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La povertà a metà dell’ottocento, era presente quasi ovunque ed era il grande problema irrisolto d’Europa. Era diffusissima e drammatica in tutto il continente, pesante, anche in Italia settentrionale.
Ma contrariamente a quanto banalmente si dice di Napoli ed il Sud, la povertà, prima dell’arrivo dei “liberatori savoiardi”, era in percentuale accettabile, quasi irrilevante sull’intera popolazione complessiva, decisamente inferiore rispetto al Nord, anche per le stesse condizioni di vita. I poveri al Sud erano di meno e stavano meglio dei poveri al Nord, e non solo per il clima.
Venezia, grande ed importante città, storia eccellente, aveva nel 1860 appena 123.100 abitanti e addirittura 31.800 poveri. A Napoli grande capitale, grande metropoli, su 420.000 abitanti i poveri erano circa 4.700 ed assistiti da strutture della Curia, smantellate immediatamente da Garibaldi e i suoi fratelli, al solo fine di sequestrare tutte le proprietà della Chiesa, oltre le varie strutture solidali istituite dai Borbone, compreso quelle caritatevoli e di beneficenza. Alcuni di questi dati sono tratti da alcune lettere di Pasquale Villari, storico unitario e antiborbonico dell'epoca.
Dal 1860 la povertà, compresi anche i “poveri vergognosi”, nella sola Napoli crebbe da meno di 5.000 individui assistiti dal precedente sistema borbonico, a 9400 dopo pochissimi anni, sino a 18.000 - 55.000 individui senza più un lavoro e completamente allo sbando dal 1880 al 1901. Numero destinato poi ad aumentare drammaticamente in modo esponenziale, sino alla prima guerra mondiale.
Il censimento dei poveri diventa ancora più mostruoso se si considera nello stesso tempo l'emigrazione, che cominciò per la prima volta in quegli anni e mai prima. La sola New York, anche per questo, passò da 500.000 a oltre 1.100.000 di abitanti già nel 1880.
Manlio