L’intervista di Aldo Cazzullo a Giorgio Bocca sancisce un dato di fatto che ormai pare acclarato: se Bocca è la sinistra, la sinistra è messa davvero male, per quel suo complesso di superiorità che in realtà nasconde crisi e inadeguatezza culturale. E la sinistra è inadeguata perché solo chi è insicuro di sé e non è convinto della reale bontà delle proprie idee è totalmente incapace al confronto con l’altro. Ne ha paura, perché sa che dal confronto uscirebbe a pezzi. E allora lo liquida affibbiandogli etichette denigratorie che precludono aprioristicamente ogni possibilità di dialogo. E dove non c’è dialogo, c’è aridità intellettuale.
Il mondo di Bocca è diviso in due: i ladri e gli onesti. I primi stanno a destra, i secondi a sinistra. Non esistono sfumature, né pluralità: Piero Fassino, per aver detto d’essere cattolico, diventa un «trasformista». Chi vota Berlusconi è un lestofante: «Dobbiamo prendere atto che gli italiani sono diventati in maggioranza ladri o amici dei ladri». «L’illegalità è ovunque». «Un tempo, un militare sorpreso a rubare si suicidava; ora patteggia la pena». Cazzullo gli chiede se vi sia differenza etica tra destra e sinistra e Bocca risponde: «la differenza ha retto fin quando è durata la sorveglianza del Pci. Fin quando i comunisti erano poveri». «Tutti i partiti sono corrotti. Ma questo non significa che destra e sinistra si equivalgano. A sinistra ci sono ancora persone perbene. E poi il padre della corruzione italiana è Berlusconi». Dell’Utri non è un bibliofilo, ma un «falso bibliofilo». «Rivalutando Craxi si rivaluta un ladro, giustamente condannato». I radicali sono il «peggio d’Italia. Ma cosa vuole la Bonino? Con chi sta? Con Berlusconi? Con la sinistra? Con i dissidenti iraniani?». Signora mia, addirittura quegli stronzi dei dissidenti iraniani, che osano dissentire... «Questo nuovo, questo Capezzone, poi...» (frase pronunciata, senza dubbio, con una smorfia di disgusto e orrore, soprattutto nel dire «questo»).
Il nucleo dell’intervista, però, quello che delinea tutta la pochezza intellettuale del padre nobile della sinistra, è una risposta alla domanda sul suo passato fascista e razzista. Com’è noto, Giorgio Bocca era da giovane accesamente fascista: nulla di male, dato che era piuttosto difficile non esserlo all’epoca. Ma Bocca era ancor di più, era un convinto antisemita. Famosa la sua ruvida dichiarazione di guerra agli ebrei, espressa in un giornale locale nel 1942*. Ma oggi come cerca di rispondere alle accuse d’antisemitismo? Con l’argomento che usano tutti gli antisemiti: ma io ho un amico ebreo. «Quanto al mio antisemitismo chieda agli ebrei di Cuneo. Il giorno delle leggi razziali, invitai i miei amici Cavaglion a bere un Cinzano». E questo dovrebbe chiudere il discorso. Qualcuno ricordi a Bocca che molti dei gerarchi fascisti che approvarono quelle leggi avevano e continuarono ad avere amici ebrei. Che il nazista Reinhard Heydrich non solo aveva amici ebrei, ma pure la nonna ebrea. Che Emicho di Leisingen, uno dei più noti persecutori d’ebrei, era egli stesso israelita. Del resto, è come dire che non si è contro gli immigrati perché si ha la domestica filippina. Chiacchiere da bar durante una briscola e con un fiaschetto di vino sul tavolo. Chissà perché il Corriere le ha pubblicate.
Ma non provate a girar pagina: in quella successiva c’è Sandro Curzi che dice che il tg3 è un modello di equilibrio e pluralità.
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*Questo odio degli ebrei contro il fascismo è la causa prima della guerra attuale. La vittoria degli avversari solo in apparenza infatti, sarebbe una vittoria degli ebrei. A quale ariano, fascista o non fascista, può sorridere l’idea di dovere, in un tempo non lontano, essere lo schiavo degli ebrei? [Giorgio Bocca, «La Provincia Granda», 4 agosto 1942]
l'ennesima riprova di come gli effetti della anzianità siano devastanti .