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Discussione: Guerre Dimenticate

  1. #171
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  2. #172
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    GUERRA AI TALEBANI



    Il Pakistan attacca le roccaforti talebane sul suo territorio. Ancora bombe a Kandahar dopo l’attentato di martedì costato la vita a 16 persone, in maggioranza bambini. “E’ stato un errore”, dicono i talebani. E gli americani rispondono con una nuova operazione militare. Poco lontano, uccisi 12 civili hazara in un agguato stradale


    8 gennaio 2004 – Il Pakistan ha sferrato una delle più massicce offensive militari degli ultimi mesi contro le roccaforti della resistenza talebana afgana nel proprio territorio. Truppe di terra appoggiate da elicotteri hanno attaccato prima dell’alba il villaggio di Azam Warsak, nei pressi della città di Wana, sulle montagne del Waziristan del Sud, a ridosso dal confine afgano in corrispondenza della provincia di Paktika, dove anche le forze Usa stanno dando la caccia ai talebani. L’operazione è ancora in corso e per ora non filtrano notizie. Secondo fonti locali, all’azione starebbero prendendo parte anche truppe speciali americane.

    Questa zona, come del resto tutte le cosiddette ‘aree tribali’ di confine abitate dai pashtun (sezione pachistana del cosiddetto Pashtunistan), sono il rifugio, la retrovia e il terreno di reclutamento della resistenza talebana che combatte nell’Afghanistan meridionale e orientale contro la presenza militare americana. Su queste montagne si dice possa anche trovare nascondiglio lo stesso Osama Bin Laden.

    Questa offensiva va letta come una mossa del presidente pachistano Musharraf volta a dimostrare agli Stati Uniti la buona volontà del suo Paese di combattere i talebani e i terroristi di Al-Qaeda loro alleati. Una dimostrazione indispensabile per bilanciare le accuse, fondate, rivolte ai settori più integralisti dei servizi segreti e dell’esercito pachistani riguardo il loro sostegno alla nuova jihad afgana. Ancor più indispensabile oggi dopo l’escalation di attacchi e attentati dei talebani, decisi a destabilizzare l’Afghanistan all’indomani dell’approvazione della nuova Costituzione e in vista delle elezioni previste per giugno.



    A Kandahar, la città afgana colpita dall’attentato di martedì 6 gennaio costato la vita a 17 persone, in maggioranza bambini, un’altra bomba è esplosa stamane di fronte a una caserma del neocostituito esercito governativo afgano. Due soldati sono rimasti gravemente feriti nello scoppio, che ha parzialmente demolito l’edificio militare. Riguardo all’attentato di due giorni fa, il comandante talebano mullah Sabir Mimim ha rivendicato l’azione con un telefonata all’agenzia Reuters, precisando però che si è trattato di un errore. “Volevamo colpire l’ufficio cittadino del Team Provinciale di Ricostruzione (organo civile-militare locale controllato dalle forze statunitensi) ma a causa di un piccolo errore questo piano è fallito”.

    La risposta dell’esercito americano all’attentato è stata l’avvio di una nuova operazione militare contro la resistenza talebana a sud di Kandahar, nella zona di Spin Boldak, vicino al confine pachistano. L’obiettivo sarebbe la cattura del comandante talebano che ha organizzato l’attentato.

    Si è anche diffusa la notizia che martedì, lo stesso giorno della bomba di Kandahar, poco lontano, ai confini delle province di Uruzgan e Helmand, guerriglieri talebani hanno attaccato un pulmino su cui viaggiavano 13 civili di origine hazara, uccidendoli tutti tranne uno. Queste genti di religione sciita, che abitano nelle province centrali dell’Afghanistan, sono sempre state considerate ostili dai talebani pashtun. Secondo le autorità locali questo attacco, apparentemente insensato, si spiega con la volontà dei talebani di provocare tensione tra hazara e pashtun, per contribuire ad aumentare il disordine e l’instabilità nel Paese.

    Dall’agosto 2003, quando ha iniziato ad agire la resistenza talebana, più di 450 persone sono rimaste uccise in attentati e agguati da essa condotti. Le vittime sono soprattutto civili e militari afgani, ma non sono mancati morti tra gli operatori umanitari stranieri e tra i militari americani, almeno una dozzina.

    Enrico Piovesana

  3. #173
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    UNA MINA


    Dall'ospedale di Emergency a Kabul, la storia di Ahmed, sedicenne saltato su una mina mentre pregava in ginocchio


    Kabul (Afghanistan), 13 gennaio 2004 - E’ terribile non tenere a mente i nomi delle persone che hai curato. Riuscire a ricordarli solo per la loro faccia o, peggio, per le ferite che li hanno portati in ospedale è barbaro e disumano ma molto spesso mi succede. Sarà perché di pazienti se ne vedono tanti, sarà perché la familiarità con i nomi afgani è ancora scarsa nonostante i mesi passati in questo Paese. Ciò che difficilmente si riesce a dimenticare sono le loro storie, un misto d’orrore, coraggio e voglia di tornare a vivere.


    Solita chiamata dal pronto soccorso del centro chirurgico di Emergency, un pomeriggio qualsiasi di dicembre dell’anno del Signore 2003: mine injury, condition poor. E’ un ragazzino di sedici anni, Ahmed, ormai senza più entrambe le gambe, con alcuni pezzi di stoffa allacciati attorno alla coscia per fermare l’emorragia, il viso e il torace ustionati per l’esplosione. Anche chi come me che, come si dice, “ne ha viste tante” stenta a trattenere l’orrore e a rimanere professionalmente lucido.
    Solita trafila quindi. Sala operatoria, amputazione sopra il ginocchio a entrambi gli arti inferiori e toilette chirurgica delle ustioni. Il paziente dopo un paio di giorni si stabilizza, riesce finalmente ad aprire gli occhi che prima erano chiusi dall’ustione. Le ferite dell’amputazione vanno bene e quindi gli chiediamo come è successo. Le ferite erano insolite per estensione e per localizzazione e vorremmo capire.


    La sua storia è semplice. Si trovava dalle parti dell’aeroporto (zona considerata sicura perché sminata, ma si sa che le zone sminate non sono comunque mai sicure) ed era l’ora della preghiera. Si è allontanato dalla strada per avere privacy, ha steso il suo tappetino e si è inginocchiato per pregare in direzione della Mecca. Un ginocchio ha fatto esplodere la mina.
    Stava pregando, stava ringraziando il suo dio per quel niente che la vita gli aveva portato e per quell’orrore che gli avrebbe riservato. Una beffa atroce, uno scherzo fatto da dio a chi lo stava pregando e onorando? Troppo da sopportare, soprattutto per un agnostico occidentale come me. Meglio dire che lo scherzo lo hanno fatto i produttori di armi, chi le mine le ha piazzate e chi doveva sminare la strada ma non c'è riuscito. O, peggio, lo ha fatto male. O ancora chi ha pensato di rimettere le mine in una zona data per sminata.


    Chiediamo lumi a Fahreed, un nostro collega afgano. Dice che non sa perchè quella mina fosse ancora lì, che è difficile a dirsi perché - come abbiamo visto durante l'ultima Loya Jirga - c'è chi continua a piazzarne in giro, anche in zone precedentemente sminate. Fahreed dice che durante la Jirga di dicembre ne hanno messe davanti alle scuole, agli ospedali. Senza ritegno.
    Con il passare dei giorni Ahmed recupera rapidamente (a sedici anni ci si rimette in piedi facilmente, anche se i piedi sono di plastica) e arriva il giorno di dimetterlo. Lo ritrovo su una sedia a rotelle. Sta aspettando i suoi parenti che tardano ad arrivare. Dopo le quattro chiacchiere che facciamo nel mio farsi stentato, si gira, si bagna le mani e le braccia con l’acqua di una bottiglia e dalla sedia a rotelle inizia a recitare le preghiere pomeridiane. Non può più inginocchiarsi ma la sua fede non se ne è andata con le sue gambe. Quando finisce le orazioni si gira verso di me, mi sorride e mi lascia stordito a pensare al suo animo grande e forte di ragazzino mutilato di sedici anni.

    Marco Garatti*

    *Chirurgo dell'ospedale di Emergency a Kabul

  4. #174
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    Eccoci quà dopo tanto tempo di nuovo con il mio thread, ancora non garantisco continuità al 100% ma almeno un post al giorno si, l'ultima volta che avebvo postaro sulle guerre dimenticate mi sembra che fosse giugno, e passato moltissimo tempo dall'ultima volta e moltissime notizie drammatiche sono uscite, quando mi sono fermato si parlava di Afghanistan, ma adesso le riprendo aggiornando tutte le situazioni lasciate indietro a giugno, visto che si sta parlando di russia mi sembra giusto aggiornarvi sulla situazione (molto grave) in Cecenia, tanto per ricordare chi è putin e il governo russo e gli estremisti islamici, ma sopratutto le vittime tra i civili...

    ------------------------------------------------------

    L’ALTRA NON-GUERRA






    L'Onu si piega alla Russia: “Nessuna guerra in Cecenia.
    I bombardamenti dei villaggi, i combattimenti con decine di morti, i rastrellamenti e le violenze dimostrano il contrario


    Kofi annan e vladimir putin



    aprile 2004 – In seguito alle pressanti richieste del Cremlino, le Nazioni Unite hanno accettato di cancellare dai documenti Onu sulla Cecenia la definizione di “conflitto armato. Un’importante vittoria diplomatica per il presidente russo Vladimir Putin, che riesce così a imporre alla comunità internazionale la ‘versione russa’ della questione cecena, una versione tesa a dimostrare che la situazione nel paese è normalizzata, pacificata, che le forze russe hanno il pieno controllo del paese e che la resistenza armata indipendentista cecena è ridotta a sporadica attività terroristica islamica, che va combattuta senza pietà nel quadro della guerra globale al terrorismo. Dai documenti Onu, a iniziare da quello oggetto del contendere sull’impiego dei bambini-soldato, sparirà infatti la dizione “gruppi insurrezionali”, per essere sostituita da quella chiesta dal Cremlino di “bande armate illegali”.

    Feriti russi



    L’esercito indipendentista ceceno, comandato dall’ex presidente ceceno Aslan Maskhadov (liberamente eletto nel 1997 e spodestato dai russi con l’invasione militare del 1999) continua a essere attivo in tutto il territorio ceceno con azioni di guerriglia che causano decine di morti alla settimana tra i militari russi. I bollettini diffusi dal comando militare del Consiglio di Difesa ceceno (Majlis al-Shura) sono pesantissimi. Quello della 239esima settimana di guerra (dal 3 al 9 aprile 2004) annuncia l’uccisione di 122 soldati russi e la distruzione di cinque carri armati, sette blindati Btr da trasporto truppe, otto camion Ural da trasporto truppe, una locomotiva diesel, cinque fuoristrada Uaz. Quello precedente, della 238esima settimana di guerra (dal 27 marzo al 2 aprile 2004), annunciava l’uccisione di 97 soldati russi e la distruzione di dieci camion Ural da trasporto truppe, cinque blindati Btr da trasporto truppe e tre fuoristrada Uaz.


    Bombardamento russo



    Come rappresaglia a questi continui attacchi, i russi bombardano i villaggi e le basi della guerriglia, con impiego di caccia-bombardieri e artiglieria pesante, compiono rastrellamenti volti a terrorizzare la popolazione, arresti di massa, torture ed esecuzioni extragiudiziali. Fonti locali riferiscono, soprattutto in queste ultime settimane, che i caccia-bombardieri Mig e gli elicotteri russi hanno ripetutamente bombardato nascondigli della guerriglia e obiettivi civili sulle montagne dei distretti sud-orientali di Vedeno e Nozhai-Yurt. Negli ultimi giorni i russi hanno compiuto raid aerei nei pressi dei villaggi di Dargo, Belgatoi, Ersenoi, Gansol-Chu, Shirdi-Mohk, Yalhoi-Mohk, Ahkinchu-Borze e Agishbatoi. In uno di questi raid, la mattina del 16 aprile, un missile ha ucciso Abdul Aziz Al-Ghamdi, nome di battaglia Abu Walid, comandante saudita delle formazioni mujaheddin arabe che partecipano alla resistenza cecena. Ma più spesso sono i civili innocenti a fare le spese di questi attacchi, com’è accaduto il 9 aprile quando un missile russo ha centrato la casa di Marin Tsintsayeva, nel villaggio di Rigakhoy, uccidendo lei e i suoi cinque bambini.




    Tra un bombardamento e l’altro, nei villaggi della zonale forze russe e le milizie cecene filo-russe conducono operazioni di ‘pulizia’ (zachistki), occupando e isolando i centri abitati, facendo irruzione in tutte la case, minacciando, picchiando e arrestando tutti gli uomini in ‘età militare’, che poi vengono orrendamente torturati, uccisi con un colpo di pistola alla nuca e buttati in fosse comuni o burroni. Com’è accaduto con i nove civili ‘rapiti’ dai russi il 27 marzo scorso durante un rastrellamento nel villaggio di Duba-Yurt e ritrovati morti il 9 aprile in fondo a un crepaccio vicino al villaggio di Serzhen-Yurt. Durante queste operazioni sia i soldati russi che le famigerate milizie cecene filo-russe, picchiano e stuprano le donne cecene, com’è accaduto il 16 aprile nel villaggio di Sogunti, dove la moglie di Mukharbi Tamiraev è stata violentata in pubblico perché si rifiutava di rivelare ai miliziani dove si trovasse suo marito, accusato di essere un guerrigliero.




    Lo scorso 2 aprile Umar Khambiev, ministro della Sanità del governo ceceno indipendentista in esilio, ha tenuto un discorso davanti alla Commissione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, a Ginevra, per denunciare quello che lui ha definito un vero e proprio ‘genocidio’ del popolo ceceno ad opera delle forze militari russe. Ha ricordato che oltre 200 mila ceceni (quasi un quarto della popolazione totale) sono stati uccisi dal 1994 a oggi (senza dimenticare gli almeno 20 mila caduti russi), e che questa guerra di sterminio continua con bombardamenti di villaggi, rastrellamenti e arresti in massa di civili, indicibili torture ed esecuzioni extragiudiziali nei campi di concentramento. Sulla base di queste denunce, il Parlamento europeo ha sottoposto alla stessa Commissione Onu una risoluzione che condanna le violazioni dei diritti umani commesse dai russi in Cecenia. Ma il 15 aprile i membri della commissione hanno votato bocciando il documento.




    I ceceni sono vittima di un gioco più grande di loro. I paesi occidentali chiudono un occhio, anche due, davanti alla questione cecena per evitare che la Russia si impunti sulla questione irachena e sull’espansione ad est della Nato, come altrimenti il Cremlino ha più volte minacciato di fare.
    C'è un proverbio che dice: “Quando gli elefanti combattono, sono i fili d’erba a soffrire


    Enrico Piovesana

  5. #175
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    CACCIA ALLE STREGHE



    L’assassinio del presidente ceceno Akhmad Kadyrov, avvenuto lo scorso 9 maggio con un clamoroso attentato durante una cerimonia allo stadio Dynamo di Grozny, ha fatto riprecipitare il paese in un clima di terrore e violenza.
    Nell’attuale vuoto di potere, un potere che era manovrato da Mosca ma che in qualche modo riusciva a porre un freno alla linea dura e intransigente del Cremlino, le forze armate e i servizi segreti russi si sentono ora liberi di agire come vogliono



    16 giugno 2004 – “Dal 9 maggio la situazione è notevolmente peggiorata”, ha dichiarato una residente di Grozny, Makka Hamidova, a un agenzia di stampa straniera. “Dopo l’uccisione di Kadyrov i russi hanno scatenato una vera e propria caccia alle streghe, terrorizzando la popolazione con operazioni militari, rastrellamenti, arresti di massa e rapimenti”.

    Nell’ultimo mese l’aviazione e l’artiglieria russa hanno ricominciato a bombardare i villaggi, com’è accaduto ad esempio nei giorni scorsi a Kharsenoi, nel distretto di Shatoi, e il 5 e 6 giugno a Samashki, nel distretto di Achkoi-Martan. L’esercito ha intensificato le operazioni anti-guerriglia in tutto il territorio ceceno, con decine di morti negli scontri armati delle ultime settimane. Gli ultimi ieri, nel distretto di Shali: dieci guerriglieri e cinque soldati russi.



    Interi centri abitati sono stati isolati e rastrellati dai militari, decine di civili sono stati picchiati e arrestati. Sono tornati a spuntare anche i famigerati ‘punti di filtraggio’, centri di detenzione e tortura allestiti a margine delle aree d’operazione. E’ il caso del villaggio di Roshni-Chu, circondato l’8 giugno dalle forze russe, che per tre giorni hanno impedito ai residenti di entrare e uscire, rastrellando tutte le abitazioni, picchiando gente e portando tutti i prigionieri in un punto di filtraggio organizzato in una casa abbandonata fuori dal centro abitato.


    Ma il dato più preoccupante è la riesplosione del fenomeno dei rapimenti di civili da parte delle ‘squadre della morte’, che agiscono di notte seminando il terrore nei villaggi. Da quando Kadyrov era al potere questi sequestri erano notevolmente calati. Invece, nel solo mese di maggio sono stati già denunciati 25 rapimenti. La notte del 31 maggio, ad esempio, tre Uaz senza targa sono entrare nel villaggio di Kalaus. Uomini in mimetica e passamontagna, che parlavano russo, sono entrati in un’abitazione, uccidendo un uomo e rapendone altri due, dopo averli selvaggiamente picchiati.
    Il due giugno, centinaia di donne, madri di ragazzi recentemente rapiti, si erano date appuntamento a Grozny per protestare in piazza, per chiedere notizie dei loro figli. La risposta è arrivata subito, forte e chiara: è intervenuto l’esercito russo, disperdendo le manifestanti con la forza. Molte donne sono state brutalmente picchiate, finendo in ospedale. Altre sono state arrestate. Per Rudnik Dudayev, capo del Consiglio di Sicurezza ceceno, si trattava di “madri di criminali.


    Qualsiasi cosa si pensasse di Kadyrov – afferma la già citata Hamidova – gli va riconosciuto che era riuscito a limitare la violenza russa. Ora che lui non c’è più, i russi sono fuori controllo. Un mio lontano parente, un tenente-colonnello che lavora nella sezione cecena dei servizi segreti russi, mi ha raccontato che dalla morte di Kadyrov gli agenti e i militari russi non obbediscono più ai suoi ordini e che tutti gli ufficiali ceceni che collaborano con i russi sono stati di fatto degradati a un ruolo secondario. Ora i russi sono tornati a comandare”.


    Questa situazione getta una luce inquietante sullo stesso assassinio di Kadyrov. Come osservato dagli analisti di Equilibri.net, “malgrado la sua linea filorussa, il presidente ceceno era stato fortemente avversato da alcuni nazionalisti russi che avevano contestato Putin per aver delegato a lui e alla sua milizia fin troppi poteri. Le recenti richieste fatte da Kadyrov a Putin di ritirare parte del contingente russo avevano provocato l’ira dei nazionalisti. Ma, oltre tali dichiarazioni, ciò che aveva causato la rabbia di molti esponenti della destra russa, nonché di alcuni dei più importanti esponenti delle gerarchie militari russe presenti in Cecenia, era stata la recente confisca, da parte di Kadyrov, di diversi pozzi di petrolio locali che andavano ad arricchire illecitamente le tasche dei vertici dell’esercito russo presente nella repubblica caucasica”.


    Per i settori più fanatici e militaristi del Cremlino, Kadyrov era forse diventato un alleato scomodo, troppo indipendente. Un ostacolo per gli affari sporchi dei ‘signori della guerra’ russi in Cecenia e per la loro spietata e razzista politica di sterminio della popolazione cecena.
    La stessa dinamica dell’attentato getta non poche ombre sui coinvolgimenti dei servizi russi: eludere così facilmente le rigidissime misure di sicurezza che erano state allestite allo stadio Dynamo quel giorno appare davvero impossibile senza che vi sia stato qualche aiuto dall’interno.


    La pista della cospirazione russa è stata scartata da tutti dopo la rivendicazione arrivata il 17 maggio da parte di Shamil Basayev, leader della fazione integralista islamica della guerriglia indipendentista cecena. Ma l’ambiguità di questo personaggio, che ha sempre mantenuto stretti rapporti con alcuni settori dei servizi segreti russi, dovrebbe far riflettere sulla complessità della questione cecena.
    In ogni caso, comunque stiano le cose, in questa lotta di potere e di grandi interessi sono sempre gli stessi a farne le spese: la popolazione civile cecena.

    Enrico Piovesana

  6. #176
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    INGUSCEZIA: È GUERRA



    La guerriglia cecena sconfina in Inguscezia attaccando la capitale: prese di mira caserme, carceri, stazioni di polizia e palazzi governativi. Ucciso il ministro dell’Interno. Decine i morti. Intervengono migliaia di soldati russi.
    Da tempo ci si aspettava la reazione della guerriglia indipendentista alla violenta politica repressiva estesa da Putin a questa ex provincia cecena


    23 giugno 2003 – Prima o poi doveva succedere, tutti se lo aspettavano. Era solo questione di tempo: presto o tardi la guerra cecena sarebbe dilagata anche nella vicina e piccolissima regione russa d’Inguscezia, fino ad ora retrovia di un conflitto che dall’altra notte l’ha investita in pieno. Intorno alle 23 di lunedì sera, ora locale, centinaia di guerriglieri pesantemente armati hanno varcato il confine ceceno mettendo a ferro e fuoco tutte le cittadine che si trovano lungo la strada che porta a Nazran, l’ex capitale della regione. Compiendo una fulminea avanzata sono entrati in città, attaccando le caserme dell’esercito federale russo, le stazioni della polizia locale, le carceri in cui sono detenuti i guerriglieri ceceni e anche il ministero dell’Interno. Qui sono stati uccisi il ministro, Abukar Kostoyev, il suo vice e due procuratori.


    I combattimenti notturni tra guerriglieri ed esercito sono stati pesantissimi. I bilanci ufficiali delle prime ore parlavano di almeno una settantina di morti tra le forze inguscete e di un imprecisato numero di vittime tra i civili e i guerriglieri. Fonti vicine alla guerrigla cecena parlano invece di 150-200 soldati ingusceti e russi uccisi in combattimento. Testimoni locali hanno riferito di decine di cadaveri di guerriglieri sparsi per le strade di Nazran, illuminata dai fuochi degli incendi sviluppatisi negli edifici attaccati dagli indipendentisti.
    Prima dell’alba di martedì i guerriglieri hanno ripiegato verso il confine ceceno, inseguiti da migliaia di soldati russi affluiti dalle regioni confinanti e appoggiati da elicotteri da combattimento. Nel pomeriggio di ieri le forze russe li hanno localizzati e accerchiati a ridosso del confine ceceno, nei boschi attorno alla cittadina di Galashki, dove sono scoppiati nuovi furiosi combattimenti.


    Questa offensiva è la prevedibile reazione dei ceceni e degli ingusceti (che sono sostanzialmente la stessa popolazione e che ai tempi dell’Urss costituivano un’unica repubblica) alle violenze e alle repressioni che da tempo il presidente russo Vladimir Putin, per mano del locale presidente ingusceto Murat Zyazikov (suo fedelissimo e come lui ex agente del Kgb), aveva esteso all’Inguscezia. Le forze russe e quelle del governo ingusceto infatti non hanno dato tregua ai profughi ceceni rifugiatisi in decine di tendopoli di questa regione.


    Negli ultimi mesi si era registrato un aumento degli arresti indiscriminati, dei rapimenti, delle torture, degli omicidi, fino alla chiusura forzata di tutti i campi profughi. L’ultimo è stato smantellato con la forza una settimana fa. Una vera e propria pulizia etnica volta a scacciare i ceceni dal territorio ingusceto, che ha avuto però un effetto boomerang, sia per la radicalizzazione dei profughi tornati in patria (molti dei quali hanno deciso di aderire alla resistenza armata), sia per la solidarietà della popolazione ingusceta, fatta anch’essa ultimamente oggetto di questa politica repressiva da parte del proprio stesso governo e delle forze russe.


    C’era da aspettarsi che prima o poi sarebbe arrivata una ‘risposta’ da parte della guerriglia. Lo stesso leader politico-militare della resistenza armata indipendentista cecena, l’ex presidente Aslan Maskhadov, aveva parlato chiaro una settimana fa in un’intervista telefonica concessa a Radio Free Europe: “Stiamo preparando dei cambiamenti nella nostra tattica. Se fino ad ora ci siamo concentrati su azioni di sabotaggio, d’ora in avanti lanceremo dei grandi attacchi”. A rendere più inquietante il quadro c’è poi il fatto che l’altra notte, contemporaneamente all’attacco in Inguscezia, la guerriglia cecena ha colpito pesantemente anche in Daghestan, dove si sono registrati pesanti combattimenti nella capitale Makhachkala, ora presidiata dalle truppe speciali russe. Non è chiaro se questi scontri siano stati la reazione a un raid delle forze russe o se al contrario tutto sia nato da un’azione della guerriglia. Certo è che il livello di tensione sta pericolosamente salendo in tutta le regione e che l'allargamento del conflitto ceceno, da rischio, sta diventando realtà.

    Enrico Piovesana

  7. #177
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    KE PALLE,ORA DOBBIAMO PURE SORBIRCI I REPORTAGE DI UNO KE SI KIAMA IGOR PESCE.
    VUOI GENTILMENTE RIVELARE ALLA PLATEA DOVE COPI KUESTE COSE KE SCRIVI
    SONO TANTE NOTIZIOLE KE MERITEREBBERO UN APPROFONDIMENTO
    NON PERKE' DUBITO DELLA PAROLA TUA O DI IGOR PESCE PERO' SAI,CONOSCENDOTI,NON VORREI KE AVESSI COME TUO SOLITO PRESO FISKI X FIASKI
    E NON FARE IL PIANTO GRECO KE TI STO ROVINANDO IL THREA DA PARTE KE ,POSSO GARANTIRTELO,NON GLIENE FREGA UN CAZZO A NESSUNO DEI COPIA INCOLLA KE FAI PERKE' SE PROPRIO KUALKUNO VOLESSE INFORMARSI ANDREBBE SUL SITO DOVE COPI E NON SI METTEREBBE A LEGGERE I TUOI COLLAGE
    SE SCRIVI KUI DEVI ACCETTARE IL CONFRONTO
    E PER PRIMA COSA SI ANALIZZANO LE FONTI
    DA DOVE CAZZO COPI KUESTE NOTIZIE KE NELLA RAGGUARDEVOLE PERCENTUALE DEL 90% APPAIONO DELLE RAGIONEVOLI BOIATE

  8. #178
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    In Origine Postato da GEORGE
    DA DOVE CAZZO COPI KUESTE NOTIZIE KE NELLA RAGGUARDEVOLE PERCENTUALE DEL 90% APPAIONO DELLE RAGIONEVOLI BOIATE
    Come al solito lo pensi solo tu, ma del resto sei un caso irrecuperabile

    pazienza

  9. #179
    VIENI AVANTI FASSINO!
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    In Origine Postato da yota71
    Come al solito lo pensi solo tu, ma del resto sei un caso irrecuperabile

    pazienza
    MA TI E' MAI SORTO IL DUBBIO DEL PERKE' NESSUNO SCRIVA IN KUESTO THREAD
    NEANKE TRA I COMUNISTI
    VAI A RUOTA LIBERA,MICA TI FERMI A PENSARE SE POSSA INTERESSARE A KUALKUNO
    KE TI FREGA,SEI UN CORRISPONDENTE DI GUERRA TU,E GIU' A COPIARE KILOMETRI DI NOTIZIE SULLA CUI ATTENDIBILITA' MICA TI SOFFERMI,TANTO L'HA DETTO IGOR PESCE KUINDI STIAMO TRANKUILLI

  10. #180
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    In Origine Postato da GEORGE

    NEANKE TRA I COMUNISTI
    VAI A RUOTA LIBERA,MICA TI FERMI A PENSARE SE POSSA INTERESSARE A KUALKUNO
    Ho chiesto io esplicitamente ai tempi di NON scrivere su questo 3D perche appunto è solo da leggere, invece ci sono casi eccezionali come malik e pochi altri che ci scrivono (per dire solo cantonate)

    Leggiti un pò indietro quando l'ho scritto
    e poi io io lo vedo se ha successo per gli acessi al 3D

 

 
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