RISORGE LA GERMANIA (occhio agli avvoltoi)
di Maurizio Blondet
Gerard Schroeder e Angela Merkel
BERLINO - Qual è il primo esportatore mondiale?
No, non è la Cina.
E' la Germania.
Silenziosamente, la repubblica federale ha superato anche gli USA, fino a ieri il primo esportatore del mondo.
L'avanzo commerciale tedesco supera quello di Cina, India e Giappone messi insieme: nel solo mese di giugno ha toccato i 16,8 miliardi di euro.
I profitti delle aziende tedesche si calcolano al 33 % del PIL nazionale, i più alti negli ultimi 40 anni.
Se bisogna giocare il gioco della globalizzazione, tutto puntato ad esportare, la Germania lo sta vincendo.
E non abbandonando la produzione industriale ai cinesi per riservarsi, come USA e Gran Bretagna, le speculazioni finanziarie e le attività «incorporee» come software e spettacolo: al contrario, premendo l'acceleratore sui suoi storici punti di forza, le industrie di alta qualità, la produzione fisica di beni ineguagliabili.
Non a caso, esporta parecchio (macchine utensili computerizzate, macchinari industriali, apparati di precisione) in Cina.
E, nonostante una politica di moderazione salariale, la Germania non rincorre la Cina nella competizione sulle paghe da fame: i salari tedeschi sono ancora fra i migliori d'Europa.
Le riforme di Gerard Schroeder stanno funzionando.
Bollate come «mezze misure» dai superliberisti di Washington e Londra, esse sono parse eccessive ai tedeschi, e rischiano di far perdere al socialdemocratico le elezioni, fra due settimane (1).
Anche perché, ostinata, resta alta la cifra della disoccupazione: 4,8 milioni di tedeschi fuori dal ciclo produttivo.
Ma ora, con i buoni risultati nell'export, la vittoria della liberista Angela Merkel (tanto desiderata dai poteri forti anglo-americani) non è più troppo sicura.
E quasi certamente non sarà schiacciante: tutti si aspettano che, per fare il governo, la Merkel, neofita entusiasta del capitalismo «americano» (è nata all'Est, l'ingenua), dovrà allearsi proprio con i socialdemocratici: la Grosse Koalition.
Se funziona, modererà gli eccessi liberisti della neofita e aggiungerà il meglio del liberismo alla ricetta Schroeder.
In questo senso è positivo che la Merkel abbia annunciato la scelta, come ministro delle Finanze, di Paul Kirchoff.
L'uomo che nel 1993 ha stilato la sentenza costituzionale tedesca che ha sbattuto fuori le intrusioni degli eurocrati nella sovranità tedesca: la sentenza ha stabilito che la Costituzione nazionale viene «prima» delle cosiddette leggi europee.
Il contrario di quel che fa l'Italia, servilmente prona alla sete di potere di Bruxelles.
La liberalizzazione promessa da Kirchoff riguarda soprattutto la leva fiscale: vuole abolire la tassazione progressiva sul reddito, per sostituirla con una «flat tax»
del 25 %.
Questa misura è sana per la Germania – dove metterà più soldi in tasca a imprenditori, manager, tecnici di livello e operai specializzati – ma oggi dannosa in Italia, dove gli stipendi altissimi sono solo dei ricchi di Stato, parassiti come il segretario del Quirinale Gifuni (2 miliardi l'anno) ed altri mestatori pubblici, per definizione improduttivi.
Ma soprattutto, Kirchoff ha promesso di abolire 90 mila leggi e leggine tributarie, il cui unico scopo è dar lavoro alla burocrazia pubblica e imporre costi alle imprese vere e buone.
Questa misura potrebbe essere utile all'Italia: ma non passerà mai, perché da noi è l'alta burocrazia che vince sempre.
Già le sinistre riparlano di «lotta all'evasione fiscale».
Il settore pubblico risucchia in Germania il 46% del PIL; è tanto, ma non lontano dal 45% del superliberista (mascherato da socialista) Tony Blair.
La fetta che del PIL si ritaglia il settore pubblico italiano è vicina a quella della Francia, il 54% del PIL.
Ma almeno Parigi ha un'amministrazione pubblica efficiente.
La straordinaria ripresa tedesca già attira gli avvolti della finanza globale.
George Soros coi suoi hedge funds sta incettando azioni e obbligazioni tedesche, soprattutto di banche in difficoltà.
Altri fondi speculativi fanno lo stesso, contando su un rialzo dei titoli.
Il gruppo inglese Terra Firma ha comprato a prezzi bassi 150 mila appartamenti per operai, malconci, ad Essen (oggi ancora centro di rugginose industrie «socialiste») contando su rialzi del mercato edilizio e facili profitti, una volta che i nuovi assunti tedeschi saranno in grado di comprarsi casa.
Il nuovo governo tedesco dovrà essere accorto a respingere questi ripugnanti parassiti.
Basti ricordare che in passato, fra le due guerre, immensi capitali americani si riversarono in Germania allo stesso scopo: risultato, una bolla che rincarò alle stelle edifici e terreni, e pochi investimenti veri nell'industria.
La crisi del '29 risucchiò in USA quel denaro rovente, lasciando come detrito umano milioni di disoccupati.
Così andò al potere Hitler.
Che innescò il suo miracolo economico, adottando sistemi che non piacquero (per niente) agli speculatori mondiali.
Bisognerà evitare che la parte brutta di questa storia si ripeta.
Maurizio Blondet
Note
1) Ambrose van Pritchard, «Britain could soon be Europe's sick man again», Telegraph, 6 settembre 2005.