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L’unica giustificazione di una legislazione sulla droga è l’efficacia: non c’è.
L’ortodossia antiproibizionista in fatto di consumo e spaccio di sostanze psicotrope dice: limitare il danno, aggredire la radice. Ma ha un difetto. Si scontra ancora, nonostante esperimenti diversi, alcuni dei quali riusciti, con il rigetto sociale, civile e culturale di fenomeni come lo spaccio e il consumo di droga.
In una parola: la droga fa paura alla gente, e se lo Stato ne organizza la circolazione la paura raddoppia.
Per adesso, l’antiproibizionismo assoluto manca di efficacia, di realismo.
L’ortodossia proibizionista dice: drogarsi vietato, bisogna imporre la sanzione penale o amministrativa indiscriminata, magari tentando la via dell’incentivo pubblico alla riabilitazione dalle tossicodipendenze e al recupero anche in strutture paternalistiche e private, laiche o religiose.
La legge varata ieri dal Consiglio dei ministri, un testo su cui si è fatta l’unità della destra, comprese firme leghiste e liberali, è inclinata verso questa seconda ortodossia, ma naturalmente prende atto della realtà. Chiunque pensasse di dare sul serio la caccia allo spinello come abitudine criminale, vista la diffusione del fenomeno e la sua (ecco il punto) crescente accettazione sociale in quasi ogni ambiente, farebbe figura di donchisciotte e anche di incauto gestore del potere pubblico.
Probabilmente aumenterebbe invece di ridurre il danno.
E si consegnerebbe a una sicura sconfitta campale.
La soluzione dunque è a metà. Si proclama ad alta voce un illecito, si costruisce un’immagine riflessa, e lo si affronta nei fatti con una buona dose di olio di vaselina.
Non sembra che questa legge sia degna, come ha detto in un momento di esagerazione il radicale Marco Cappato, di uno Stato totalitario.
Fa la faccia feroce, ma non è neanche vero che abbandona i nostri ragazzi al carcere e alla solitudine, come ha detto la deputata dell’opposizione Livia Turco.
La cancellazione della distinzione tra droghe leggere e pesanti, e lo sfumare del confine tra spaccio, piccolo spaccio e piccolo consumo, tutto questo armamentario di penalizzazione virtuale serve piuttosto a fissare un nuovo standard culturale.
E qui nasce il problema.
Siamo sicuri che questa nuova misura di virtù sia maggioritaria?
Il referendum passato direbbe di no.
La cultura diffusa direbbe di no.
Le droghe leggere sono percepite come una minaccia molto relativa, e il ministro Girolamo Sirchia si incarica tutti i giorni di varare nuove crociate che impongono divieti su abitudini e vizi (ma i vizi non sono reati) molto diffusi: mangiare insano, fumare tabacco, starsene in poltrona invece di fare jogging, portare a spasso il cane senza museruola (a proposito, che fine hanno fatto i pitbull?).
Conclusione: siamo sicuri che la Casa delle Libertà, prendendosi come appendice la cultura dei divieti e agganciandola anche al divieto di spinello, compia una buona azione, soprattutto verso se stessa?
Noi no. Siamo abbastanza certi dell’inefficacia tecnica di questa legge, siamo abbastanza convinti della sua irrilevanza politica, se non peggio.
Ferrara su il Foglio
saluti