospettive sono limitate.
    Non so dirti cosa sia, ma ho cercato di raccapezzarmi sulle ultime uscite di sigle e simboli. Tutti giriamo attorno ad un centro gravitazionale, ma ognuno di noi lo articola in modo diverso.

    Non credo che sarà una rivista a riunire tutti sotto un'unica egida. Semmai penso che la nascita e la diffusione di una rivista sia una buona cosa, visto che ultimamente non ci sono più strumenti culturali al di là di internet, per molti giovani...

  4. #4
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    E' uno strumento, interessante, del PDCI, benvenuto.

    ARDITI NON GENDARMI

  5. #5
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    Presentata Proletari@ a Roma



    09/11/2008 22:15


    A Roma presentata al Teatro Tendastrisce Proletari@. Una vera folla composta da un migliaio di compagni, tra cui moltissimi i giovani, le donne e tantissimi i lavoratori in rappresentanza di molte fabbriche e luoghi di lavoro.

    Dal palco alla platea gli studenti delle scuole di Palermo erano “mischiati” con gli operai della Sammontana e della Marcegaglia; Ciro Argentino della TissenKrupp con Gerardo Giannone della Fiat di Pomigliano; i precari di Taranto con Tommaso Colaninno e Cosimo Borraccino ascoltavano divertiti e attenti le “adesioni video” di Marco Baldini, Fabio Marcelli e Mikaela Petroni delle rsa di Alitalia; Cristina Benvenuti raccontava la sua condizione di proletaria unita alle persecuzioni giudiziarie di I.C mentre Giovanni Bacciardi, Lucia Mango e, in conclusione, Gianni Vattimo ponevano l’accento sul conflitto delle idee, parte integrante della lotta più generale delle classi lavoratrici. L’unico aspetto negativo è stato l’incidente d’auto che ha impedito ad Alessandro Mustillo (per fortuna solo una botta in testa senza conseguenze) di presentare l’iniziativa coordinata poi da Andrea Fioretti che ha ricordato l’appuntamento cruciale di sabato 6 dicembre a Torino per ricordare i morti della Tissen ed impegnarsi con la lotta ad evitare le morti sul lavoro.





    Entusiasmo, rigore e sobrietà nel differenziarsi dalla politica leaderistica e di mestiere dei giorni nostri, tutta protesa, purtroppo anche a sinistra, nel riprodurre gli elementi di privilegio della “casta”: basta vedere il cinismo con cui uno come Vendola, ha sottolineato Marco Rizzo nel suo intervento, decide di restare o lasciare Rifondazione sulla base non di un progetto politico per la riscossa delle classi subalterne bensì sulle probabilità o meno di essere eletti alle elezioni europee.
    Esattamente il contrario del progetto di Proletari@ che non sarà smaniosa di chiedere voti e poltrone ma che vivrà dei racconti, delle lotte e delle vertenze di una nuova classe sociale che ha tanto bisogno di ritrovare una compattezza identitaria e di riscossa quanto necessita di abbandonare al loro destino i ceti politici che persistono nella loro autoriproduzione.
    Il lancio di Proletari@ è stato seguito con attenzione in questi giorni dal Corriere della Sera, dal Tg1, dal Tg2 e dal Tg5 (video). Amareggia, ma non stupisce, la disattenzione totale de il Manifesto, certo molto più attento alle riunioni radical-chic con poche decine di persone promosse da Fava e Vendola.
    Adesso spetta ad ognuno di voi dar corpo a questo progetto, scrivendo, fotografando, filmando o riuscendo a farlo fare ai soggetti che vivono le terribili contraddizioni di questa società globalizzata. Le gambe, ma soprattutto la testa di questo progetto siete voi care compagne e compagni!



    ARDITI NON GENDARMI

  6. #6
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    DAL DIALOGO AL CONFLITTO





    Gianni Vattimo, dal 1964 professore (di Estetica e poi di Filosofia teoretica) presso l'università di Torino ha tenuto la sua “lezione di congedo”, martedì 14 ottobre, su “La verità come evento. Dal dialogo al conflitto”. Eccone qui di seguito un ampio stralcio

    Perché “dal dialogo al conflitto”? Non è forse l’ermeneutica – quell’orientamento filosofico a cui sulle tracce di Pareyson, di Gadamer, e prima di Heidegger e di Nietzsche ho sempre cercato di ispirarmi – per l’appunto una filosofia del dialogo? Anni fa , anche in base all’esperienza di dibattiti americani dove l’ermeneutica era diventata semplicemente il nome di tutta la filosofia “continentale” (da Habermas a Foucault a Derrida e Deleuze) sostituendo esistenzialismo e fenomenologia, avevo proposto di parlare di ermeneutica come nuova koiné, nuovo idioma comune di una larga parte della filosofia contemporanea. Questa diffusione, per dir così, dell’ermeneutica l’ha anche fatalmente “diluita”; io pensai allora di opporre una più dura accentuazione dell’inevitabile esito nichilistico dell’ermeneutica presa sul serio. Che ogni esperienza di verità sia interpretazione non è a propria volta una tesi descrittivo-metafisica, è una interpretazione che non si legittima pretendendo di mostrare le cose come stanno – anzi non può affatto pensare che le cose, l’essere, “stiano” in qualche modo; interpretazione e cose, ed essere, sono parti dello stesso accadere storico; anche la stabilità dei concetti matematici o delle verità scientifiche è accadimento; si verificano o falsificano proposizioni sempre soltanto all’interno di paradigmi che non sono a loro volta eterni, ma epocalmente qualificati. Parlavo di esito nichilistico dell’ermeneutica, riprendendo il termine da Nietzsche ma con una inflessione heideggeriana; come si sa, per Heidegger l’essere è evento, apertura proprio di quegli orizzonti storici che Thomas Kuhn chiama paradigmi. Alla nozione heideggeriana di evento io aggiungevo – credo sempre in fedeltà al suo insegnamento - una più esplicita filosofia della storia dell’essere di origine nietzschiana: se guardiamo alla storia dell’essere come si è data e si dà a noi occidentali (cittadini dell’Abendland, la terra del tramonto) la lettura più ragionevole che possiamo darne è quella proposta da Nietzsche con la sua idea di nichilismo: la storia nel corso della quale, come riassume Heidegger, alla fine dell’essere come tale non ne è più nulla. Appunto dell’essere come tale: l’on è on di Aristotele, l’essere come struttura stabile che sta al di là di ogni contingenza e garantisce la verità immutabile di ogni vero ha invece il “destino” di camminare indefinitamente verso il non-esser -più l’essere come tale. Seguendo Nietzsche, vedevo questo processo come il filo coduttore del divenire della cultura occidentale, dalla verità come visione delle idee di Platone alla fondazione “soggettiva” del vero in Cartesio e Kant fino all’identificazione positivistica della verità con il risultato dell’esperimento costruito dallo scienziato e poi alla stessa “universalizzazione” dell’ermeneutica,ben oltre le scienze umane, in teorie come quella di Thomas Kuhn.
    Ecco dunque il senso dell’esito nichilistico dell’ermeneutica. Che non significa non avere più criteri di verità, ma solo che questi criteri sono storici e non metafisici; certo non legati all’ideale della “dimostrazione”, ma piuttosto orientati alla persuasione – la verità è affare di retorica, di accettazione condivisa; come è del resto anche la proposizione scientifica, che vale in quanto è verificata da altri, dalla cosiddetta comunità scientifica, e niente di più.
    Ma perché, ancora, dal dialogo al conflitto?
    Posso confessare senza difficoltà che sono diventato sensibile a questo problema – che riassumo in questo titolo - per ragioni che non hanno anzitutto a che fare con questioni interne alla teoria, ma che sono invece fin troppo evidentemente legate a quella che con espressione dello Hegel dell’estetica chiamerei,alquanto pomposamente, la “condizione generale del mondo”. Della quale prendiamo coscienza a partire dal senso di fastidio che ci suscita sempre più nettamente ogni richiamo al dialogo. Non solo nella recente politica italiana,dove i contendenti litigano rimproverandosi reciprocamente di non voler dialogare, senza mai peraltro nominare la “cosa stessa”, con effetti che sarebbero comici se non ne andasse del destino del Paese. In verità, se riflettiamo sulle ragioni dell’insofferenza per la retorica del dialogo ci rendiamo conto che stiamo solo esprimendo una rivolta ben più ampia e più filosoficamente rilevante, e cioè la rivolta contro la “neutralizzazione” ideologica che domina ormai ovunque la cultura del primo mondo, l’Occidente industrializzato. Si tratta di quello che spesso è stato chiamato il pensiero unico, il quale si identifica in ultima analisi con ciò che i politici chiamano – quando lo nominano – il Washington consensus, al di fuori del quale non c’è che il terrorismo con tutti i suoi derivati.
    Il pensiero unico nel quale siamo immersi ha il merito di averci fatto capire - in molti sensi sulla nostra pelle – che l’oggettivismo metafisico, oggi declinato soprattutto come potere di scienza e tecnologia, non è altro che la forma più aggiornata – e più sfuggente – del dominio di classi, gruppi, individui. Neutralizzazione e potere degli esperti di ogni tipo sono la stessa cosa. E' l’esperienza che, anche nel piccolo orizzonte della società italiana, facciamo quando vediamo la scomparsa delle differenze tra destra e sinistra. Una scomparsa che del resto è generale, almeno nel mondo occidentale della razionalità capitalistica, per quanto quest’ultima sia sempre più visibilmente irrazionale e manifesti senza alcun pudore la sua essenza puramente predatoria
    Ripeto in breve i passi impliciti in quanto detto fin qui .La verità, se non è rispecchiamento di un ordine eternamente dato di essenze e strutture, è accadimento, e accadimento dialogico . Verità si dà quando ci mettiamo d'accordo. Ma il dialogo sarà davvero sempre così pacifico?
    La retorica odierna del dialogo ha molti caratteri per essere sentita come una maschera del dominio – ed è così che la viviamo di fatto nella nostra insofferenza crescente verso di essa.
    Heidegger ci ha insegnto che la verità di una proposizione qualunque si prova solo all'interno di un paradigma storico, il quale non è semplicemente l'articolarsi di una struttura eterna (natura dell'uomo, primi principi, ecc.) ma accade, nasce, ha un'origine , il cui modello egli vede nella nascita dell'opea d'arte. La quale è un luogo di accadere della verità in quanto (pensiamo a Dante, alla Bibbia, a Shakespeare) è l'apertura di un orizzonte storico, la nascita di un linguaggo e di una nuova visione del mondo. E quel che costituisce la base della forza inaugurale dell'opera d'arte, dice Heidegger , è il fatto che essa mantiene aperto il conflitto tra “mondo” e “terra”.. Due termini che vanno intesi l'uno, il mondo, come l'orizzonte articolato, il paradigma, che l'opera inaugura e dentro cui ci fa “abitare”; l'altro, la terra,come quella riserva di sempre ulteriori significati che, come dice il termine stesso, sono legati alla vita – della natura e della persona – e che costituiscono sempre un alone oscuro da cui proviene la spinta a progettare, a cambiare, a divenire altro.
    Ma la “terrestrità” non si lascia chiudere dentro la stabilità di un dialogo felice, che istituirebbe la verità come nascita armoniosa di un nuovo paradima.
    Non si può cercare di uscire dall'oggettivismo metafisico – apologetico, “realistico” - senza venir coinvolti in un conflitto da cui soltanto puo' scaturire la verità-evento. La libertà – la progettualità umana in cui soltanto si annuncia l'essere come tale - è sempre minacciata dalla metafisica (cioè dalla violenza del dominio).
    Per questo, cercare di pensare l'essere non vuol dire altro,oggi per noi, che opporsi alla neutralizzazione, prendere partito. Con chi e per cosa non è poi un scelta tanto difficile.
    Se l'essere è pensato come progettualità e libertà, si dovrà ovviamente scegliere di stare con quelli che più progettano perché meno hanno: il vecchio proletariato marxiano, non titolare metafisico della verità perché libero di vedere il mondo fuori dalle ideologie; ma portatore dell'essenza generica perché più di ogni altro individuo, gruppo,classe , è definito dal progetto,cioè autenticamente ex-sistente.
    Come si vede, questo discorso è tutt'altro che un congedo – anche se forse qualcuno , viste le conclusioni poco “innocenti”, potrebbe essere tentato di salutarlo, finalmente, come tale. C'è ancora un sacco di lavoro, non solo teorico, da fare. Dunque,piuttosto un arrivederci, forse in altre sedi, ma speriamocon la stessa importuna passione progettuale.


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