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Discussione: Il dopo....

  1. #1
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    Predefinito Il dopo....

    ....Tremonti

    Il nuovo lavoro mi piace

    Bruxelles. “Questo nuovo lavoro mi piace molto”, dice Silvio Berlusconi, il primo ministro, anzi ministro dell’Economia, ai neocolleghi dell’Ecofin.
    E, come ai tempi in cui era primo ministro, anzi ministro degli Esteri, non solo gli piace, gli riesce pure.
    Gioca di sponda con Francia e Germania, incassando il credito di quando Giulio Tremonti lavorò per congelare le sanzioni del Patto di stabilità; ammansisce gli integralisti di Maastricht,
    dall’austriaco Karl-Heinz Grasser che, se a novembre sbraitava contro francesi e tedeschi, oggi definisce “convincente” il
    programma di Berlusconi, agli olandesi contrari nel ’97 all’Italia nell’euro e ora aggrappati alla sentenza della Corte di giustizia per veder sopravvivere un Patto che rischia di sanzionarli; convince, con le sue “garanzie personali”, che il deficit nel 2004 resterà sotto la soglia del 3 per cento; alla fine incassa il “no” dell’Ecofin all’early warning.
    Missione egregiamente compiuta.

    In mattinata il primo ministro, anzi ministro dell’Economia, ha illustrato all’Eurogruppo le misure che intende far adottare “entro 10 giorni”, inserendole nel quadro di miglioramento della situazione economica generale che “porterà nei prossimi mesi a maggiori entrate”.
    Berlusconi offre più di quanto chiesto dalla Commissione europea in aprile: oltre lo 0,6 per cento di pil per mantenere il disavanzo al di sotto del 3 per cento di deficit, che definisce un “tetto invalicabile e il baricentro della politica economica dell’Italia”.
    La manovra sarà di 7,5 miliardi di euro, di cui 5,5 di riduzione strutturale del deficit (4,2 miliardi di tagli alla spesa e 1,3 miliardi di riduzione dei trattamenti fiscali privilegiati nei settori assicurativo e bancario).
    Gli altri 2 miliardi sono una tantum derivanti principalmente dalla vendita di immobili.
    All’Eurogruppo le reazioni sono positive, in primo luogo da parte dell’asse anti-Patto di Francia e Germania.
    Il ministro dell’Economia di Parigi, Nicolas Sarkozy, si dice
    “soddisfatto” perché “l’Italia ha presentato le misure che erano state richieste due mesi fa”.
    Gli fa eco il collega tedesco, Hans Eichel, che, rimpiangendo Tremonti, riconosce che “con questi impegni l’Italia non ha più bisogno di early warning”.
    La Commissione è più fredda, perché “ha avuto poco tempo per valutare la manovra”, sottolinea la necessità di una piena attuazione delle misure annunciate, ma alla fine acconsente.
    “Il pacchetto presentato per il 2004 è adeguato”, taglia corto il presidente di turno e ministro delle Finanze olandese, Gerrit Zalm, che trasmette il tutto all’Ecofin del pomeriggio per la scontata decisione di chiudere la pratica.

    Il precedente germano-portoghese
    La formula adottata all’unanimità dai ministri dell’Economia e delle Finanze dei 25 ricalca quella usata per Germania e Portogallo nel 2002: le misure annunciate dal presidente del Consiglio, anzi ministro dell’Economia, “sono benvenute”, le preoccupazioni relative al deficit pubblico italiano vengono meno, la richiesta della Commissione di inviare un early warning è respinta e l’Ecofin continuerà a monitorare l’andamento dei conti pubblici.
    Anche perché quel precedente germano-portoghese non è di buon auspicio, dato che i due paesi sono poi incappati nella procedura per deficit eccessivo. Zalm concorda con il commissario agli Affari economici e monetari, Joaquin Almunia: “Pensiamo siano necessarie ulteriori misure nel 2005”, dice il primo, “dovremo esaminare gli sviluppi dell’anno prossimo e ciò che succederà nell’evoluzione del debito”, aggiunge il secondo. Il presidente del Consiglio, anzi ministro dell’Economia, ricorda loro la riforma delle pensioni, che “sarà approvata entro luglio”, mentre fonti a lui vicine specificano che la riduzione strutturale del deficit avrà un effetto doppio il prossimo anno, arrivando allo 0,9 per cento.
    Ma il risultato forse più importante è il via libera implicito dei 25 al piano sulle tasse del governo. “Ogni misura di riduzione fiscale dovrebbe essere finanziata attraverso equivalenti risparmi”, dice la dichiarazione finale Ecofin, che coincide con le parole di Berlusconi: “Nessuno ha mai pensato a una riduzione delle tasse senza una parallela riduzione delle spese”.
    Una prima giornata di soddisfazioni, dunque, per il primo ministro, anzi ministro dell’Economia, che ha assicurato che “continuerà a venire a Bruxelles” in questa veste. “E’ il segno del suo impegno”, gli riconosce Zalm, che sottolinea due vantaggi che ha Berlusconi nel ricoprire i due incarichi:
    “Lo ha già fatto quando era anche ministro degli Esteri e, soprattutto, non deve scontrarsi con il primo ministro”.

    da il Foglio di oggi

    saluti

  2. #2
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    Predefinito La tristezza di An solo...

    …il giorno dopo

    Nella convulsa notte di venerdì scorso, togliendo la fiducia al ministro dell’economia Giulio Tremonti, Gianfranco Fini ha dato prova del suo potere di interdizione, ma anche del fatto che non sa poi bene che cosa farsene.
    Come i cani di campagna che inseguono abbaiando le automobili di passaggio, ma poi, se ne prendono una, restano interdetti.
    Ora al superministero dell’Economia si è installato Silvio Berlusconi, trattare col quale non sarà molto più agevole che con Tremonti.
    An sperava in un rapido avvicendamento con Mario Monti (che peraltro, sui salvataggi pubblici, ad esempio per Alitalia, non è più tenero di Tremonti), ma ora comincia a capire che le carte in mano le ha Berlusconi.
    Gianni Alemanno cerca di fare di necessità virtù, e sostiene che è meglio prima arrivare alla definizione complessiva della politica economica, in modo da dare al nuovo ministro un “mandato definito”.
    Intanto la prima parte del pacchetto Tremonti, la manovra di contenimento del deficit, ha ricevuto i complimenti dell’Ecofin, il che dimostra che i conti non erano “truccati”.
    Una parte ragguardevole del conto sarà pagata da settori dei
    “poteri forti”, fondazioni bancarie e assicurazioni, che avevano appoggiato la manovra di An e Udc contro Tremonti, e che ora non saranno tanto soddisfatti.
    Per giustificare la rottura, che toglie ad An ogni spazio per nuove richieste, Alemanno resuscita la concertazione, la fiscalità differenziata per il Mezzogiorno, e altre sciocchezze demagogiche.
    Ma anche nel suo partito sono pochi a pensare che il governo possa riconoscere un diritto di veto alla Cgil o che ci si possa assumere la responsabilità di far cadere il governo e poi di presentarsi agli elettori come quelli che hanno impedito la riduzione delle tasse.
    Anche l’asse con l’Udc traballa, sulla permanenza del consiglio di amministrazione della Rai e su altro. An non sapeva quello che voleva, ma l’ha avuto, con la caduta di Tremonti, e ora si trova isolata e costretta a puntare, di nuovo senza sapere perché, su Monti o Epifani.
    Una vera vittoria di Pirro.

    saluti

  3. #3
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    Predefinito Monti congelato, Fini raggelato...

    ….e Alemanno scalpita

    Roma. Di fronte all’inattesa prospettiva di un interim non breve di Berlusconi all’Economia, Gianfranco Fini riassesta la sua agenda, cancella appuntamenti e si consulta con i suoi luogotenenti sul da farsi. Dopo che lo stesso leader aveva domenica alluso al prestigio di Mario Monti guardando a lui come al possibile successore di Giulio Tremonti.
    Un’allusione accolta con poco entusiasmo dai dirigenti di An che fanno parte della Destra sociale di Gianni Alemanno.
    In controtendenza rispetto al vicepremier, e per ragioni opposte a quelle dell’ala più “azzurra” dell’Udc, il ministro dell’Agricoltura non ha fretta di vedere il commissario europeo alla Concorrenza alla guida del ministero dell’Agricoltura.
    “Tutto sommato potrebbe essere positivo non procedere subito a una nomina, bisogna che prima venga definito un documento politico di indirizzo”, ha spiegato ieri.
    E’ noto che gli alemanniani subirebbero malvolentieri l’insediamento di Monti e vorrebbero invece “spacchettare” il dicastero e beneficiare del trasferimento di alcune competenze. An si ritrova invece unita nel lavorio per sbarrare la strada alla (difficile) corsa di Letizia Moratti verso via XX Settembre.
    Il gruppo “nordista” del partito – che per lo più fa capo a Ignazio La Russa e Mirko Tremaglia – dopo il ridimensionamento del voto europeo teme infatti un aumento del consenso locale di cui gode il ministro dell’Istruzione.
    Ammesso che la situazione generale non precipiti prima, anche questo argomento sarà affrontato alla convention organizzata dalla Destra sociale a Orvieto, e che si terrà sabato e domenica. “Un appuntamento annuale che questa volta assume però una rilevanza maggiore”, sostengono fonti vicine al ministro dell’Ambiente, Altero Matteoli.
    Convocati solitamente per l’ultima settimana di luglio dall’associazione culturale Area, gli stati generali della Destra sociale sono stati anticipati.
    Ufficialmente perché Alemanno partirà a fine mese per scalare il K2. In realtà c’è di mezzo l’accelerazione di un processo in atto da diversi mesi: l’ingresso della corrente Nuova Alleanza nella componente alemanniana, il cui peso in An, dopo l’affermazione interna in occasione delle ultime elezioni, appare destinato a crescere ancora.
    Fonti accreditate di via della Scrofa affermano che “quel che fino a ieri era soltanto un rapporto di contiguità, dalla settimana prossima sarà una vera e propria fusione”.
    Non a caso sarebbe già stato fissato per giovedì un incontro a quattro che vedrà riuniti i leader sociali, Alemanno e Storace, e i maggiorenti della meno forte corrente entrante, Matteoli e Urso. Che si avvicini il definitivo scacco matto nella partita interna con i cosiddetti “berluscones” di Destra protagonista? “Non è escluso che Alemanno addirittura decida di sciogliere la sua, di corrente”, osserva un esponente di An. “Cosa che il ministro dell’Agricoltura già vagheggiava nel 2003. Un po’ per smarcarsi da quella zavorra rappresentata dalle tante seconde file che usano la corrente come copertura nelle insignificanti beghe locali.
    Più verosimilmente per lanciare un messaggio a tutto il partito sui limiti di una divisione interna fra sociali e liberal”. La fusione con i seguaci di Urso e Matteoli in un’area talmente estesa da rappresentare i due terzi di An, può preludere a una candidatura formale alla guida del partito da parte di Alemanno (o chi per lui). Certamente è un segnale unificante, forse anche il fallimento della tripartizione correntizia che faceva comodo a Fini.

    da il Foglio di oggi

    saluti

  4. #4
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    Predefinito Ora vogliono rilanciare...

    ....la "coalizione"

    Roma. “Siamo molto preoccupati: pensavamo di essere usciti da un guaio e non vorrei che ci cacciassimo in un guaio ancora più grande”.
    Le parole di Rocco Buttiglione riassumono lo spiazzamento dei centristi di fronte alla contromossa di Silvio Berlusconi, ostinato nella scelta di congelare (non depennare) Mario Monti e mantenere l’interim dell’Economia.
    L’interrogativo non è legato solo all’arco di tempo lungo il quale il Cav. intende asserragliarsi a via XX settembre, ma riguarda la strategia che il premier starebbe praticando per “depotenziare il credito con cui gli alleati si sono presentati alla verifica” (come ripetono nelle ultime ore in An).
    Licenziato Tremonti, inoltre, gli appetiti del sotto-governo hanno preso a differenziarsi, con qualche sfumatura all’interno degli stessi due partiti.
    L’Udc, che oggi riunisce “d’urgenza” l’ufficio politico, vede sfumare la rapida sostituzione del ministro con il graditissimo commissario Mario Monti.
    Agli occhi degli ex Dc prende corpo il rischio che Berlusconi sia tentato di proseguire lungo il percorso solitario tracciato assieme a Tremonti, rimettendo in questione la collegialità e pensando forse di aprire in anticipo la campagna elettorale per le prossime politiche.
    E in una prospettiva in cui le future alleanze, con la Lega che assicura lealtà condizionata ma pur sempre lealtà, è difficile darle per scontate. La tensione che ieri si respirava a via Due Macelli si ritrova nelle dichiarazioni oscillanti del gruppo dirigente, sospeso tra attestati di lealtà e irritazione.
    In mattinata Luca Volonté ha ribadito: “Noi rimaniamo nel centrodestra, siamo alternativa alla sinistra”.
    Ciò non toglie che il Cav., di ritorno da Bruxelles con in tasca il felice esito dell’Ecofin, troverà i centristi sul piede di guerra.
    Il capogruppo alla Camera non ha dubbi e dice al Foglio che “l’Udc confermerà le sue condizioni per il rilancio della coalizione”. Condizioni che “restano ancora tutte in campo e, se possibile, dopo l’anticipazione di un lungo interim berlusconiano richiedono una risposta ancora più chiara e decisa sulla questione della collegialità”.
    I centristi fanno anche i conti con un dissenso interno che per quanto minoritario preme alle porte della segreteria. Il deputato Gianfranco Rotondi ha annunciato, in un editoriale pubblicato oggi sul quotidiano Democrazia cristiana, la necessità di evitare “una scivolata economica” contraria alla rotta di Tremonti.
    Rotondi spiega al Foglio che “nemmeno uno come Bruno Tabacci può essere seriamente contento del cambio di linea che s’annuncia dopo le dimissioni del ministro”.
    Perché l’avanzata delle istanze sociali prevalenti tra i vincitori di Tremonti mal si concilia con la politica di rigore sin qui adottata.
    “L’Udc non si è mai identificata con la sinistra cattolica insofferente verso la modernizzazione, rappresentiamo l’anima del cattolicesimo liberale”.
    Se “è incontestabile l’apprezzamento per il lavoro intrapreso da Tremonti in termini di defiscalizzazione e rilancio dell’economia”, il rischio è che l’opinione pubblica percepisca il cambio di passo come una “bocciatura” del precedente indirizzo del governo.
    “Dobbiamo chiederci se ci interessa ancora una certa dinamicità dell’economia o invece siamo costretti ad attaccarci al pendolo di ritorno del rigurgito statalista”.
    Dipende molto da An. “L’attuale posizione dei finiani è poco compatibile con la tradizione cattolico-liberale”. Nostalgia del contratto con gli italiani? “L’interim di Berlusconi all’Economia dovrebbe farci sentire più garantiti. Tremonti non era più in grado di comunicare con i colleghi dell’esecutivo, ma la sua linea non dovrebbe essere in discussione”.
    Rotondi non partecipa al vertice dell’Udc convocato da Follini, ma al segretario consiglia comunque un po’ di cautela: “Del resto dopo la defenestrazione di Tremonti non ho visto in lui il tripudio della vittoria. E’ bene riflettere sulla politica economica da seguire nei prossimi mesi, che dovrebbe ricalcare il programma stabilito nel 2001. Anche per questo, prima di pensare a un tecnico come Mario Monti al Tesoro, io inviterei a valutare l’importanza di una scelta più politica, per non sciupare le speranze dei ceti produttivi del paese”.

    da il Foglio di oggi

    osservazione: nel sito di FI si può leggere il "Contratto con gli italiani" firmato in diretta da Berlusconi.
    Quell'impegno è stato sottoscritto pure dai "centristi".

    saluti

  5. #5
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    Predefinito Rinviati i sogni della....

    ….Margherita

    Roma. Non è durato neanche ventiquattr’ore, il sollievo dimostrato dal centrosinistra alla notizia che Monti non avrebbe preso il posto di Tremonti. Se la crisi del centrodestra continua a essere aperta, infatti, una più sommessa ma non meno insidiosa aria di divisione serpeggia anche sulla sponda opposta.
    A questo riguardo, l’intervista di Francesco Rutelli al Corriere della Sera di domenica scorsa ha dato più di un segnale.
    Mentre salutava l’uscita di scena di Tremonti come un’opportunità per favorire “nel centrodestra la nascita di leadership più moderate e ragionevoli”, il presidente della Margherita invitava anche le forze dell’Ulivo a prendere atto della nuova situazione (“non potremo più accontentarci di raccogliere i voti degli scontenti: sarà necessaria un’azione più matura”).
    E, soprattutto, sottolineava che “d’ora in poi si apre il mercato politico nel centro di entrambi gli schieramenti”.
    In apparenza, certo, c’è concordia sulle mosse immediate.
    Il centrosinistra chiede compattamente che Berlusconi riferisca alle Camere, sancendo l’apertura formale della crisi, e altrettanto compattamente sottoscrive le parole di Piero Fassino, secondo il quale “le dimissioni di Tremonti non possono essere derubricate come un semplice fatto tecnico, né possono essere esaurite con la semplice sostituzione del ministro dimissionario”.
    Ma lo “scongelamento” dei poli, evocato dal sociologo Ilvo Diamanti e auspicato da Rutelli, anche nel centrosinistra può far arrivare al pettine molti nodi.
    Può scatenare, soprattutto, la battaglia per il Grande Centro, con annesse operazioni di riesumazione, almeno parziale, del proporzionale.
    Da Rocca di Papa, dove anche oggi è in corso l’assemblea federale della Margherita, il responsabile dell’informazione, Paolo Gentiloni, conferma al Foglio che “le diversità nello schieramento di centrosinistra non riguardano tanto i passi immediati, ma la prospettiva di lungo respiro. Il nostro ragionamento parte dalla valutazione che la caduta di Tremonti non sia semplicemente un episodio sanabile con una ‘toppa’, ma segni la fine del berlusconismo, che senza ‘tremontismo’ non esiste più.
    Berlusconi è stato costretto a fare la parte di Tremonti perché sa che l’idea di un rimpasto che spezzetti l’economia tra Martino e Buttiglione significherebbe comunque la fine del suo progetto.
    Ma se la crisi del berlusconismo è definitiva (e i segnali sembrano andare in questo senso), il centrosinistra non potrà più cementarsi, come fino a oggi è avvenuto, sull’antiberlusconismo come unico fattore di identikit, con un profilo della coalizione spostato forzatamente verso la sinistra radicale. Di fronte al berlusconismo sei costretto a essere contro: il mestiere di riformatore diventa difficile, perché, se provi a farlo, è facile che ti si accusi di essere l’amico del giaguaro. Ma se il berlusconismo viene meno, sull’informazione non puoi avere la posizione del partito Rai, così come non puoi, sulla giustizia, appiattirti sulle posizioni dell’Anm. Dovremo darci anche noi un nuovo profilo, meno condizionato dal massimalismo, più in grado di intercettare le forze di centro”.
    Di intercettare quelle forze, la Margherita ha ovviamente molta voglia, e anche in questo senso va letta la conferma della linea di rafforzamento del partito ribadita da Rutelli ieri, a Rocca di Papa, sia pure in parallelo con il “processo unitario” ulivista. Una risposta che forse non placherà il timore di Romano Prodi di veder frenare il progetto del Listone proprio per mano della Margherita. Il grande appuntamento al centro, poi, non piace per nulla a Fassino. Se si realizzasse, com’è nei sogni della Margherita, il ricompattamento centrista sarebbe destinato a righettizzare a sinistra i diesse. Da sinistra, poi, Fausto Bertinotti manda a dire a Fassino (e alla Margherita) che “con la preclusione del dicastero del tesoro a Monti, la crisi dell’ipotesi centrista è cominciata prima della sua nascita”, e che “è sempre più evidente che è l’ora dell’alternativa”.
    Sempre più di sinistra.

    da il Foglio di oggi

    cos'altro volete sentire per convincervi che la "materia collosa" che tiene insieme tutto il centro sinistra non sono progetti futuri ma la "guerra a Berlusconi".
    E i bamboccetti battono le manine.

    saluti

  6. #6
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    Predefinito I conti....

    …truccati

    Roma. La si pensi come si vuole, ma il disco verde dell’Ecofin di ieri alle misure illustrate da Silvio Berlusconi tronca con una certa nettezza gli attacchi ai “conti truccati” del ministero dell’Economia. E la chiusura dell’“early warning” fa giustizia anche delle polemiche nei confronti della Ragioneria Generale dello Stato. Poiché anzi il caso vuole che proprio domani si tenga la Conferenza annuale della Ragioneria, non sarebbe male che il premier decidesse di lanciare un altro segnale inequivocabile. Poiché non ci sarà più il ministro Giulio Tremonti a concludere i lavori, parli allora il ministro a interim, o quanto meno in sua vece il sottosegretario alla Presidenza, Gianni Letta.
    Per fugare ogni ombra sul valore e sulla professionalità del lavoro svolto da quello strumento prezioso che è la Ragioneria.
    A essere sotto attacco è infatti la sua missione tecnica, dietro il velo dei rilievi pesantemente spondere alla funzioni ad essa delegata di assicurare certezza e affidabilità dei conti dello Stato, sarebbe più che comprensibile se ci si proponesse di rendere la Ragioneria una vera e propria Autorità indipendente dal governo, per meglio assicurare la propria funzione nei confronti di
    Parlamento e Autonomie.
    Un po’ come avviene negli Stati Uniti per il Congressional Budget Office, autonomo tanto dall’Ufficio del Bilancio del Tesoro, quanto dal nucleo di valutazione del budget insediato alla Casa Bianca. Ma non sono queste le intenzioni di cui si legge.
    Si è scritto che il Ragioniere sarebbe stato troppo
    “accondiscendente” con Tremonti, come se il suo ruolo nel dire “la copertura a tal misura così non va” dovesse essere svolto tramite interviste pubbliche, invece che nell’ambito di un serio e quotidiano confronto negli uffici.
    Taluni hanno rilevato che i conti in Parlamento sarebbe stato meglio fosse “personalizzati” indirizzati in questi giorni a chi la guida dal 2002, il professor Vittorio Grilli.
    Non è un caso, che tra le varie ipotesi di “spacchettamenti” più o meno fantasiosamente partorite dai riottosi della maggioranza, la Ragioneria sia talora presentata come aggregata a un rinato ministero del Bilancio separato da Tesoro e Finanze.
    Ma spostandola dal Tesoro da dove la Ragioneria è appostata sin dal 1877, e tanto più in un quadro di sfarinamento delle responsabilità economiche, significherebbe solo volerle calcare in capo più marcati cappelli politici, compromettendone la natura tecnica di garante della corretta gestione e programmazione delle risorse pubbliche a tutti i livelli.
    Si potrebbe forse capire, se qualcuno avesse avanzato la necessità di una riforma di tutt’altro tipo, nel caso in cui la riforma costituzionale sfociasse nell’adozione di una forma di governo del premier. Per meglio rispondere alle funzioni ad essa delegata di assicurare certezza ed affidabilità dei conti dello Stato, sarebbe più comprensibile se ci si proponesse di rendere la Ragioneria una vera e propria Autorità indipendente dal governo, per meglio assicurare la propria funzione nei confronti di Parlamento e Autonomie.
    Taluni hanno rilevato che i conti in Parlamento sarebbe stato meglio fosse Grilli a esporli: dimenticando o fingendo di dimenticare che Grilli in Parlamento ha illustrato i conti per 7 volte in 2 anni, ogni qualvolta convocato.
    E molto più del suo tanto “compianto” predecessore.
    Per una volta anche il professor Francesco Giavazzi ha sbandato. Al termine del suo elogio critico di Tremonti, scrivendo che se fosse stato Ragioniere si sarebbe con lui dimesso, ha finito per attribuire alla Ragioneria e a chi la guida una veste politica invece che tecnica.
    Eccesso di passione, il suo.
    Punte di malafede, in altri.
    E tutto ciò scriviamo – ripetiamolo a difesa dell’istituzione.
    Non di Grilli, che non abbisogna di avvocati e che affronta anch’egli i suoi guai come in ogni branca della pubblica amministrazione. E che però ha la ventura di figurare diciottesimo Ragioniere generale, dalla nascita del servizio. Con quel numero, può contare su un pizzico di fortuna.
    Sempre che sia scaramantico.

    da il Foglio di oggi

    saluti

  7. #7
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    Predefinito Di tutti e di...

    ...tutto un po'

    Velina dalemiana: il presidente della Quercia è molto irritato con Piero Fassino che sulla vicenda del partito riformista non ha avuto “coraggio” e lo ha criticato nell’ultima riunione del direttivo dei Democratici di sinistra, la settimana scorsa.
    Il presidente dei Ds, che è l’azionista di riferimento della maggioranza fassiniana, potrebbe cambiare cavallo, abbandonare l’attuale segretario e puntare tutte le sue carte sull’emergente Pierluigi Bersani. Massimo D’Alema in carne e ossa: non ho mai inteso criticare il segretario del partito.

    Velina del Correntone ds (nella versione mussiana di quella componente): la minoranza dei Democratici di sinistra rappresenta un sette per cento dell’elettorato e in questo momento è forte e compatta come non mai.
    Realtà dal Correntone: la deputata ligure Roberta Pinotti, la più ammirata dai parlamentari over 50, lascerà ben presto la minoranza per trasferirsi, armi e bagagli, con i fassiniani, bruciando sul tempo l’eterna rivale, l’altrettanto bionda Giovanna Melandri, incerta su quale strada intraprendere per conservarsi un futuro politico.

    Velina folliniana: l’indicazione di Mario Monti è per noi la migliore scelta possibile perché premia la collegialità.
    Marco Follini in carne ossa nel corso di una riunione di partito: Fini ha sbagliato a voler far assolutamente precipitare la situazione arrivando al punto di far dimettere Giulio Tremonti.

    Velina folliniana numero due: con Gianfranco Fini c’è un asse di ferro.
    Marco Follini in carne ossa in un’altra riunione di partito: io Gianfranco non lo capisco più.

    Velina folliniana numero tre : tra il segretario dell’Udc Marco Follini e il presidente della Camera Pierferdinando Casini l’intesa è massima.

    Velina casiniana: tra il presidente della Camera Pierferdinando Casini e il segretario dell’Udc Marco Follini l’intesa è massima.
    Marco Follini in carne e ossa a un interlocutore: con Pierferdinando ho un ottimo rapporto.
    Marco Follini in carne e ossa a un altro interlocutore: con Pierferdinando ci sono momenti di tensione.
    Pierferdinando Casini in carne e ossa a un interlocutore: la linea giusta è quella che sta perseguendo Marco.
    Pierferdinando Casini in carne e ossa a un altro interlocutore: ti pare che ho capito dove vuole andare a parare Marco?

    Velina di Alleanza Nazionale: la vittoria del vice presidente del Consiglio potrebbe avere basi molto fragili perché sicuramente Mario Monti sarebbe una jattura per personaggi come Gianni Alemanno che puntano sull’espansione della spesa.
    Gianfranco Fini in carne e ossa: vogliamo Mario Monti al ministero che fu di Giulio Tremonti.

    Velina berlusconiana: il presidente Silvio Berlusconi è sereno e tranquillo, si è tolto un peso con Tremonti e ora è convinto che la sua strada sia spianata.
    Silvio Berlusconi in carne e ossa a qualche fido collaboratore: credi che non abbia capito che mi vogliono commissariare?

    Velina sfortunata, ossia quella del povero Piero Fassino. Il segretario dei Democratici di sinistra, infatti, ha arruolato per migliorare la sua immagine e per aumentare i suoi consensi Klaus Davi. Quello stesso Klaus Davi, cioè, che sull’ultimo numero dell’Espresso dichiara: “Solo Francesco Rutelli si è sottratto all’autodistruttivo chiacchiericcio della Lista ‘Uniti nell’Ulivo’”.
    Ma come, Davi fa l’elogio di una delle “bestie nere” del leader della Quercia? Di quel Rutelli che un giorno sì e un giorno no fa andare in escandescenze il segretario dei Ds? Fortuna che gli era stato assegnato il compito di far filtrare sui mass media notizie che portassero lustro a Piero Fassino.

    saluti

  8. #8
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    Predefinito Arriva il penultimatum...

    ...il premier non ci casca

    Silvio Berlusconi era riunito al ministero dell’Economia a lavorare con l’intera squadra composta dal viceministro, sottosegretari, capo del dipartimento del Tesoro e ragioniere generale, e non ha voluto nemmeno leggere le agenzie che battevano il penultimatum dell’Udc.
    Ha confermato che intende mantenere l’interim per definire il Dpef, varare il decreto di contenimento della spesa su cui si è impegnato all’Ecofin, e non mollare finché non sarà approvato l’abbattimento delle aliquote Irpef.
    Se sarà con la finanziaria, bene, ma di andarsene prima non se ne parla.
    Altrimenti, la maggioranza dovrà votarla prima, la riforma fiscale, se vorrà avere un ministro a via XX settembre diverso dal premier.
    Da ieri è ufficiale che il problema non era il carattere di Giulio Tremonti, chi lo contestava non si riconosce più nel contratto con gli italiani.
    Ma se Udc e An non si fidano più di Berlusconi, nemmeno lui di loro.
    Anche se il Cav. non commette l’errore – dice –di mettere Fini e Follini alla stessa stregua.
    All’Ufficio politico dell’Udc, Follini ha confermato quanto aveva anticipato in ampie interviste. Legandolo a una data. Se entro il 16 luglio, quando si riunirà il Consiglio nazionale Udc, il Cav. non avrà nominato un successore all’Economia, e se non avrà svolto
    “un chiarimento vero” capace di superare “il difetto di innovazione
    e il difetto di accentramento”, Follini proporrà ai suoi di uscire dal governo e di passare all’appoggio esterno.
    Nel frattempo, vengono messe a punto tre successive “onde di pressione”.
    La mozione per accelerare un nuovo assetto alla Rai, che l’Udc presenta alla commissione parlamentare di Vigilanza oggi, all’esplicita ricerca di convergenze con l’opposizione.
    La legge elettorale proporzionale, che il Consiglio nazionale voterà il 16 luglio. Infine i 50 emendamenti alla riforma costituzionale, varati ieri dal gruppo dei deputati Udc con riserva, per il momento, di “non forzare” sui temi più esplosivi.
    Non la correzione dei poteri sbilenchi in effetti concessi in prima lettura al Senato federale.
    Ma il nocciolo dell’attribuzione dei poteri alle regioni, la forma di governo limando i poteri del premier, e l’introduzione in Costituzione del principio elettorale proporzionale.
    Rocco Buttiglione ha cercato di circoscrivere il chiarimento richiesto al solo versante programmatico.
    Gianfranco Rotondi si è dissociato.
    Il governatore della Sicilia Totò Cuffaro ha detto che per parte sua non è un ultimatum.
    Ma Follini non si fermerà, la sua strategia appare sempre più chiaramente volta al post-Berlusconi.

    E di questo il Cav. inizia ad averne l’evidenza.
    Pensa però che An non possa altrettanto agevolmente immaginare politiche delle “mani libere”.
    Ieri Fini ha emesso una nota solo apparentemente allineata a Follini, in realtà frenata. Sarebbe un errore considerare impossibile ciò che Follini prospetta, l’uscita dal governo, il succo. Ma An si guarda bene dal minacciarla. Dice che bisogna scrivere insieme il Dpef, “confermare” la riforma costituzionale, sia pure emendata (tradotto: al momento non punta programmaticamente a rompere con la Lega), e solo al terzo punto “rafforzare il governo”, cioè vasto rimpasto, e nomina del successore di Tremonti.

    Mario Monti ieri si è gentilmente sfilato, coprendo Berlusconi e la sua offerta di buone parole ma annunciando di preferire l’Europa.

    I leghisti ironizzano. E’ la Lega ad aver assunto toni moderati, e l’Udc quelli “da estremisti à la Che Guevara”.
    Il Cav. zitto zitto ripete che, abbassate le tasse, alle urne ci va cantando.
    Senza, no.

    saluti

  9. #9
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    Predefinito Follini giocatore...

    ....d'azzardo

    Dopo che l’assalto all’arma bianca di An ha fatto una vittima illustre, il ministro del Tesoro Giulio Tremonti, esaurendo con ciò la forza contrattuale di Gianfranco Fini, ora tocca all’Udc, che chiede a Silvio Berlusconi di lasciare “subito” l’interim, se non vuole che i ministri dell’Udc si dimettano e il partito passi a un “appoggio esterno”, anticamera del disimpegno.
    In sostanza Marco Follini, se non saranno accolte le sue richieste (che peraltro nessuno conosce), punta a trasformare l’esecutivo in un “governo balneare”, da ridiscutere dopo le vacanze.
    Sarà difficile rispondergli. Perché l’interesse principale dell’Udc è concentrato su un tema, l’assetto del sistema politico, che non si presta a scelte precise e che quindi è destinato a restare irrisolto e a produrre continua tensione.
    Follini continua a ripetere la fortunata metafora della “monarchia” berlusconiana che va trasformata in repubblica degli eguali.
    Alle intuizioni politiche di un imprenditore (e Berlusconi lo era quando Follini lo ha incontrato sulla sua strada), quel gruppo di democristiani, sbandati e braccati dalla persecuzione giustizialista che avrebbe poi dato vita all’Udc, deve la propria sopravvivenza politica.
    Non si tratta di invocare la gratitudine, che è una moneta che non ha corso in politica, ma di constatare che, per loro, il centrodestra, il centrodestra berlusconiano, non è stata una scelta fatta tra più opzioni, ma un connotato fondante della loro identità.
    Quelli che hanno voluto dimenticarlo, dopo essere stati usati per ribaltoni e ribaltini, sono stati messi ai margini anche nella coalizione di arrivo.
    Questo non significa che Follini non abbia diritto a un po’ più di spazio.
    A ricordare quali ministri se ne andrebbero, se l’Udc si ritirasse, si fa un po’ di fatica, e questo dimostra che sono sottorappresentati.
    Possono anche puntare a una gestione più condivisa dei dossier di governo, ma non possono pretendere che Berlusconi non sia Berlusconi.
    Il programma di governo non sarà il Vangelo, ma sentir dire che per parlare di tasse bisogna vedere le carte, che per il federalismo non c’è alcuna firma dal notaio, che il ministro del Tesoro deve essere “autonomo” come se fosse il presidente di un’authority, dà l’impressione di un distacco un po’ presuntuoso. Le lodi sperticate di Margherita e Ds, invece di inorgoglire Follini, dovrebbero preoccuparlo, se vuole migliorare e non distruggere la coalizione alla quale appartiene.

    saluti

  10. #10
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    Predefinito C'è un'eco interessante....

    ...anche dalla stampa estera

    Secondo il Financial Times, Berlusconi se l’è cavata per il rotto della cuffia nell’esame di Bruxelles e la gestione del bilancio del suo governo è disfunzionale e irrealistica, specie per il lungo termine.
    La riforma delle pensioni è lontana dal risolvere i problemi.
    Il progetto di tagliare le imposte è surreale.
    Ma, aggiunge il foglio britannico, perdendo l’abituale tono dottorale, c’è una cosa che irrita: l’assenza di reazioni negative del mercato internazionale del reddito fisso.
    Nonostante le dimissioni di Tremonti e l’interim di Berlusconi, con i suoi piani fiscali, il debito pubblico italiano ha mantenuto intatto il suo differenziale di soli 0,20 rispetto ai Bund tedeschi, considerati come l’oasi della stabilità finanziaria internazionale.
    Il Financial non sa capacitarsene e tenta una spiegazione, a cui mostra di non credere: dopo tutto, sostiene, anche il bilancio tedesco va male, quindi i Bund a cui si confrontano Bot e Cct italiani non sono così pregiati.
    Ma è una spiegazione che non regge.
    Allora il Financial Times se ne inventa un’altra. Cioè che gli investitori pensino che la Bce, la Banca centrale europea, voglia correre in salvataggio dell’Italia, quando non riuscirà a piazzare i suoi titoli sul mercato.
    Ciò, ovviamente, è ancor meno credibile.
    Il fatto è che il Financial Times, dice il falso quando afferma che nella nostra maggioranza di governo si discute se tagliare le imposte o aumentare le spese, senza curarsi del deficit.
    La discussione verte sul da farsi, all’interno di un tetto al disavanzo del 3 per cento.
    D’altra parte la propensione al risparmio delle famiglie italiane è salita al 12,7 per cento nel 2003 ed esse hanno molta fiducia nel nostro debito pubblico.
    Questa propensione è in aumento perché si percepisce che la riforma delle pensioni, che le aggancerà ai contributi pagati (cosa che non accade negli altri paesi), non garantirà benefici non guadagnati. E se i mercati internazionali, abituati a dar fiducia ai nostri Bot, confermano la stessa fiducia in questa circostanza, vuol dire che non condividono affatto i giudizi astiosamente partigiani del Financial Times.
    Non sono forse i mercati che hanno l’ultima parola nella valutazione delle condotte finanziarie dei governi?

    Visco, o il suo vice, hanno commenti?

    saluti

 

 
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