Friedrich Nietzsche
Un cammino isolato e tragico
Friedrich Nietzsche nacque nel 1844, nel villaggio di Röcken, in Sassonia, la regione di Lutero e il luogo di irraggiamento della Riforma. Ciò va premesso, perché, in primo luogo, il cristianesimo protestante fortemente interiorizzato e risentito, avrà vasta eco nella vita spirituale del Nostro, e in secondo luogo perché, a differenza della nostra epoca scristianizzata e tollerante, nella Germania dell’Ottocento (come nella Danimarca del primo quarto del secolo per Kierkegaard), provinciale e Bieder (vedi qui e qui per la particolare flessione semantica attribuita da N. al termine bieder), ossia piccolo-brghese e filistea per usare un termine caro a Nietzsche, le confessioni religiose, e quella protestante innanzi tutto, ancora in nettissima contrapposizione al cattolicesimo, segnavano le proprie stimmate nelle carni prima che nello spirito delle persone in genere, e ancor più degli intellettuali, soggetti che maneggiano le idee, ossia gli stessi propellenti mentali delle religioni.
Gli vengono assegnati dal padre, pastore luterano – altra stimmata - gli stessi nomi del re di Prussia, Federico Gugliemo IV, monarca che cinque anni dopo non accetterà la corona imperiale, perché questa gli veniva proposta da una delegazione che agiva “in nome del popolo”, in uno scorcio della Rivoluzione europea del ’48 che cercava ancora il consenso dei sovrani. Più tardi, Nietzsche insorgerà contro lo spirito nazionalistico che accompagnerà il processo unitario della Germania conclusosi nel 1871.
Fin dall’età di cinque anni, il bambino, orfano di padre, è posto sotto la tutela delle donne di casa: la nonna paterna, sua madre e le due zie che lo educano in un’atmosfera d’austerità, se non d’ascetismo, ma anche di perfezionamento culturale. Comincia i suoi studi alla scuola luterana ed umanista di Pforta, in Turingia, dove ha i primi contatti con la civilizzazione culturale della Grecia e di Roma sotto la disciplina di una scuola ben ordinata: «Questa costrizione quasi militare che, destinata ad agire sulla massa, tratta l’individuo in modo freddo e superficiale, mi ha ricondotto a me stesso», scriverà.
Nel 1864 si iscrive allafacoltà di teologia all’università di Bonn, ma è soprattutto attirato dagli studi di filologia, che il suo insegnante, dott. Ritschl, non limitava alla semplice storia di forme di letterarie ma che estendeva allo studio generale dei sistemi di pensiero e delle istituzioni.
Da Wagner alla “gaia scienza”
Nel 1865, la scoperta della filosofia pessimista di Schopenhauer quindi l’incontro con Wagner nel 1868, sconvolgono i suoi primi riferimenti, di cui intraprenderà l’analisi: l’interrogazione sulle origini ha avuto sempre la preminenza in lui rispetto all’inventario critico dei lasciti intellettuali. L’interesse di Nietzsche per la genealogia pone il problema determinante per lui delle relazioni intercorrenti tra tradizione ed innovazione, suo tratto mentale ambivalente non cessando di confliggere, nel suo pensiero, la violenza di una volontà distruttrice dei valori tramandati col fascino subìto dai legami ancestrali.
Consumata la rottura con il cristianesimo, ottiene, nel 1869, una cattedra di filologia a Basilea. Nel 1872, nella Nascita della tragedia, inverte la prospettiva tradizionale sulla cultura greca, sostenendo che la tragedia, come la musica, è prodotta dallo spirito dionisiaco, misterioso e irrazionale, e non dallo spirito apollineo, simbolo della luce e dell’armonia, che l’Occidente ammira invece come qualità preminente della Grecia antica. Il libro, frutto di un grecista innamorato, è molto criticato dagli ambienti universitari, mentre Wagner ne farà l’elogio. La Nascita della tragedia si offre come il primo contributo alla critica di Socrate - l’ "inventore" del concetto e della razionalità occidentale - che Nietzsche si proponeva fin da quest’epoca di condurre a termine, ma, allo stato, la critica è ancora in gran parte tributaria di aspirazioni estetiche e nazionalistiche più che propriamente critico-filosofiche, anche se nel suo pensiero sarà sempre difficile distinguere le istanze estetiche o mitico-poetiche da quelle più propriamente speculative. Nietzsche in quest'epoca riconosce infatti in Wagner l’incarnazione del genio greco.
Nel 1873, Nietzsche compone un elogio di Wagner in una delle sue Considerazioni inattuali, ma, già nel 1876, rompe con il musicista, che guarda ormai come un essere superficiale ed il principale rappresentante dell’arte tedesca che egli comincia ad esecrare. Nel 1878, Nietzsche pubblica, “in memoria di Voltaire per il centesimo anniversario della sua morte”, Umano, troppo umano. Dopo Cristo e Socrate è la volta del distacco dal Geist tedesco e l’abbordaggio dell’esprit francese. Composto da più di millecinquecento aforismi, questo “libro per spiriti liberi” sigilla la rottura di Nietzsche con il “volontarismo morale di Schopenhauer” ed il “romanticismo incurabile di Richard Wagner”, e si instrada, piuttosto, nel solco dei grandi "moralistes" francesi, ossia i più grandi studiosi, fino ad allora, dei costumi e delle passioni dell'uomo. In Ecce Homo, Nietzsche scriverà che è dalla Nascita della tragedia “che datano le grandi esperienze” legate al nome di Wagner, pervenendo a considerare il suo primo lavoro come un “libro sospetto” (Saggio di autocritica, 1886): sospetto - agli occhi di Nietzsche - di “wagneirismo”, ma anche - e questa volta in un senso positivo - perché poneva la conoscenza “come fatto problematico e sospetto”. Nietzsche aveva aperto infatti in quel libello, nei continui riferimenti polemici rivolti a Socrate, la polemica contro una conoscenza acquisitiva, concettuale, razionalistica che egli cominciava a rifiutare.
Wagner non risponderà alle critiche di Nietzsche, e quest’ultimo si spingerà a rendere pubblica la sua preferenza per la musica di Bizet, pur scrivendo ai suoi amici in privato che non occorre “prenderla sul serio”.
All’inizio degli anni ‘70, Nietzsche si lega d’amicizia con Franz Overbeck, professore di teologia a Basilea, quindi, a partire dal 1876, con Peter Gast, un musicista che resterà sconosciuto ma che Nietzsche, compositore anch’egli di alcune opere musicali, sosterrà senza deflettere; intratterrà con loro una voluminosa corrispondenza fino alla crisi del 1888 -1889. Il 2 maggio 1879, Nietzsche si dimette dal suo posto di professore per ragioni di salute, ed a partire da questo periodo, dividerà l’anno in due con una stagione estiva, che trascorrerà generalmente in Engadina, ed una invernale, che dividerà tra Nizza, Venezia, Roma, Genova, Torino in ultimo. Solitario e cupo, rimugina pensieri tuttavia; nel 1882, trova un po’ di felicità presso Lou Andreas-Salomé, futura amica di Rilke e di Freud, che egli rifiuta tuttavia di sposare. Si era invaghito anni prima di Cosima Wagner, la figlia di Liszt, e, nei verbali dell’ospedale psichiatrico di Iena, alla data del 27 marzo 1889, saranno riportate queste parole: « È mia moglie, Cosima Wagner, che mi ha portato qui ».
Nietzsche compone, tra il 1879 e 1881, i cinquecentosettantacinque aforismi di Aurora, “pensieri sui pregiudizi morali”: «L’uomo libero è immorale perché vuole in tutto dipendere da sé e non da una tradizione». La gaia scienza (1882) fu inizialmente pensato come un ampliamento di Aurora, ed in effetti le due raccolte segnano una svolta nel pensiero dell’autore, che diceva della Gaia scienza: «Il mio ultimo libro, suppongo», e giudicava impubblicabili «queste opere scritte in margine alla produzione intellettuale dell’epoca». Ciò che verrà definito il “nichilismo nicciano” è espresso in questi termini in un giudizio pronunciato sulla Gaia scienza in una lettera a Gast (giugno 1882): « L’opinione dei miei lettori attuali su questo libro o su di me non mi importa assolutamente - ma ciò che m’ importa molto, è ciò che ho pensato di me stesso, cosa che pure si potrà leggere in questo libro: e cioè che esso fu scritto soltanto per mettere in guardia contro me stesso». È Nietzsche, ma si sente in sottofondo il ruminamento algolagnico di un Rousseau.
L’annuncio del Superuomo
La gaia scienza segna il vertice dell’opera di Nietzsche, ed è con l’opera seguente, Così parlò Zarathustra (1883-1885), che inizia il declino del pensatore solitario: «Ho bisogno come te di distendermi, così come dicono gli uomini verso i quali io voglio discendere» (“Il prologo di Zarathustra”). Zarathustra è la chiave del pensiero nietzscheano; è in questo testo che Nietzsche dichiara, sempre con la voce di Zarathustra: “Vi insegno il Superuomo.” L’uomo è qualcosa che si deve superare “, e nello stesso tempo, l’autore vide in questa esortazione il segno del suo declino. Poiché, per colui che si considera un ponte verso il Superuomo (l’uomo è infatti una corda tesa tra la scimmia e il Superuomo), la pubblicazione di un libro ad uso degli ”ultimi uomini” che sono “ciò che c’è di più di disprezzabile” costituisce una sofferenza che Nietzsche assimilerà alla passione del Cristo, come testimonieranno gli ultimi biglietti che indirizzerà ai suoi amici nel gennaio 1889 e che firmerà “Il Crocifisso”.
Così parlò Zarathustra inscena la lotta tra la volontà di potenza, annunciante il Superuomo (accettiamo la traduzione invalsa e corrente di Übermensch che andrebbe più correttamente tradotto in "Oltreuomo"), e la compassione per gli uomini, che, dominandolo finalmente, conducono Zarathustra al suo declino, ad avvicinarsi agli uomini, o, ciò che fa uguale, Nietzsche stesso a pubblicare questo libro. Così, Zarathustra è l’opera di un pensatore che analizza il suo declino, ma è qualcosa di più di questo: è questo declino per il fatto stesso della sua pubblicazione - e Nietzsche, forse, intuendo che questo libro più di ogni altro lo “scopriva”, tenterà di recuperare alcune copie della quarta parte, stampate a sue spese, che secondo lui erano state troppo frettolosamente rilasciate. Alla questione del declino che si trova nel cuore del pensiero nietzscheano, Heidegger dedicherà un corso, pubblicato sotto il titolo Cosa si chiama il pensare?, dove analizza una delle frasi del libro, «Il deserto cresce. Maledetto sia chi protegge il deserto», dove afferma in particolare: «Chi è quello a cui il grido “ Maledetto!” è indirizzato? È il Superuomo. Poiché quello che va “al di là” deve essere quello che declina; il cammino del Superuomo comincia con il suo declino».
Al di là del bene e del male fu pubblicato nel 1886 a spese dell’autore; Nietzsche vi conduce “la lotta contro Platone”, o per parlare in termini più comprensibili ed accessibili al “popolo”, la lotta contro l’oppressione millenaria della Chiesa cristiana - poiché il cristianesimo è un “platonismo per il popolo”. Anche questo lavoro si conclude con l’amarezza che opprime Nietzsche all’ atto del rilascio dei suoi “cattivi pensieri”: già essi sono, secondo lui, “sul punto di diventare verità”, cosa che è un supremo controsenso per chi pretende di scuotere ogni morale e superare qualsiasi certezza.
La genealogia della morale, pubblicato l’anno successivo, prosegue il lavoro iniziato dai tempi dello Zarathustra; Nietzsche lo considerava come “un piccola opera polemica”, e fu scritto certamente in appena una settimana. La “morte della morale” vi è descritta come opera “grandiosa” e “terrificante” che deve ormai essere compiuta: «Il cristianesimo in quanto dogma è stato rovinato dalla sua morale; così il cristianesimo in quanto morale deve andare incontro alla sua rovina».
Tensioni e crisi finale
Nietzsche è ormai diventato un pensatore di cui tutta l’Europa parla: Taine gli scrive; nel 1888, il danese Georg Brandès dà, a Copenaghen, il primo corso pubblico su Nietzsche, e tiene quest’ultimo al corrente del successo riportatone. Nietzsche effettua il suo primo soggiorno a Torino dal 5 aprile al 5 giugno 1888, ed entra in una fase di produzione intensa, immerso in una tensione estrema che annuncia la vicina crisi finale: Il caso Wagner è composto nel maggio del 1888; segue Il crepuscolo degli dei, ovvero come filosofare a colpi di martello, completato il 30 settembre 1888; nel frattempo, Nietzsche ha scritto, in alcuni giorni, L’Anticristo; dell’inizio di novembre di quell’anno, è anche Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è; infine, Nietzsche contro Wagner è completato nel dicembre 1888. Così, gli ultimi lavori sono composti o rivisti in occasione del secondo ed ultimo soggiorno a Torino, dal 21 settembre 1888 al 9 gennaio 1889.
I due pamphlets su Wagner nulla aggiungono alla critica che Nietzsche intenta, dai tempi del suo distacco, al musicista; si tratta piuttosto di attaccare la Germania “wagneriana” ed il “cretinismo di Bayreuth”. Nietzsche ha rotto col Geist tedesco, in effetti, guarda alla Francia, al Mezzogiorno d’Europa. Intransigente è la polemica contro il Bieder, il piccolo-borghese, filisteo tedesco. Il crepuscolo degli dei è “una dichiarazione di guerra.” Quanto agli idoli che occorre infrangere, non sono questa volta gli idoli dell’epoca, ma gli idoli eterni: sono essi che occorre prendere a martellate. Il testo, di una violenza rara, prende a bersaglio la ragione, da Socrate a Kant, che Nietzsche considera come una prova di decadenza. Con Ecce Homo, Nietzsche illustra il suo itinerario e la genesi del suo pensiero, come se sapesse che la sua fine era vicina e che era tempo di riprendere ciò che era stato detto. Critica, anticipandole, le interpretazioni dei posteri, per esempio quando si tratta della parola “Superuomo”: «Quasi ovunque, in perfetta innocenza, gli hanno dato un significato che lo mette in contraddizione assoluta con i valori che sono stati affermati dal personaggio di Zarathustra; intendo dire che se ne è fatto il tipo “idealista” di una specie superiore d’uomo, a metà “santo”, a metà “genio”».
Infine, L’Anticristo appare nella sua composizione stessa come una specie di preludio alla crisi che, alcune settimane più tardi, strappava Nietzsche all’esistenza; il suo pensiero vi si trova infatti tanto frammentato, con tratti iperbolici e allucinati, che darà adito a tutti i tipi di interpretazione, contraddittori gli uni con gli altri. Se alcuni hanno creduto di vedervi una critica globale della religione cristiana, si può anche interpretare quest'ultima opera come un riconoscimento dell’importanza della vita di Gesù: mentre Gesù, lungi da difendersi dinanzi ai suoi giudici ed i suoi boia, giunse a causare il suo supplizio - respingendo così qualsiasi nozione di colpa -, fu il cristianesimo che impose quest’idea di colpa che Nietzsche critica più di tutte perché è la causa del risentimento dei mediocri e dell’asservimento degli uomini.
Il 3 gennaio 1889, Davide Fino, l’affittuario di Nietzsche a Torino, lo sottrae da un assembramento causato da quest’ultimo: si è infatti precipitato singhiozzando al collo di un vecchio cavallo al tiro di un fiacre. Questa scena della crisi finale del filosofo non è del tutto inedita, richiamando tratto tratto, un sogno di Raskolnikov, l’eroe di Dostoevskij, di Delitto e castigo, romanzo che Nietzsche aveva letto alcuni anni prima e che lo aveva molto impressionato. Il 10 gennaio, l’ amico Overbeck riportò Nietzsche a Basilea, da dove fu trasferito alla clinica psichiatrica di Iena, che lasciò infine nel marzo del 1890. Nietzsche visse in seguito a Naumburg, con la madre, in un mutismo quasi totale, prima di morire, il 25 agosto 1900, a Weimar.
Nel 1901, la sorella, Elizabeth Forster-Nietzsche, vedova di un antisemita notorio, pubblicò un ultimo lavoro di Nietzsche, La volontà di potenza. Tuttavia, se l’autore stesso aveva progettato tale pubblicazione, era lungi però dall’ averla completata, e la classificazione degli aforismi fu effettuata dalla sorella, assistita da Gast. Negli anni 1930 la Forster-Nietzsche ricevé la visita di Hitler, cosa che confermò, agli occhi di numerosi commentatori di Nietzsche, il carattere fallace della Volontà di potenza, almeno così come l’opera era stata “assemblata”.
Al di là della polemica che circonda quest’opera, la questione che si pone è quella della possibilità di “tradurre” Nietzsche, di interpretarlo. Ed è senza dubbio rischioso tentare un commento - che potrebbe passare per un’interpretazione – dell’opera di un pensatore che dichiarava: «La novità della nostra posizione filosofica è una convinzione sconosciuta al pensiero dei secoli precedenti: quella di non possedere la verità».
Il pensiero nietzscheano
«Le mie opere, sono me che contengono, con tutto ciò che mi fu ostile». Nietzsche ha avuto la chiarezza di riconoscere il radicamento emozionale di ogni suo pensiero: «A poco a poco hoscoperto che qualsiasi grande filosofia fino ad oggi è stata la confessione del suo autore e costituisce le sue Memorie». Questo approccio autobiografico ed emozionale, recante una sorta di “ideologia di posizione” coincidente col vissuto biografico del filosofo medesimo, raccorda il filosofare di Nietzsche a quello di un Rousseau o di un Montaigne, mentre lo allontana inesorabilmente dalla impassibile e “oggettiva” procedura filosofica di un Kant o di uno Hegel, dove il dato biografico è totalmente assente, e, dove, sembra che il pensiero pensi se stesso, in absentiam del pensatore medesimo.
Rifiuto del linguaggio filosofico
Rifiutando per principio di assoggettare il verbo ispirato dall’istinto, il pensiero di Nietzsche, con la sua discontinuità, la sua dinamica ambivalente e contraddittoria non obbediente ad alcuna irreggimentazione della “ragione” fino ad allora praticata ed accettata, si pone in rottura profonda con tutta la tradizione dialettica, sistematica e deduttiva, che caratterizza il pensiero occidentale da Platone (e da Socrate) in avanti. Nietzsche utilizza l’aforisma e il discorso frammentario, rifiutando il saggio sistematico e il periodare concatenato, tentando così di restituire alla parola viva e alla filosofia che essa bandisce il suo carattere incantatorio, profetico o enigmatico: sono i greci presocratici e i tragici, eccetto Euripide, i riferimenti espliciti rivendicati da Nietzsche. Secondo lui, la “malattia dell’occidente” comincia con Socrate, l’uomo della teoria, che volle servirsi della ragione come di un filo di Arianna per guidare l’uomo nel labirinto della realtà. Nel rifiuto di Socrate (come più avanti di Cristo) c’è la denuncia di uno dei pilastri della cultura occidentale, quello che fonda la via regia della filosofia, cui tutto il filosofare in Occidente si richiama.
Nietzsche inverte l’architettura classica del pensiero sistematico fondato sui principi d’identità e di non contraddizione, sottoponendola ad un trattamento formale, barocco, proliferante, “simbolico” e “poetico” che rompe l’unità semantica dei concetti. Rifiuta il carattere semplificatore e univoco della lingua che rende uguale la differente e irriducibile molteplicità del reale: la lingua filosofica tradizionale gli sembra particolarmente insufficiente per l’emanazione dei fulgori poetici espressivi di una vita interna vulcanica, eruttiva ed emozionale. Per lui, il concetto ha qualcosa di carcerario, che solidifica il vivente, sempre unico invece, singolare.
Contro il platonismo
L’universale astratto è giudicato illusorio da Nietzsche. È per questo che fa la confessione inaspettata e rivelatrice della sua condotta filosofica, che è quel che in effetti è: soprattutto un dibattito con sé e non un dialogo con gli altri, o una indicazione pedagogica secondo il modello dei grandi i classici: «Non si mira solamente a essere compresi quando si scrive, ma molto di più sicuramente a non esserlo. Non è per nulla un’obiezione sufficiente contro un libro, se una persona qualunque lo giudica incomprensibile». C’è il segno di un esoterismo, di un orfismo aristocratico (ripreso ampiamente dal nostro Cacciari e da molti nicciani operaisti tanto per restare nei termini della nostra tradizione filosofica appena archiviata, ma che ci ha torturati per tutti gli anni '70-'90) in questa rivendicazione del diritto alla soggettività radicale, che va di pari passo con la lotta intrapresa contro le lingue livellatrici e “volgari” destinate al “popolo”, come quel platonismo plebeo - morale di schiavi fondata sull’ odio della vita ed il risentimento - che fu per lui il Cristianesimo.
Dalla trascendenza alla genealogia dei valori
Da Parmenide in poi, la ricerca della verità nella filosofia occidentale si fonda sulla distinzione tra l’Essere, “che solo è”, e il fenomeno, l’aspetto esterno cui non si dà dignità di verità. Il principio essenziale del pensiero greco è di essere un'ontologia metafisica, ossia una ricerca della conoscenza dell’Essere in quanto Essere, che è considerato come un’unità trascendente rispetto alla realtà sensibile e molteplice della natura (phùsis). Nietzsche contesta anche la validità del concetto di verità, e chiama “retro-mondo” questa realtà stabile, identica a sé, eterna, impassibile, che ignora il cambiamento, la lotta, il dolore e la morte, tutto ciò che caratterizza precipuamente la condizione umana ed il suo carico d’angoscia.
L'illusione del " retro-mondo "
L’illusione occidentale si cristallizza nella nozione di sostanza, che induce a un dualismo che implica “l’antinomia dei valori”, del bene e del male, del bello e del brutto, del vero e del falso. Nietzsche rileva questa concezione tanto nell’idea platonica che nell’ ousía (“sostanza”) di Aristotele, nella res cartesiana, nella sostanza spinoziana o nella “cosa in sé” kantiana. L’uomo, afferma Nietzsche, proietta il suo desiderio di verità fuori di sé costruendo il retro-mondo ideale, doppione illusorio della realtà sensibile. Quest’illusione si accentua con il fatto che la sostanza, identificata col bene e col divino, è considerata come la base dei valori morali.
Questo ideale concepito come trascendenza, come verità e morale, sposta il centro dell’esistenza umana e svaluta la vita sensibile senza mai esaminarne i titoli di legittimità.
Volontà di potenza e volontà di decadenza
Tutto ciò che esiste è, in fondo, volontà di potenza, che è l’essenza del mondo, della vita: dell’Essere “il fatto più elementare”. Lungi dal sottoscrivere l’assunto di Schopenhauer che esiste un volere universale costituente l’in sé delle cose, Nietzsche ribadisce che non sussiste sostanzialità della volontà, né dietro i fenomeni né dietro l’Io. La volontà, come la coscienza e il pensiero, è l’eco lontana di una lotta già disputata in profondità, al livello “notturno” degli impulsi. Volere, altro non è che sentire il trionfo di una forza che si è aperta un cammino a nostra insaputa, e l’illusione suprema consiste nel prendere questa sensazione per un libero intendimento.
Nel suo significato più ampio, la volontà di potenza disciplina il mondo organico (impulsi, istinti, necessità - si legga in questa nozione un apporto del biologismo scientista, ottocentesco, darwiniano, che vede radicato in ogni essere vivente il suo desiderio di conservazione e riproduzione -, ma anche il mondo psicologico e morale (desideri, motivazioni, ideali), e perfino il mondo inorganico, nella misura in cui «la vita è soltanto un caso particolare della volontà di potenza».
Ogni forza partecipa dunque della stessa essenza: «È la stessa forza che si spande nella creazione artistica e nell’atto sessuale; c’è soltanto una sola forza». Essa esige insaziabilmente la sua soddisfazione. Volere, è volere la sua crescita. L’imperativo interno alla volontà di potenza, è essere “di più”: è un imperativo che lascia la scelta soltanto tra il fatto di superarsi all’infinito o quello di declinare. Se qualsiasi potenza è infatti superpotenza, il volere può tentare di nascondersi a sé stesso ed alla legge della sua crescita: c’è allora la volontà decadente che rifiuta «di ammettere le condizioni fondamentali della vita» e che sceglie la volontà del nulla. L’ideale ascetico ne è un esempio estremo.
Ci sono dunque due tipi di forze o di vita: la forza attiva e la forza reattiva, la vita ascendente e la vita decadente. L’uomo potente è colui che assume in sé il compito di affrontare i suoi impulsi, di governarli acquisendone il controllo, invece di respingerli in atteggiamenti di denegazione difensiva.
Il nichilismo
Nietzsche designa per “nichilismo europeo” la logica interna alla cultura occidentale in virtù della quale i valori che vi regnavano dai tempi di Platone sono al momento vacillanti. È dunque soprattutto sotto la forma dell’abbandono dei vecchi valori che il nichilismo assale l’uomo e la cultura occidentali, e che conduce alla débâcle di qualsiasi senso. Questa scossa del senso (morale, religioso, metafisico) si traduce nel “grande disgusto” dell’uomo per sé stesso e per tutto. Nulla vale più, dunque tutto si equivale: il vero, il falso, il bene, il male. Quest’agonia del senso finisce con anestetizzare ogni inquietudine, che si trasforma in una soddisfazione mediocre: non cercando più il senso, l’uomo piomba nella pigrizia intellettuale e morale. Così, questo nichilismo contro il quale si batte Nietzsche è rifiuto dell’uomo, di ciò che potrebbe essere, di ciò che potrebbe diventare.
“Dio è morto”
“Dio è morto”(formula eminentemente cristiana, che appare in una cantata di Bach): queste parole pronunciate da Zarathustra e riprese nella Gaia scienza, riassumono questo crollo di tutti i valori. Nietzsche non accorda alcun credito neppure alle morali sostitutive che pretendono di prendere il posto dei valori defunti, sia la morale kantiana, che sollecita un altro mondo, o gli ideali laici: fede nel progresso, religione della felicità per tutti, o il socialismo, mistica della cultura e dell’uomo. Ma Nietzsche non si rallegra di questa morte di Dio: e non l’ annuncia, perché questa terribile nuova è ancora ignota a tutti, e ritiene che ciò che verrà, a seguito di questa morte di Dio, sarà terribile. Nietzsche privilegia una visione del divenire segnata dall’innocenza ludica dell’infanzia e dall’intuizione di una eternità segretamente immanente nell’istante, visione che sfuggirebbe all’idea che tutto ciò che passa merita di passare, che tutto è vanità. Del resto, il divenire non è soltanto un flusso che scorre dal passato verso il futuro. Paradossalmente, c’è un Essere del divenire: la sua permanenza promana da ciò che non cessa di ritornare su di sé, che forma il grande cerchio dell’eterno ritorno dell’uguale.
Eterno Ritorno e destino
Nietzsche celebra questo eterno ritorno, che abolisce le distinzioni inutili del bene e del male, sotto il nome di amor fati (“amore del destino”), che consolida paradossalmente la libertà quando questa si vede indotta ad aderire ad una necessità irrazionale: «Io stesso sono il fatum, e fin dall’ eternità sono io che determino l’esistenza». Questa giubilazione dell’Io che comporta la dissoluzione dell’ Io personale nell’affermazione dell’ego fatum segna la morte definitiva del patrimonio così duramente conquistato dall’Europa attraverso i secoli, quello della personalizzazione, della dichiarazione del valore assoluto di ogni individualità. «In fondo, tutti i nomi della storia, sono Io» scrive a Burckhardt, sottolineando con ciò il carattere intercambiabile delle identità indefinitamente mascherate. Ma questa perdita dell’Io, centro fittizio o reale che garantiva la lingua, significa la coincidenza dell’Io con la totalità della storia: è la negazione dell’Io e della storia, il ritorno al caos primordiale, a quel “quid” impersonale animato da tensioni e da opposizioni, e privo di struttura per il fatto che il molteplice si è sbarazzato della sola volontà che avrebbe potuto organizzarlo.
L’Io di Nietzsche, esploso, nascosto sotto la maschera di Dionysos, non può più parlare a suo nome: il suo mutismo dopo la crisi del 1889 è forse il castigo che vuole infliggere alla lingua onde liberarsi dal senso comune, ivi compreso quello riflessivo (filosofico), ed esorcizzare la tragedia interiore che fu sua ma alla quale egli non si sottrasse, fino a perdervi definitivamente il senno. Questo mutismo rende forse così ancora più complessa la ricezione di un’opera di colui che scriveva, il 4 gennaio 1889 al suo amico Brandès: «Dopo che tu mi hai scoperto, non è stato difficile trovarmi: adesso la cosa difficile da farsi è quella di perdermi: il Crocifisso».
Friedrich Nietzsche -  Vita e opere - La Frusta