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Discussione: Domande

  1. #11
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    In Origine Postato da Mr. Hyde
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    1) non mischiamo l'''importanza strategica'' dell'Iraq per gli yankees col nostro ruolo, che è da comprimari. Inoltre, il nostro era un ruolo, almeno formalmente, di peacekeeping. E appurato che così non è, perchè lì non si deve mantenere la pace ma combattere una guerra, i motivi per andarsene aumentano.

    Importanza strategica non e' solo a vantaggio nostro (yankee). Vi gioviamo tutti a modernizzare la regione..tutti eccetto ovviamente gli estremisti che traggono i loro discepoli dal presente retrogrado (mettiamo benzina nella teoria neocon ).
    Inoltre non sono d'accordo con la tua affermazione riguardo al peacekeeping: vi e' bisogno di "peacekeepers" appunto quanto una zona e' ad alto rischio.


    2) se è per questo nemmeno gli yankees ''saccheggiano''. Il punto, ovviamente, è un altro ed è la grossolana finzione che sta alla base della presenza del contingente italiano.
    Innanzitutto, noi non stiamo lì in autonomia ma sotto la supervisione dei brits, ossia di uno degli aggressori. Il che rende la posizione del contingente quantomeno ambigua, perché può farlo facilmente percepire dagli irakeni come una delle tante forze occupanti [non dimentichiamo che anche danesi, polacchi e ucraini hanno avuto perdite].

    Su questo non ci piove. Avevo visto giusto: sai argomentare

    In secondo luogo, la generale situazione irakena, e con una RESISTENZA attiva ed in grado di colpire da Mosul e Kirkuk sino a Basra, rende estremamente aleatoria l'idea che gli italiani fossero lì a fare un ''lavoro'' diverso da quello degli occupanti e quindi fossero ''fuori dalla mischia''

    3) sul terzo punto, non commento nemmeno, vista l'assoluta illegittimità, secondo il diritto internazionale, dell'aggressione all'Iraq [e la balla clamorosa sulle superfantomatiche ''armi di distruzione di massa''].

    Stando a giuristi internazionali, non sembra affatto cosi' bianco/nero. Ricordiamo che Saddam non forni' le prove richieste riguardo alla "scomparsa" di tonnellate di antrace (non che avesse fatto tanta differenza comunque dato che era una scusa).

    Il mio riferimento all'Afghanistan aveva il semplice scopo di dimostrare come, in una situazione meno illegittima di quella irakena, comunque nessuno si sognava di bollare come ''terroristi'' i resistenti [tranne i sovietici, of course ]

    I sovietici non avevano il nostro nobile intento di modernizzare la regione ed esportare benessere economico. Ora se sti' rompi coglioni si togliessero dalle palle si potrebbe fare con assai meno difficolta' , ma LORO (integralisti/sgherri di dittatori) non lo vogliono, perche' attaccherebbe le basi del loro dogma. (more neocon theory )


    -L'antrace lo posso produrre pure io nel mio cesso, perchè non bombardate l'Italia?

    - nobile intento di modernizzare? Mavvattenaffan**lo.
    Sappiamo benissimo cosa ci siete andati a fare lì, ma a quanto pare la lezione del Vietnam non è bastata, vabbò dai che alle olimpiadi di salto in alto vincete voi

  2. #12
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    In Origine Postato da wilhem
    -L'antrace lo posso produrre pure io nel mio cesso, perchè non bombardate l'Italia?

    - nobile intento di modernizzare? Mavvattenaffan**lo.
    Sappiamo benissimo cosa ci siete andati a fare lì, ma a quanto pare la lezione del Vietnam non è bastata, vabbò dai che alle olimpiadi di salto in alto vincete voi

    1. L'esempio che puoi "produrre antrace nel tuo cesso" e' d'un'incoerenza spaventosa. Non merita commenti.

    2. Se cerchi di sostenere ancora, ad nauseam , la ridicola tesi che il motivo principale sia beneficio di compagnie petrolifere, ti sfido a portarmi i fatti: ovvero proventi contro costi (toh, ti do' una mano, l'hai mai fatta ricerca in vita tua? www.google.com e' un buon inizio )
    La mia tesi l'ha riconfermata Zio George la settimana scorsa (ora che non si deve piu' nascondere dietro alla scusa delle armi)
    Mr. Hyde


  3. #13
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    terrorista è considerato chi non salta ,balla e batte le mani non appena il pres. bushoni fà la sua comparsa in tv.
    La famosa artista idolo delle folle :" si figuri che uno ha addirittura scritto che avrei dovuto investire i MIEI soldi comprando un bar! Io!!!! La barista!!!!"

  4. #14
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    In Origine Postato da Mr. Hyde
    2. Se cerchi di sostenere ancora, ad nauseam , la ridicola tesi che il motivo principale sia beneficio di compagnie petrolifere, ti sfido a portarmi i fatti: ovvero proventi contro costi (toh, ti do' una mano, l'hai mai fatta ricerca in vita tua? www.google.com e' un buon inizio )
    [/B]
    E' vecchio, gia' postato ma a questo punto...te lo devo ripostare....

    Petrolio e Guerra
    di Milan Rai

    È la progettata guerra contro l'Iraq mirata a rinforzare il dominio statunitense sulle risorse energetiche del Medio Oriente? Questa spiegazione ha una tale forza che il Daily Telegraph ha presentato una confutazione da parte di David Frum, il quale fino a qualche tempo fa si occupava di scrivere discorsi per il Presidente Bush. Frum, adesso membro permanente dell'American Enterprise Institute, argomentava verso la fine di ottobre che gli americani preoccupati riguardi al petrolio tendono ad opporsi alle azioni contro Saddam, perché si preoccupano degli effetti che una guerra all'Iraq potrebbero avere sull'Arabia Saudita. L'ex redattore del Wall Street Journal continuava: Ascoltate i pubblici ufficiali in pensione e i rispettati funzionari pubblici che hanno criticato la politica irachena del Presidente Bush i Brent Scowcrofts e i James Bakers, gli Anthony Zinnis e i Laurence Eagleburgers e sentirete ripetutamente la parola stabilità'. Stabilità' vuol dire petrolio.

    Frum respinge l'argomento che la guerra all'Iraq sarebbe per l'accesso al petrolio: l'America può tuttora comprare liberamente tutto il petrolio che vuole. Non c'è stata nessuna minaccia credibile all'accesso verso le forniture di petrolio dall'embargo del 1973-74 e non c'è nessuna minaccia credibile oggi. Saddam vuole vendere più petrolio, non meno.

    La guerra non sarebbe per un petrolio più a buon mercato: il barile di petrolio a 12-15 dollari significherebbe la chiusura di una larga parte della produzione domestica statunitense e spingerebbe la dipendenza del paese dalle importazioni di petrolio dal 50 percento fino ai due terzi o ai limiti dei tre quarti.

    Fin qui Frum è convincente. Tuttavia, egli comincia a traballare nella parte conclusiva della sua argomentazione, quando sostiene che la guerra non sarebbe per i contratti petroliferi. Lo scrittore di discorsi si chiede retoricamente perché dovrebbe un governo e specialmente uno così cinico come il signor [Alan] Simpson [MP] crede sia quello statunitense combattere una guerra il cui costo molti stimano sia di 100 mrd $ per guadagnare dei contratti del valori di 40 mrd $. 40 mrd $ è la stima secondo Frum del valore dei contratti petroliferi che attualmente posseggono le compagnie petrolifere russe. 40 mrd $ è soltanto poco più della metà del prodotto lordo dell'Arkansas, rileva Frum. Alan Simpson MP realmente crede che qualsiasi presidente, non importa quanto inebriato, rischierebbe le vite dei soldati americani e il proprio futuro politico per questo?

    Ci sono qui due problemi: il valore del petrolio iracheno per le corporazioni statunitensi, e la questione dell'analisi imperiale costo/benefici. Cominciando dalla seconda questione, durante la storia le potenze imperiali hanno speso più nelle guerre di conquista e assoggettamento di quanto potessero guadagnare dalle colonie acquisite o soggiogate. La guerra statunitense in Indocina è uno stupefacente esempio di quanto i costi economici possano essere sproporzionati rispetto ai benefici materiali previsti. Il costo dell'impero è sostenuto dall'intera società, mentre a godere dei benefici dell'impero sono i pochi che contano. Quindi, in generale, per coloro che fanno politica, coloro che condividono interessi e punti di vista con chi detiene il potere a livello nazionale è del tutto razionale usare le risorse della società per assicurare gli interessi di ricchi e potenti, anche se le spese eccedono i guadagni previsti. I costi sono socializzati, i benefici privatizzati. Questa è la realtà del nostro "libero mercato".

    Ritornando alla questione dei benefici materiali, c'è una significativa omissione dall'articolo di Frum: le riserve petrolifere irachene. È dimostrato che l'Iraq possiede le seconde più grandi riserve petrolifere al mondo dopo l'Arabia Saudita. Le riserve mondiali di petrolio dimostrate sono circa 1.000 miliardi di barili. Le riserve totali dimostrate dell'Iraq sono 112 miliardi di barili, circa un decimo di tutto l'approvigionamento conosciuto di petrolio. Come osservava l'Economist qualche giorno prima dell'articolo di Frum, la grande posta in gioco è il controllo delle riserve petrolifere. Mentre le sanzioni statunitensi vietano agli stranieri di investire nei campi petroliferi, il che non ha fermato le imprese dalla corsa a firmare i contratti nella speranza di poter sfruttare i campi quando le sanzioni saranno rimosse. Compagnie petrolifere provenienti dalla Francia, dalla Cina, dall'India, e perfino la Royal Dutch/Shell hanno firmato degli accordi con Baghdad. Lukoil, un gigante russo, ha un enorme campo che contiene oltre 11 miliardi di barili di petrolio; l'impresa progetta di investire 4 miliardi dollari durante il periodo di vita del campo per svilupparlo.

    I contratti sono generosi: gli analisti della Deutsche Bank stimano che sono plausibili tassi di guadagno dell'ordine del 20%.

    Il petrolio del Mare del Nord costa dai 3 ai 4 $ al barile per produrlo. Secondo John Teeling, capo di una delle poche compagnie occidentali che ammettono di lavorare in Iraq, il petrolio iracheno potrebbe costare appena 97 cents a barile per produrlo: 90 cents per un barile di petrolio che vendi a 30 $, questi sono i tipi di affari che ognuno vorrebbe fare. Un 97% di margine di profitto ... ci si può vivere, ha detto Teeling.

    Osserva l'Economist: Tutte queste devono essere cattive notizie per quelli esclusi dalla festa: gli americani. Alcune personalità dell'industria petrolifera sostengono che un nuovo regime strapperebbe i contratti esistenti ( Gia' fatto NDR, mentre il capo del Congresso Nazionale Iracheno, che raccoglie vari gruppi di opposizione, ha apertamente dichiarato che le compagnie americane avranno una grossa quantità del petrolio iracheno, nel caso di un cambiamento di regime. Come rileva l'Economist, è difficile immaginare che i giganti americani non trovino il modo di entrare in gioco nell'Iraq o il 'Klondike sullo Shatt al Arab' come lo chiama qualcuno post-Saddam.

    L'Iraq è sempre stato un fattore chiave nel mercato petrolifero mediorientale, e fu la fonte originaria del petrolio mediorientale. Infatti, quando la Standard Oil della California si assicurò la prima concessione occidentale di petrolio nell'Arabia Saudita nel 1932, un consorzio molto più grande e potente era sulla scena a tentare di bloccare l'accordo: l'Iraq Petroleum Company (IPC). L'IPC, dominata dagli inglesi, non credeva che il petrolio potesse essere rinvenuto nell'Arabia Saudita (opinione generale di quel periodo), e avevano già tanto petrolio in Iraq da non sapere che farsene, così consentirono agli Usa di mettere mano nella penisola arabica. L'IPC, composta da compagnie di punta come BP, Shell, Total of France e Exxon, in pratica in pratica occultò nuove scoperte di petrolio in Iraq e mantenne bassa con vari mezzi la produzione al fine di mantenere alto il prezzo del petrolio. Queste pratiche restrittive, cominciate negli anni '30, sono continuate negli anni '60, come ha stabilito l'US Senate Subcommittee on Multinational Corporations nel 1974. Un documento informativo interno dell'IPC rende palese che la compagnia ha scoperto vaste riserve di petrolio, ma le ha rinchiuse per bene e non le ha classificato affatto in quanto la disponibilità di queste informazioni avrebbe reso la posizione contrattuale con l'Iraq di queste compagnie più problematica.

    In seguito ad una modesta legge per la nazionalizzazione nel 1961, che rimuoveva i diritti dell'IPC in quelle aree in cui in quel periodo non stava producendo petrolio, un ufficiale del Dipartimento di Stato statunitense concludeva che un legittimo caso sostanziale può essere prodotto (particolarmente in arbitrato) in merito al fatto che l'IPC ha seguito la politica del "cane nella mangiatoia" in Iraq, escludendo o soffocando tutti i competitori, gestendo allo stesso tempo la produzione in accordo con gli interessi mondiali complessivi delle compagnie compartecipi e non solo in accordo con gli interessi dell'Iraq. Andreas Lowenfeld osserva che questa naturalmente è stata una delle principali accuse del governo iracheno contro l'IPC.

    Il conflitto tra corporazioni e governo giunse ad un punto critico nel 1972, quando l'Iraq nazionalizzò le proprietà dell'IPC. Dopo una dura battaglia, alla fine l'IPC firmò, il 28 febbraio 1973, l'accordo per la nazionalizzazione, ricevendo un risarcimento da Baghdad. Adesso, i membri sopravvissuti del cartello IPC, tre delle più grandi compagnie mondiali, BP, Shell ed ExxonMobil, hanno rivelato che potrebbero sfruttare la caduta di Saddam Hussein per una disputa riguardo ai loro vecchi possedimenti in Iraq, sostenendo che l'accordo per il risarcimento/nazionalizzazione del 1973 fu firmato sotto costrizione.

    Il prof. Thomas Walde, in passato il principale consulente interregionale dell'ONU su petrolio e gas, ha detto delle compagnie petrolifere: Se fossi stato il loro consulente, avrei trasformato ciò in una leva per la contrattazione con il nuovo governo. Potrebbe giocare un ruolo nella gara per ottenere nuovi titoli. Quindi vi sono grandi poste in gioco, sia in termini di contratti per la ricostruzione dell'industria petrolifera irachena, che per acquisire nuove concessioni nella fonte originaria del petrolio mediorientale, con fenomenali profitti all'orizzonte. Ci sono anche delle altre poste in gioco.

    Nel 1958, il Ministro degli Esteri Selwyn Lloyd sintetizzava così gli interessi britannici nel Golfo:

    (a) assicurarsi il libero accesso dell'Inghilterra e dei paesi occidentali al petrolio prodotto negli stati che confinano con il Golfo

    (b) assicurarsi la disponibilità continua di questo petrolio in termini favorevoli; e provvedere un'appropriata sistemazione per gli investimenti

    (c) impedire la diffusione del comunismo e dello pseudo-comunismo nell'area e oltre; e, come precondizione, difendere l'area contro il divampare del nazionalismo arabo sotto la cui copertura al presente il governo sovietico preferisce avanzare.

    L'offerta materiale e il prezzo del petrolio erano preoccupazioni principali, vero, ma lo erano anche gli investimenti della quota di profitti del Kuwait nei mercati finanziari britannici. Alcuni documenti statunitensi desecretati notano che l'Inghilterra sostiene che la sua stabilità finanziaria potrebbe essere seriamente minacciata se il petrolio del Kuwait e del Golfo Persico non fosse disponibile all'Inghilterra in termini ragionevoli, se l'Inghilterra fosse deprivata degli ampi investimenti fatti da quest'area nell'Inghilterra e se la sterlina fosse deprivata del supporto fornito dal petrolio del Golfo Persico.

    Questa non è una guerra per il petrolio. È una guerra per controllare i profitti provenienti dal petrolio.
    ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

    1) CONTROLLO STRATEGICO DELLE RISORSE PETROLIFERE

    Ecco alcune tabelline riassuntive. Tutti i dati rielaborati da questa fonte http://www.eia.doe.gov/emeu/iea/ invito tutti a controllare

    RISERVE DI PETROLIO
    Saudi Arabia 25.5%
    Iraq 10.9%
    United Arab Emirates 9.5%
    Kuwait 9.4%
    Iran 8.7%
    Venezuela 7.5%
    Russia 4.7%
    Libya 2.9%
    Mexico 2.8%
    China 2.3%
    Nigeria 2.2%
    United States 2.1%
    Others 11.5%

    CONSUMO DI PETROLIO
    United States 25.5%
    Japan 7.0%
    China 6.5%
    Germany 3.6%
    Russia 3.4%
    Brazil 2.9%
    Korea, South 2.8%
    India 2.8%
    France 2.6%
    Mexico 2.5%
    Canada 2.5%
    Italy 2.4%
    Others 35.6%

    Ora per vedere quali paesi possono esportare nel medio-lungo periodo basta prendere le riserve in percentuale e sottrarre i consumi in percentuale. Cosi' si ha la produzione netta (=esportazioni). Solo chi ha valore positivo puo' esportare. Ecco la lista:

    PRODUZIONE NETTA
    Saudi Arabia 23.6%
    Iraq 10.3%
    United Arab Emirates 9.1%
    Kuwait 9.0%
    Iran 7.1%
    Venezuela 6.8%
    Libya 2.6%
    Nigeria 1.8%
    Russia 1.4%
    Qatar 1.2%
    Norway 0.7%
    Algeria 0.6%
    Angola 0.5%
    Oman 0.5%
    Yemen 0.3%
    Kazakhstan 0.3%
    Mexico 0.2%
    Gabon 0.2%
    Congo (Brazzaville) 0.1%
    Brunei 0.1%

    NB la tabella sopra e' la differenza tra % di riserve e % di consumi quindi la somma e' ZERO e non UNO. Per avere la % considerando solo i paesi esportatori (con produzione netta positiva) bisogna normalizzare, si veda la tabella sotto.

    Gli USA hanno una domanda netta di 23,3%, prevista in aumento a circa il 30%. Dalla tabella sopra capite bene che IN OGNI CASO gli USA dipendono da uno o piu' degli stati oggi apertamente o parzialmente ostili. Tale dipendenza e' ancora maggiore se si considera che sul mercato il prezzo e' UNICO. Guardiamo chi ha maggiore influenza sul prezzo del petrolio normalizzando i valori della produzione netta in modo che sommino a 100%.

    INFLUENZA
    Saudi Arabia 30.8%
    Iraq 13.5%
    United Arab Emirates 11.9%
    Kuwait 11.8%
    Iran 9.2%
    Venezuela 8.9%
    Libya 3.4%
    Nigeria 2.4%
    Russia 1.8%
    Qatar 1.6%
    Norway 0.9%
    Algeria 0.8%
    Angola 0.6%
    Oman 0.6%
    Yemen 0.4%
    Kazakhstan 0.4%
    Mexico 0.3%
    Gabon 0.3%
    Congo (Brazzaville) 0.2%
    Brunei 0.2%

    E' palese che le cose oggi stanno maluccio per gli USA. Per capire la posta in gioco basta considerare che una crisi petrolifera causa STAGFLAZIONE (si veda cosa e' capitato negli anni 70), oltre a vari problemucci strategici (non per nulla gli USA hanno messo su riserve strategiche in caso di emergenza http://www.fe.doe.gov/program_reserves.html). Ma non c'e' alcun dubbio che se volessero, Arabia Saudita ed Iraq da soli potrebbero fare il bello e cattivo tempo...

    2) LOBBIES

    Come ben noto, il sistema americano si basa su gruppi di pressione (lobbies) che sponsorizzano la campagna elettorale dei candidati ed hanno una notevole influenza (spesso proporzionale ai contributi) sulle decisioni.

    Fortunatamente queste informazioni sono pubblcio dominio e possiamo controllare chi ha finanziato Bush ed i Repubblicani senza troppi problemi: http://www.opensecrets.org/industries/index.asp

    Ho quindi fatto una tabella riassuntiva con le percentuali donate ai repubblicani nel 2000. Al solito invito tutti a controllare:

    ENERGY/NAT RESOURCES 75%
    AGRIBUSINESS 73%
    TRANSPORTATION 72%
    CONSTRUCTION 67%
    DEFENSE 65%
    HEALTH 60%
    FINANCE INSURANCE 58%
    COMMUNICATIONS 45%
    LAWYERS 32%
    LABOR 6%

    Dei 5 gruppi che chiaramente hanno supportato Bush (>60%), 3 avrebbero certamente un forte interesse diretto ad un conflitto (Energy/Construction/Defense), Agrobusiness essendo un consumo di base si troverebbe in una posizione di indifferenza, Transportation e' incerto perche' la guerra da un lato vedrebbe calare sia i consumi di veicoli che gli spostamenti, dall'altro comprende parecchi gruppi industriali che forniscono direttamente o indirettamente (come indotto) la difesa.

    Energy: vedrebbe un immediato profitto derivante dall'aumento del greggio e, successivamente, una maggiore espansione delle operazioni di estrazione in aree al momento non controllate. Entrambe gli effetti valgono svariate decine di miliardi di dollari.

    Defense: ha gia' visto aumentare le commesse e gli appalti per cifre stratosferiche (multipli del deficit italiano). Anche parte di imprese incluse nel gruppo "transportation" che fanno parte dell'indotto difensivo beneficerebbe in maniera considerevole.

    Constraction: Molte imprese americane sarebbero incaricate della ricostruzione irachena, stimata a 50+ miliardi di euro. Inoltre, da che mondo e mondo in caso di guerra le societa' di costruzione vedono il loro valore aumentare e sono le uniche ad andar bene in caso di attacco interno o catastrofe.

    3) LOBBY EBRAICA

    Ai gruppi sopra c'e' da aggiungere la lobby ebraica, certamente molto influente, ma la cui pressione non e' direttamente quantificabile dai dati sui finanziamenti (a meno di andarsi a spulciare uno ad uno i contributi di individui). Come noto gli ebrei hanno votato in blocco per Bush, nonostante la presenza di Lieberman con i democratici. Certamente anche tale gruppo ha un interesse alla guerra, per eliminare o indebolire alcuni potenziali nemici, e per mascherare un'ulteriore espansione degli insediamenti ed un maggior controllo dei territori palestinesi.

    4) POLITICA KEYNESIANA

    Una guerra presenta la possibilita' di effettuare politiche keynesiane fottendosene del deficit. In questo momento tale politica gioverebbe agli USA, ma si tratta di una scelta difficilmente giustificabile da parte del partito repubblicano, se non mascherando tali spese con una operazione militare.

    5) DIVERSIVO DALLA POLITICA INTERNA

    Inevitabilmente una guerra sposta l'attenzione degli elettori dai problemi interni, che non sono pochi (stagnazione economica -comunque oro comparato all'Italia...-, crisi aziendali etc...) a questioni di politica estera. Inoltre la guerra negli USA rafforza l'immagine del presidente.

    6) DOLLARO VS EURO (Last but not least)

    "Se dici una menzogna enorme e continui a ripeterla, prima o poi il popolo ci crederà. La menzogna si può mantenere per il tempo in cui lo Stato riesce a schermare la gente dalle conseguenze politiche, economiche e militari della menzogna stessa. Diventa così di vitale importanza per lo Stato usare tutto il suo potere per reprimere il dissenso, perché la verità è il nemico mortale della menzogna e, di conseguenza, la verità è il più grande nemico dello Stato."

    Joseph Goebbels
    Ministro della Propaganda della Germania nazista (1933-1945)

    In questi giorni l'opinione pubblica internazionale e molti governi del pianeta attendono con angoscia lo scatenarsi, da un momento all'altro, della guerra statunitense contro l'Irak, conflitto annunciato, giustificato e pilotato dai media che fanno capo agli apparati dell'alta finanza. Dei molti analisti che tengono d'occhio la situazione ben pochi sono riusciti a rilevare le ragioni reali che determinano questa crisi e i veri obiettivi dell'azione in fieri.

    Controllo diretto delle risorse ed espansione geostrategica a parte, la famiglia dei petrolieri Bush e il management politico-finanziario del nuovo ordine mondiale seguono da mesi con crescente panico l'evoluzione dell'euro, la nuova moneta che fino a poco tempo fa consideravano con un sorriso di compatimento. Quali le ragioni di questo stato d'allarme? Per rispondere alla domanda è necessario, a nostro parere, considerare la successione degli avvenimenti che seguono facendo attenzione alle date.

    Già nel novembre 2000 il governo dell'Irak decise che, nelle sue future transazioni commerciali riguardanti le vendite di idrocarburi, il dollaro sarebbe stato sostituito dall'euro. Immediatamente dopo l'entrata in vigore della nuova moneta europea le intere riserve irakene, ammontanti a 10 bilioni di dollari depositati alle Nazioni Unite nel quadro del programma "Oil for food", furono convertite in moneta europea.

    Ricordiamo che l'Irak è il paese considerato come la seconda riserva di petrolio al mondo dopo l'Arabia Saudita.
    Nonostante la conseguente perdita di valore dei depositi irakeni (fino a poco tempo fa l'euro era deprezzato rispetto al dollaro), le notizie su quanto era accaduto furono, naturalmente, tenute accuratamente nascoste dall'amministrazione statunitense, da Wall Street e dagli organi d'informazione, nel timore che potessero influenzare pesantemente gli orientamenti degli investitori e i livelli di spesa dei consumatori1. Adesso, naturalmente, con il rapporto dollaro/euro capovolto, il valore delle riserve irakene è notevolmente aumentato.

    La diffusione di simili notizie avrebbe rischiato di veder aumentare la richiesta per nuove politiche energetiche meno dispendiose, attivare lo sfruttamento di fonti alternative a quelle petrolifere, richiedere un maggior rispetto dell'ambiente, ecc.
    La mossa irakena puntava, ovviamente, ad ammorbidire la linea degli USA sull'embargo ed a stimolare l'azione politica dei paesi europei favorevoli al ridimensionamento o a l'abolizione delle sanzioni.
    Va precisato a questo punto che l'economia statunitense è strettamente legata al ruolo del dollaro come moneta d'interscambio internazionale e nel caso questo ruolo venisse meno all'improvviso l'intero suo funzionamento andrebbe in crisi.
    La presenza di sempre più massicce forze armate degli USA nell'area del Golfo Persico ha dunque lo scopo non solo di far pagare a Saddam Hussein questo pericoloso sgambetto economico ma anche di servire come monito permanente agli altri paesi dell'OPEC, come Iran3 e Arabia Saudita, che stanno valutando con interesse una analogo escamotage.

    In Iran la proposta di cambio valuta è stata analizzata dalla Banca Centrale e se presentata al parlamento la sua approvazione è data per scontata. I parlamentari iraniani ritengono infatti che una simile soluzione sia logica essendo l'euro più conveniente del dollaro. Come dimostra l'operazione decisa nel corso del 2002, quando molte delle riserve in valuta della Banca Centrale Iraniana sono state cambiate da dollari a euro.

    Secondo il deputato Mohammed Abasspour, membro della Commissione Parlamentare per lo Sviluppo, le riserve cambiate superano ormai il 50% e il rafforzamento dell'euro porterà ai paesi asiatici, in particolare a quelli esportatori di greggio, un'opportunità nuova per creare legami più forti con i paesi membri dell'Unione Europea. Inoltre Abasspour ritiene che il commercio mondiale attualmente monopolizzato dal dollaro possa essere ridimensionato dalla diffusione dell'euro a beneficio della concorrenza e dell'intero mercato. Sono così facilmente comprensibili i motivi per cui l'Iran viene collocato subito dopo l'Irak nell'elenco dei paesi canaglia sui quali attivare la "guerra al terrore".

    Agli inizi di dicembre 2002, senza che niente lo facesse presagire, anche un altro dei paesi del cosiddetto asse del male, la Corea del Nord, annunciava ufficialmente il passaggio alla nuova valuta europea per i suoi commerci6. La scelta di questo paese, di struttura economica estremamente precaria, non potrà provocare, comunque, un danno economico significativo agli USA, ma è un ulteriore segnale.

    Il comportamento politico-militare statunitense dopo l'11 settembre 2001, diplomaticamente rozzo ed irrispettoso dei trattati, ha trasformato le simpatie internazionali, già per altro esistenti ma fortemente accentuate dalla tragedia, in un malcelato antiamericanismo che affiora anche tra gli alleati più tradizionali.

    Uno studio della defunta Enron aveva identificato l'area del mar Caspio come una riserva potenziale di 200 bilioni di barili di petrolio: su questo studio era basato il piano energetico di sviluppo petrolifero voluto dal vice Presidente petroliere Dick Cheney, tendente a favorire i paesi di quella zona che non appartengono al cartello dell'OPEC8. Per attuare il disegno era necessario il controllo del territorio afgano, insostituibile via per il trasporto del greggio. Dopo la rottura delle trattative con il governo dei talebani, portate avanti ignorando le sanzioni dell'ONU9 e la tragedia dell'11 settembre Bin Laden veniva designato come il nemico più pericoloso e iniziava l'attacco all'Afganistan.

    Soltanto ad invasione avvenuta studi più accurati dimostravano l'inattendibilità del rapporto Enron quantificando le riserve dei paesi dell'area del Caspio in non più di 20 bilioni di barili di un petrolio di scarsa qualità e ad elevato contenuto sulfureo. L'imponente intervento militare perdeva così il suo scopo e veniva silenziosamente smobilitato, alla faccia della caccia allo sceicco del terrore.

    Così, la giunta Bush provvedeva velocemente a sostituire, come nemico principale, Bin Laden con Saddam Hussein, ovvero l'Irak, le sue risorse e le sue decisioni economiche.
    La situazione economica interna statunitense scossa dai continui scandali, di cui quelli dell'Enron e della Worldcom sono soltanto la punta dell'iceberg, ha spinto altri paesi tra i quali la Cina, il Venezuela e la Russia a diversificare le loro riserve di valuta straniera e a convertirle parzialmente in euro.

    Voci insistenti danno all'ordine del giorno della prossima assemblea di Vienna dei paesi aderenti all'OPEC, la discussione sulla sostituzione della valuta di riferimento. Numerosi Paesi che scarseggiano di riserve in dollari guardano con crescente attenzione le diversificazioni attuate dal Venezuela e i suoi accordi con altri 12 paesi per stabilire nei loro commerci la formula del baratto.

    Nell'aprile 2002, poco dopo queste decisioni, è fallito un tentativo di colpo di stato appoggiato dall'amministrazione Bush contro il presidente venezuelano Hugo Chavez Frias.

    Il diplomatico venezuelano Francisco Mieres-Lopez ha confermato come un anno prima di questi minacciosi tentativi il governo del Venezuela aveva iniziato a valutare la possibilità di passaggio all'euro.

    Ricordiamo che il Venezuela è il quarto grande paese produttore di petrolio e gli attentati alla sua destabilizzazione, portati avanti in questi mesi dalle elites economiche interne e dalla oligarchia petrolifera Bush/Cheney, poggiano sul tentativo di privatizzare le sue risorse, tentativo che, gli accordi commerciali basati sul baratto promossi dal presidente Chavez e dalle prospettive di passaggio all'euro, rischia di togliere al dollaro il predominio nelle transazioni.

    Con la decisione di allargare l'Unione Europea a dieci altre nazioni è previsto per il 2004 un prodotto interno lordo della UE di 9,6 trilioni di dollari e una popolazione di 450 milioni di cittadini, una concorrenza formidabile per gli USA che allora avranno 10,5 trilioni di dollari di prodotto interno lordo con 280 milioni di cittadini.

    Durante una sua visita in Spagna nell'aprile 2002 Javad Yarjani, capo del Dipartimento Analisi del Mercato Petrolifero dell'OPEC ha illustrato lo scenario economico internazionale dal punto di vista della sua organizzazione.

    Yarjani ritiene un'anomalia il fatto che il dollaro domini il commercio mondiale superando la percentuale di esso condivisa dagli USA mentre i paesi dell'euro detengono una percentuale superiore con economie più sane e posizioni contabili e di bilancio più equilibrate. Questo è dimostrato dai legami commerciali sempre più stretti tra Paesi membri dell'OPEC e l'area dell'euro dalla quale vengono importati oltre il 45% dei beni.

    L'alto funzionario non ha escluso che in futuro l'OPEC possa decidere l'adozione dell'euro. E' indicativo sottolineare come le sue dichiarazioni siano state in qualche modo segnalate da alcuni organi d'informazione europei ma accuratamente ignorate dalla stampa statunitense.

    C'è da aggiungere come un completo successo internazionale dell'euro-moneta potrebbe ricevere la spinta definitiva alla sua adozione anche da parte della Gran Bretagna, che per il momento rimane in una posizione estremamente ambigua.
    Per potersi cautelare da simili svolte l'amministrazione statunitense ha scelto come misura urgente e rapida la soluzione di sostituire Saddam Hussein con una nuova amministrazione fantoccio in grado di cancellare la scelta irakena sulla nuova moneta europea e riadottare la valuta precedente.

    A quel punto gli altri paesi dell'OPEC verrebbero tenuti tranquilli iniziando una massiccia produzione del petrolio irakeno in modo da superare le quote fissate dal cartello: questa politica ridurrebbe di conseguenza il costo per barile e smantellerebbe così il sistema di controllo dei prezzi praticato dall'OPEC fino ad arrivare a provocare il collasso di questa organizzazione13. Alla prossima riunione di Vienna i paesi membri dell'OPEC ci andranno avendo chiare le conseguenze di una simile prospettiva. Non è escluso quindi che la manovra di autodifesa possa essere il cambiamento della valuta di riferimento sulle transazioni petrolifere.

    Nel caso in cui tutti i paesi aderenti all'OPEC decidessero di preferire la valuta europea rispetto al dollaro le banche centrali dei paesi consumatori dovrebbero disfarsi della valuta statunitense presente nelle loro riserve per sostituirla con gli euro. Una simile decisione comporterebbe una perdita immediata del valore del dollaro, stimata tra il 20 e il 40%: il che aprirebbe, di conseguenza, la strada ad una massiccia inflazione interna agli USA e provocherebbe situazioni economiche da Terzo mondo, simili a quelle attuali in Argentina. Questa decisione segnerebbe anche la fine dell'egemonia del dollaro e della predominanza mondiale degli USA.

    L'unica via estrema che rimane al governo Bush per evitare questa catastrofe è l'estensione della sua egemonia militare in appoggio alla sua egemonia economica.

    Qualunque tentativo di Paesi del Medio Oriente e dell'America Latina membri dell'OPEC di transizione verso l'euro scatenerebbe l'azione militare statunitense. Un'azione mascherata da guerra al terrore con la quale l'amministrazione Bush sta coprendo la verità dei fatti.

    Mentre l'opinione pubblica statunitense sembra restare impotente di fronte al collasso economico del Paese dovuto alla massiccia manipolazione del debito, agli inopportuni tagli delle tasse, ai deficit dei bilanci, agli abusi delle multinazionali, all'insostenibile espansione del credito, al crollo dei risparmi, al record dell'indebitamento personale, eccetera.

    Per quanto riguarda il fronte esterno una parte dell'opinione pubblica internazionale ha già mostrato di non tollerare che gli USA impongano la loro forza militare su quelle nazioni sovrane che vogliono decidere liberamente il loro futuro e le loro scelte economiche. Rimangono tuttavia molti i cittadini, fra i quali c'è la gran massa degli americani, tenuti lontani dalla realtà con l'uso della tecnica goebbelsiana.

    Ma la pratica dell'informazione sempre più funzionale al grande potere, sempre più sfacciatamente bugiarda, angosciante e distorta, non potrà che produrre, nella comunità planetaria, sbandamento e confusione. E aumenterà progressivamente la sfiducia nelle istituzioni democratiche, che appariranno sempre più strutture al servizio delle colossali consorterie economiche del globo.

    Lasciamo queste frettolose note - scritte in una atmosfera che ha l'orrendo odore della guerra - alla riflessione dei lettori. Accompagnandole con una citazione scritta quando la giovane democrazia americana stava consolidandosi ed esportava nel mondo la speranza di un mondo più giusto e migliore:

    "Se una nazione si aspetta di essere ignorante e libera, essa immagina quello che mai è stato e mai sarà. Il popolo non può essere sicuro senza informazione. Quando la stampa è libera, e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro."
    Thomas Jefferson, Presidente degli Stati Uniti dal 1801-1809
    --------------------------------------------------------------------------------
    RIFERIMENTI

    1- Recknagel, Charles, 'Iraq: Baghdad Moves to Euro' (November 1, 2000)
    http://www.rferl.org/nca/features/2.2000160846.asp
    2- W. Clark "The Real but Unspoken Reasons for the Upcoming Iraq War" (Sunday 26 Jan 2003) http://www.indymedia.org/print.php3 article_id=231238
    3- Gutman, Roy & Barry, John, Beyond Baghdad: Expanding Target List: Washington looks at overhauling the Islamic and Arab world (August 11, 2002)
    http://www.unansweredquestions.net/...week081102.html
    4- 'Economics Drive Iran Euro Oil Plan, Politics Also Key' (August 2002)
    http://www.iranexpert.com/2002/econ...oil23august.htm
    5- "Forex Fund Shifting to Euro, " Iran Financial News, (August 25, 2002)
    http://www.paand.com/news/02/aug/1080.html
    6- Gluck, Caroline, "North Korea embraces the euro" (December 1, 2002)
    http://news.bbc.co.uk/1/hi/world/as...fic/2531833.stm
    7- "What the World Thinks in 2002 : How Global Publics View: Their Lives, Their Countries, The World, America" (2002)
    http://people-press.org/reports/display.php3 ReportID=165
    8- Pfeiffer, Dale, "Much Ado about Nothing -- Whither the Caspian Riches " (December 5, 2002) http://www.fromthewilderness.com/fr...02_caspian.html
    9- Jean Charles-Briscard & Guillaume Dasquie, "The Forbidden Truth: U.S.-Taliban Secret Oil Diplomacy, Saudi Arabia and the Failed Search for bin Laden", Nation Books, 2002.
    10- "Euro continues to extend its global influence" (January 7, 2002)
    http://www.europartnership.com/news/02jan07.htm
    11- Birms, Larry & Volberding, Alex, "U.S. is the Primary Loser in Failed Venezuelan Coup", Newsday (April 21, 2002).
    http://www.coha.org/COHA%20_in%20_t...__venezuela.htm
    12- "The Choice of Currency for the Denomination of the Oil Bill, " Speech given by Javad Yarjani, Head of OPEC's Marketing Analysis Department (April, 2002)
    http://www.opec.org/NewsInfo/Speech...eSpainApr14.htm
    13- Dr. Ali, Nayyer, "Iraq and Oil, " (December 13, 2002)
    http://www.pakistanlink.com/nayyer/12132002.html
    14- Golf, Stan, "The Infinite War and its Roots, "
    http://www.fromthewilderness.com/fr...finite_war.html
    15- Gore Vidal, "Le Menzogne dell'Impero", Fazi Ed., Roma, 2002
    16 - Gore Vidal, "La Fine delle Libertà", Fazi Ed., Roma, 2002




    A questo punto un ultima riflessione.....

    Basterebbe solo l'ultimo punto descritto nelle righe precedenti per comprendere tutta la "filosofia" dell'intervento in Iraq, ma c'e un "ulteriore" questione.

    Ovvero si parte sempre dal presupposto che "poiche'" la guerra FORSE (e in realta' non e' cosi') sarebbe sconveniente per il bilancio USA nel rapporto "costi/benefici" allora non "dovrebbe" essere fatta.

    Si badi bene pero'....

    Chi paga chi?

    Chi paga la guerra?

    Il contribuente statunitense....

    Chi guadagna?

    Le compagnie petrolifere.....

    Bene qualcuno si metta il MALEDETTO dubbio che questa guerra non e' FATTA "per l'America" ma SEMPRE E SOLO PER I SOLITI NOTI....americani o meno
    Vuoi una soluzione VERA alla Crisi Finanziaria ed al Debito Pubblico?

    NUOVA VERSIONE COMPLETATA :
    http://lukell.altervista.org/Unasolu...risiEsiste.pdf




  5. #15
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    Predefinito Buon giorno FS, e grazie...

    ...per averlo di nuovo pubblicato. L'ho riletto con vero piacere.

    Purtroppo la tua fatica sarà inutile con studentelli fuori corso, lava-
    macchine di grossa cilindrata e cretinetti vari che non capiscono un
    c**o di politica, economia e brigantaggio a stelle e striscie...

  6. #16
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    Predefinito Re: Domande

    In Origine Postato da Paul Atreides
    Concordo in pieno

  7. #17
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    Predefinito

    In Origine Postato da Fuori_schema
    1) CONTROLLO STRATEGICO DELLE RISORSE PETROLIFERE
    Grazie per aver ricordato il mio post di qualche mese fa'...

  8. #18
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    Predefinito Re: Domande

    In Origine Postato da Paul Atreides
    Quella in Iraq è stata o no un'aggressione in spregio del diritto internazionale e dell'Onu?
    La guerra l'hanno iniziata LORO (terroristi, combatteneti, resistenti, chiamali come vuoi, io li chiamo semplicemente islamici) l'11 Settembre 2001.
    L'onu e' la sede del confronto/scontro diplomatico, non un tribunale che decide cosa e' legittimo e cosa non lo e'.

    In Origine Postato da Paul Atreides

    La risposta violenta ad una guerra d'aggressione e alla conseguente occupazione militare è o no una resistenza pienamente legittima?
    Il tempo del legittimo/illegittimo e' finito da 26 mesi e 3 giorni.

    In Origine Postato da Paul Atreides

    Il contingente italiano è stato mandato o no in Iraq prima ancora della ''foglia di fico'' [nonché ennesima legittimazione ''ex post'' del fatto compiuto...E magari per i fantocci dell'Onu sarà ''sano realismo''] della risoluzione 1511?
    Bravo. Hai detto bene. Quelli dell'onu sono dei fantocci. E lo sono perche' non rappresentano piu' i reali rapporti di forza esistenti nel Pianeta (questa rappresentanza e' finita con la morte dell'Urss).

    In Origine Postato da Paul Atreides

    Quella della '' missione di peacekeeping'' era o no una finzione, visto il chiaro stato di guerra in cui versava e tuttora versa l'Iraq?
    Tecnicamente, almeno per il momento, non si puo' parlare di guerra, altrimenti ci si potrebbe comportare in maniera ben diversa. Non a caso l'Iraq non e' sottoposto ai bombardamenti come lo erano Germania e Giappone.

    In Origine Postato da Paul Atreides

    E' vero o no che durante il jihad afghano nessuno si sognava di etichettare come ''terroristi'' i combattenti antisovietici?

    E' vero o no che durante il jihad afghano nessuno si è sognato di etichettare come ''terroristi'' i combattenti stranieri accorsi a dar manforte alla resistenza antisovietica?
    Magari i sovietici li etichettavano come terroristi, non credi ?

  9. #19
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    Predefinito Re: Domande

    [QUOTE]In Origine Postato da Paul Atreides
    [B]Quella in Iraq è stata o no un'aggressione in spregio del diritto internazionale e dell'Onu?

    Risposta: Certo Paul è stata un'aggressione bella e buona.

    La risposta violenta ad una guerra d'aggressione e alla conseguente occupazione militare è o no una resistenza pienamente legittima?

    Risposta: Da che mondo è mondo a una guerra di aggressione si
    risponde con la RESISTENZA. Gli Irakis sono PARTIGIANI COMBAT-
    TENTI e NON terroristi.

    Il contingente italiano è stato mandato o no in Iraq prima ancora della ''foglia di fico'' [nonché ennesima legittimazione ''ex post'' del fatto compiuto...E magari per i fantocci dell'Onu sarà ''sano realismo''] della risoluzione 1511?

    Risposta: Il contingente italiano è stato mandato in Iraq per per-
    mettere al vostro governo di "sedersi al tavolo dei vincitori", pur-
    troppo vi siete seduti al tavolo dei perdenti. Oltre ai danni pure le
    beffe.

    Quella della '' missione di peacekeeping'' era o no una finzione, visto il chiaro stato di guerra in cui versava e tuttora versa l'Iraq?

    Risposta: Tutte le missioni di peacekeeping sono sempre state
    delle pure finzioni per coprire altri interessi, non per mantenere
    la pace.

    E' vero o no che durante il jihad afghano nessuno si sognava di etichettare come ''terroristi'' i combattenti antisovietici?

    Risposta: Forse a Mosca li chiamavano "terroristi"...

    E' vero o no che durante il jihad afghano nessuno si è sognato di etichettare come ''terroristi'' i combattenti stranieri accorsi a dar manforte alla resistenza antisovietica?

    Risposta: E' vero, mai sentito tale etichettatura. E ti pareva ?

  10. #20
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    Predefinito

    In Origine Postato da Mr. Hyde
    1. L'esempio che puoi "produrre antrace nel tuo cesso" e' d'un'incoerenza spaventosa. Non merita commenti.

    2. Se cerchi di sostenere ancora, ad nauseam , la ridicola tesi che il motivo principale sia beneficio di compagnie petrolifere, ti sfido a portarmi i fatti: ovvero proventi contro costi (toh, ti do' una mano, l'hai mai fatta ricerca in vita tua? www.google.com e' un buon inizio )
    La mia tesi l'ha riconfermata Zio George la settimana scorsa (ora che non si deve piu' nascondere dietro alla scusa delle armi)
    1. Il cosidetto stato di Israele ha 400 testate atomiche e ha violato 70 risoluzione dell'ONU. Gli US invece di dire qualcosa continuano ad armarlo. Il Baffone per un pò di antrace lo attaccate? (dopo avergli impedito di armarsi per 10 anni), poi tirate fuori pure la barzelletta che Saddam è dietro all'11 settembre Missà che sei tu che non meriti commenti.

    2. Il petrolio è un discorso secondario, l'occupazione dell'Iraq ha finalità strategiche e di potere, soprattutto per l'entità zionista (che lo zio Saddam non aveva tanto in simpatia) che ovviamente come ha ammesso Sharon pochi mesi prima dell'attacco all'Iraq, sta dietro alle scelte US, che cmq hanno i loro interessi economico-strategici in quella zona.
    Purtroppo però non avete fatto i conti con l'eroica resistenza iraqena, augura un buon salto in alto ai tuoi marines

 

 
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