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Discussione: "emergenza Sicurezza"

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    Predefinito "emergenza Sicurezza"

    OMNIA SUNT COMMUNIA




    Giorgio Cremaschi


    A quel punto dalla folla si alzano anche voci di protesta e una signora anziana, con il più puro degli accenti emiliani urla: «Vergognatevi!». Allora il poliziotto che sta seduto sopra l'africano ammanettato le risponde che ha ricevuto quattro pugni sulla pancia.
    Ma non convince visto che le voci di protesta aumentano. Allora qualcuno minaccia: «smettetela o tocca anche a voi». Fuori dalla mischia una ragazza con la maglietta bianca con la scritta vigili urbani, con il volto terreo parla ad una radio portatile. Poi i due agenti in bermuda cominciano a trascinare l'africano verso la strada, dove finisce la spiaggia.
    Rimini vanta di essere la spiaggia più larga d'Europa e così è lungo l'attraversamento delle file di ombrelloni. I due poliziotti trascinano nella sabbia l'africano che urla disperatamente in mezzo i bagnanti che osservano stupiti. I bambini alle urla si mettono a piangere mentre si forma un piccolo gruppo che segue i poliziotti e protesta. Il pianto dei bambini cresce, del resto come si fa a spiegare a un bambino che una tale violenza è solo determinata dal fatto che non si può vendere abusivamente in una spiaggia. C'è troppa sproporzione e poi fino a un minuto prima quel mercatino pareva così amichevole e sereno. Invece sarebbe un atto criminale. No, un bambino non capisce, non coglie il nesso tra causa ed effetto. Ed è allora che la spiaggia si divide. Chi approva il comportamento dei due uomini in bermuda, deve andare oltre, deve dire che oggi quei negri non pagano le tasse, portano le malattie, rubano, sono un danno per tutti. Chi si sdegna non può che parlare di razzismo e i diversi punti di vista diventano scontro tra bagnanti, mentre i poliziotti in bermuda e l'africano spariscono. E alla fine chi li sostiene urla a chi protesta: «smettetela tanto la sinistra non c'è più!». Rimini è da sempre il centro delle vacanze popolari e a buon mercato e per questo la sua spiaggia corrisponde a un'idea democratica e popolare di inclusione e tolleranza.
    Oggi non è più così. Rancore, cattiveria, intolleranza percorrono la riviera sotto traccia. Sono i commercianti, si dice, che hanno preteso e sostenuto la caccia all'uomo che si è scatenata metodicamente sulle spiagge. Essi sostengono che gli ambulanti abusivi portano via gli affari. E allora questo che c'entra con il razzismo? Pochi giorni prima un gruppo di arabi mal vestiti era stato scacciato da una discoteca perché stonava con l'ambiente, poi si è scoperto che erano un gruppo di ricchissimi giovani sceicchi. Che c'entra il razzismo? La riviera è piena di extra comunitari, donne e uomini dell'est Europa, dell'Africa e dell'Asia che mandano avanti alberghi, ristoranti, servizi di tutti i tipi. Non è razzismo allora quello che fa titolare un giornale locale: «Belva africana si scaglia contro i poliziotti sulla spiaggia» e che fa reclamare all'assessore locale la necessità di una punizione esemplare per questa belva feroce. Non è razzismo di quello classico, perché il razzismo di oggi è meno ideologico e ma censitario. Non ce l'ha per principio con l'asiatico o l'africano, ma con chi oltre ad essere diverso, è povero. Se quegli arabi si fossero presentati alla discoteca vestiti da sceicchi, sarebbero stati accolti come nel film Amarcord. E' essere migranti e poveri che non va, questi sono gli esseri inferiori che possono essere trattati come animali. Non so se Rimini sia oggi specchio dell'Italia, dove secondo alcuni giornali anglosassoni è meglio non venire perché sono vietate le cose che altrove sono permesse e restano impunite tutte quelle che altrove sono represse. So però che non voglio più vergognarmi di andare in una spiaggia e di sentirmi impotente di fronte a scene degne dell'Alabama degli anni Cinquanta.
    Perciò nonostante la gentilezza e l'ospitalità di tanti penso che si debba boicottare Rimini. Si tratta di reagire alla caccia all'uomo nelle spiagge nell'unico modo che chi l'ha promossa davvero capisce: «il calo del turismo». Certo si sfidano così grandi numeri, ma a volte anche un piccolo boicottaggio può servire. Il sindaco ed i commercianti di Rimini devono sapere che la politica sicuritaria può servire a far vincere le elezioni perché lì basta il 51%. Ma può far andar male gli affari. La sinistra, che nel paese e anche nelle spiagge esiste ancora, può non aver più voglia di andare in riviere dove vigono gli indirizzi di Maroni, Calderoli e La Russa. E se anche solo una parte di questa sinistra a Rimini non ci va più, l'effetto si farà sentire. Perché proprio il mercato insegna che anche solo il 3% in meno di affari, può fare un bel danno.


    26/08/2008 Liberazione

    ARDITI NON GENDARMI

  2. #2
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    OMNIA SUNT COMMUNIA


    Laura Eduati
    «Un luogo dimenticato da dio e dagli uomini».


    Così il sindaco Alemanno ha definito la zona di Ponte Galeria dove sono stati brutalmente aggrediti due coniugi olandesi in pellegrinaggio. Dopo l'omicidio Reggiani alla stazione fatiscente di Tor di Quinto torna a terrorizzare la periferia degradata, dipinta come fucina di episodi criminosi da reprimere con la presenza delle forze di polizia. «Gli agenti da soli non bastano altrimenti si crea il gioco dei buoni e dei cattivi» commenta Mauro Magatti, preside della facoltà di Sociologia della Cattolica di Milano e curatore per la Caritas del volume La città abbandonata sullo sfilacciamento e la spersonalizzazione di alcune periferie italiane, lontane e vicine al centro storico, frammentate da mutamenti storici e sociali di lungo periodo come l'immigrazione, il mutamento del mercato del lavoro, il venir meno della protezione prima garantita dallo stato sociale. Ecco che, allora, le zone emarginate diventato «un carcere» dal quale i residenti vorrebbero scappare, rimandando all'esterno un'immagine «spesso peggiore di quella reale». «La deriva personalistica dei sindaci non serve», aggiunge Magatti, «manca una seria riflessione sulla città e sulla creazione della convivenza sociale».

    Ponte Galeria, periferia abbandonata. Professor Magatti, che cosa lacera le nostre periferie?
    Conviene puntualizzare che il problema delle periferie e dei quartieri degradati, anche centrali, non è un fenomeno superficiale né contingente, e nemmeno legato alle mancanze di questo o quel sindaco. Stiamo vivendo una trasformazione storica composta da processi diversificati come la riduzione della protezione da parte dello stato sociale, l'indebolimento della scuola, la precarizzazione del mercato del lavoro, l'immigrazione. Processi di lungo periodo che incidono particolarmente sui quartieri degradati, producendo situazioni acute e problematiche. Ma ciò non significa che tutte le periferie siano povere e marginali.

    Le polemiche sull'omicidio di Giovanna Reggiani a Tor di Quinto e quelle sulla brutalità nei confronti dei due turisti olandesi convergono sul fatto che criminalità fa rima con periferia e che l'unica ricetta sono le forze dell'ordine.
    Bisogna stare cauti sulla correlazione tra violenza e quartiere degradato. E peraltro le statistiche dimostrano un andamento dei crimini diverso da quello percepito e amplificato dai media. Se per criminalità si intende un singolo atto violento, e non forme organizzate di malavita, allora diciamo che nelle zone emarginate possiamo aspettarci maggiore criminalità in quanto si sommano varie forme di disagio: l'anziano solo, il giovane dropped out che ha abbandonato la scuola, lo straniero disoccupato e così via. Ma la violenza è soltanto un effetto di ciò che sta a monte e il problema della sicurezza viene acuito in quanto nelle periferie disagiate gli altri diventano più altri, diffidenza e senso di abbandono vengono accentuati.

    Che senso ha dunque aumentare la presenza delle forze dell'ordine?
    Le forze dell'ordine sono una parte necessaria ma non sufficiente. Questi quartieri hanno bisogno di maggiore presenza delle istituzioni pubbliche per creare una socialità propositiva, la sola presenza degli agenti trasforma la periferia in un gioco tra guardie e ladri, tra buoni e cattivi.

    Nel volume "La città abbandonata" viene scritto che ormai alcune zone delle città italiane sono diventate illeggibili e non più omogenee. Che cosa significa?
    Queste zone vengono abbandonate da chi non è obbligato a rimanerci: i professori chiedono il trasferimento, i parroci se ne vanno, le sedi delle istituzioni vengono poste in quartieri giudicati più sicuri, i cittadini delle altre zone evitano quei luoghi come la peste. Così diventa impossibile sapere che cosa succede davvero all'interno del quartiere, aggravando la situazione di queste cosiddette "periferie". Se succedono degli episodi di violenza, questi vengono amplificati a dismisura creando una cattiva fama della zona e dando la sensazione ai residenti di vivere in una sorta di carcere, senza la possibilità di comunicare con l'esterno. Un circolo vizioso che coinvolge specialmente i giovani che si sentono rifiutati dal resto del tessuto urbano perché magari non riescono a trovare un lavoro e così ripiegano sulla vita dura del quartiere, contribuendo a dargli un' immagine ben peggiore di quella reale.

    Possiamo dire che una parte enorme di responsabilità ricade sulla pianificazione urbanistica?
    Quello dell'urbanistica è un capitolo davvero complicato. Durante le nostre ricerche ci siamo imbattuti nei palazzi figli dei pensieri urbanistici di venti, trent'anni fa, concepiti per dare una sorta di ordine e strutturazione, ma il tessuto sociale è cambiato radicalmente e l'esito è disastroso. Pensare la città in tempo reale e riuscire a seguirla è una faccenda molto complessa, e peccano di presunzione gli architetti, gli urbanisti e i politici che pensano di trovare soluzioni definitive a problemi complicatissimi come la progettazione di un quartiere, spesso aggravando il problema esistente.

    Che cosa significa pensare la città?
    Significa facilitare la convivenza di noi tutti, perché ognuno vive in un quartiere e ha bisogno di una socialità. Significa ad esempio reinventare il mercato immobiliare, slegandolo dal solo reddito e facendolo motore di convivenza altrimenti diventa portatore di disastri. La riflessione sulla città, in Italia, è molto carente e il rischio è quello della personalizzazione del ruolo del sindaco, una deriva che non fa certo bene alla città. I primi cittadini dovrebbero invece promuovere un dibattito serio sulla convivenza urbana, per creare delle vere condizioni di vita serena e positiva


    ARDITI NON GENDARMI

 

 

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