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Discussione: Accade in Amerika.

  1. #151
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.

    Donald Trump, la strategia antisistema del magnate per conquistare il Sud conservatore
    A Mobile, Alabama, 20mila persone sono arrivate da Mississippi, Tennessee e Texas per ascoltare l’uomo che pareva essere un semplice outsider, un incidente di percorso poco serio e molto folcloristico delle primarie repubblicane, e che invece è davanti agli altri sfidanti in tutti i sondaggi. Il suo messaggio è semplice, diretto, fatto di una dura retorica anti-immigrazione e dell’appello alla rinascita di un’America che non c’è più
    di Roberto Festa
    E’ stato l’evento sinora più importante della campagna di Donald Trump, quello che ha definito una volta per tutte il carattere antipolitico e antisistema della sua candidatura. I sostenitori del magnate newyorkese sono arrivati a Mobile, Alabama, sin dall’alba. Gente di questo Stato del Sud, saldamente repubblicano, ma anche del Mississippi, del Tennessee, del Texas, accorsi ad ascoltare l’uomo che pareva essere un semplice outsider, un incidente di percorso poco serio e molto folcloristico delle primarie repubblicane, e che invece è davanti agli altri sfidanti in tutti i sondaggi. “Incredibile! Incredibile! E’ davvero fantastico!” ha esclamato Trump davanti ai 20mila stipati nello stadio del football di Mobile.
    “Vorrei che le elezioni fossero domani. Non voglio aspettare”, ha detto Trump, in uno dei momenti più significativi della sua apparizione, durata circa un’ora. In effetti, nonostante polemiche, attacchi, battute sessiste e apertamente razziste, Trump continua a essere il candidato preferito dei probabili votanti repubblicani. Un recente sondaggio in New Hampshire, il secondo Stato che voterà il prossimo febbraio, mostra Trump al 18% delle preferenze, con Jeb Bush al 13%. Persino in Florida, dove Bush è stato governatore e che elegge al Senato Marco Rubio, altro candidato alle primarie, Trump appare saldamente in vantaggio.
    L’evento dell’Alabama è stato importante perché ha precisato alcune cose importanti della strategia di Trump. Anzitutto, la scarsissima considerazione, anzi, l’aperto disprezzo, con cui Trump accoglie le critiche di chi lo considera un candidato impresentabile, un “pagliaccio” televisivo senza possibilità di entrare alla Casa Bianca. A Mobile, Trump ha esaltato proprio l’aspetto più spettacolare della sua sfida. Con il suo Boeing 757, in arrivo da New York, ha sorvolato lo stadio, accolto dall’entusiasmo dei fans. Dopo qualche minuto era sul palco, sull’onda dalle note di “Sweet Home Alabama” dei Lynyrd Skynyrd, mescolando battute – “Sono caldi come pistole”, ha detto a un certo punto, alludendo ai cappellini/gadget della sua campagna – alle espressioni di arroganza un po’ smargiassa che gli sono frequenti. “Sono indietro ovunque, non mi sembra un gran risultato”, ha detto a un certo punto, irridendo gli sfidanti repubblicani.
    Il comizio di Mobile – che avrebbe dovuto tenersi al Civic Center della cittadina ma che è stato spostato in uno stadio vista la partecipazione di folla – ha però anche precisato la strategia “sudista” del candidato. Trump è nato e cresciuto a New York. Qui ha costruito la sua fortuna di costruttore e imprenditore, qui è diventato una stella del jet-set e della televisione. La sua fisionomia da miliardario della costa orientale rischia di essere un po’ ostica, estranea alla cultura e ai gusti delle folle religiose e conservatrici del Sud. Proprio su questo aspetto ha del resto insistito l’avversario più temibile di Trump, Jeb Bush, che in coincidenza del comizio di Mobile ha fatto partire migliaia di mail, dirette proprio ai repubblicani del Sud, in cui si dice che “Trump non c’entra nulla con il modo di vita dell’Alabama”.
    Il mogul newyorkese è invece convinto di poter fare bene, e molto, nel Sud (la prossima settimana la sua campagna farà tappa a Nashville e Greenville, South Carolina). Il Sud è d’altra parte diventato essenziale, nella battaglia delle primarie, con lo spostamento in avanti del calendario del voto di molti Stati – il 1 marzo, oltre che in Alabama, si voterà in Arkansas, Georgia, Tennessee, Texas e Virginia. Allo zoccolo duro degli Stati “rossi”, Trump offre un messaggio semplice, diretto, fatto di una dura retorica anti-immigrazione e dell’appello alla rinascita di un’America che non c’è più. “Costruiremo un muro con il Messico”, ha urlato di fronte alla folla entusiasta, precisando che le spese del muro “le dovrà sostenere il governo messicano”. “Non ci hanno lasciato più nulla, dobbiamo tornare a costruire un’America grande e prospera”, ha detto in un altro dei passaggi più applauditi del discorso.
    In questo, a Mobile, Trump ha davvero reso esplicito il carattere radicalmente anti-sistema del suo messaggio. “Abbiamo dei politici che non sanno cosa fare – ha spiegato -. Sono tutte parole, niente azione. Lo stato in cui hanno ridotto l’America è una cosa da disgraziati”. Il giudizio supera le divisioni di partito, i distinguo tra democratici e repubblicani, le divisioni ideologiche. Tutta la Washington politica, è stato il messaggio di Trump in Alabama, è colpevole per quanto sta avvenendo in America. Oltre le appartenenze di partito, scavalcando i corpi intermedi che lui giudica inetti”, Trump si propone come l’uomo del destino in grado di risollevare le sorti del Paese. Significativo, a questo proposito, il tweet che Trump ha fatto partire da New York, prima di salire sul Boeing che l’avrebbe portato a Mobile. “Sarà una notte pazza, in Alabama. Finalmente, la maggioranza silenziosa è tornata”.
    Donald Trump, la strategia antisistema del magnate per conquistare il Sud conservatore - Il Fatto Quotidiano


    Visto dagli Usa, Trump può farcela
    È ricco, ama ostentarlo, però sa mettersi in sintonia con l'americano medio. Specialmente con quello stanco del "politicamente corretto"
    Paolo Guzzanti
    Sconcerto, paura, speranza: Donald Trump anche questa settimana ha ridotto in briciole i concorrenti repubblicani conservatori, lui che conservatore non è mai stato. «Come mai i suoi figli sono riusciti così bene e hanno imparato a fare profitto da soli?», gli chiedeva ieri sera una giornalista di Fox News. La risposta: «Perché li ho tenuti sempre lontani da droga e alcol, hanno sempre avuto le idee chiare e la testa lucida».
    Trump deve superare in tutte le interviste la questione del suo presunto antifemminismo e del suo razzismo. Ha chiamato alcune donne «grasso maiale» o «animale schifoso». Ha detto che i clandestini messicani sono degli stupratori e che lui costruirà il muro del Messico sulla frontiera e chiuderà così la questione degli immigrati illegali. Risponde con calma: «Io ho trattato male alcune donne specifiche. Quelle, e non tutte le donne». Tutto ciò piace. Piace molto alle donne. Un sondaggio mostra che le donne colte apprezzano Trump anche se vengono dalla sinistra, perché non ne possono più delle regole del politicamente corretto. Trump ha ripetuto: «Io non ho tempo da perdere col politicamente corretto. E neanche gli Stati Uniti hanno tempo da perdere con queste sciocchezze». Lo accusano di non avere una cultura di governo: «Un uomo di governo, un presidente, non deve sapere tutto. Deve sapere assumere le persone che sanno le cose».
    Donald Trump, come lo Zio Paperone di Walt Disney – Uncle Scrooge – è di origine scozzese perché suo nonno era scozzese, suo padre ha costruito quasi la metà del Borough di Queens a New York. Questo riferimento disneyano-scozzese non è casuale: per anni nell'androne dorato del suo grattacielo sulla Fifth Avenue – la Trump Tower – era istallata una enorme statua policroma di Uncle Scrooge (Zio Paperone) nella versione disegnata dal geniale Carl Barks. Anche Uncle Scrooge veniva dalla Scozia e mise in cornice la prima moneta di nichel guadagnata sul suolo americano. Gli scozzesi sono celtici e dunque non Wasp, ma sono protestanti. Che ne dice Trump dei rapporti fra cattolici e protestanti? Dice che lui protestante è e lo resta, ma che riconosce a Papa Francesco una leadership mondiale. Dunque, a prescindere dalle singole idee, rispetto per il Papa di Roma. La settimana scorsa è fuggito in Scozia dove sta allestendo una serie di campi da golf ed ha affrontato l'aspro accento dei suoi avi che esprimeva una certa paesana diffidenza. «No - ha detto - non sto diventando papista, ma devo avere a che fare anche con i papisti americani».
    I sondaggi lo danno in crescita ovunque, specialmente fra chi vota per la prima volta e fra i democratici scontenti di Obama che è il re del politicamente corretto. Vuole ricostruire il primato americano nel mondo, «Make America Great Again», far tornare l'America di nuovo grande. Ma, allo stesso tempo, non è antirusso: «Obama odia Putin. Questo è male perché non si può fare la politica estera basata su un rancore personale. I rapporti con la Russia vanno studiati accuratamente e risolti senza crisi di nervi». Sull'Isis ha idee radicali: stroncare, distruggere. Nei salotti intellettuali è di moda accostare Donald Trump all'aspirante leader del Partito laburista inglese Jeremy Corbyn. Ovviamente i due non hanno molto in comune: uno è un imprenditore stramiliardario e l'altro è un vegetariano che odia il denaro e vorrebbe nazionalizzare le banche. Però i due hanno in comune un aspetto: sono due possibili leader che detestano il mondo della politica e che si presentano come anti-politica.
    Anche negli Stati Uniti il successo – per ora – di Donald Trump sembra legato alla crescente insofferenza verso la politica e verso la burocrazia. Qui si dice «Quelli di Washington» come da noi Roma ladrona. I politici in carica vestono dei completi grigi o blu – i suits , comuni anche ai poliziotti e ai funzionari delle tasse – e la gente non ne vuole più sapere di suits.
    Trump non è un conservatore, ma nemmeno un rivoluzionario. È convinto che sia sufficiente parlare come si mangia e fare quel che c'è da fare senza tanti contorcimenti. Quando gli dicono che l'idea di costruire un muro lungo la frontiera messicana è pazzesca, lui risponde «Sarà pazzesca ma io il muro lo faccio».
    Visto dagli Usa, Trump può farcela - IlGiornale.it

    Trump trova un altro bersaglio: "Zuckerberg assuma americani"
    Il pirotecnico candidato repubblicano accusa la Silicon Valley (e il suo rivale Rubio) di favorire gli stranieri per pagarli meno
    Valeria Robecco
    New York - La Silicon Valley finisce nel mirino di Donald Trump: vittima del consueto affondo quotidiano del candidato alle primarie repubblicane questa volta è il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, per le sue posizioni inclusive in materia di lavoratori immigrati.
    Il miliardario newyorkese attacca senza mezzi termini il guru dei social network, reo, a suo avviso, di voler concedere visti lavorativi agli stranieri che aspirano ad occupare una posizione nella Silicon Valley, penalizzando gli americani ed in particolare le donne ed i giovani. Zuckerberg chiede infatti una politica più aperta sull'immigrazione, e in particolare vuole più visti H-1B a disposizione dei big dell'hi-tech. L'esatto contrario di quanto assicura di fare Trump una volta che sarà eletto presidente.
    Il piano anti-immigrati clandestini del magnate prestato alla politica prevede che le aziende che hanno dipendenti con visto di lavoro H-1B paghino molto di più, così da essere incoraggiate a scegliere gli americani. Inoltre, è previsto che i posti di lavoro nel settore tecnologico siano offerti ai disoccupati a stelle e strisce prima che agli stranieri titolari di un permesso lavorativo.
    Per il candidato del Grand Old Party ci sono tanti laureati statunitensi nel settore Stem - scienza, tecnologia, ingegneria e matematica - che potrebbero essere assunti da Zuckerberg e dai suoi colleghi Big dell'hi-tech, i quali invece preferiscono gli stranieri per pagare salari più bassi. La teoria trova riscontro nei dati snocciolati da Ron Hira, docente di politiche pubbliche alla Howard University. Il professore, intervistato dalla Cnn, spiega infatti che lo stipendio dei lavoratori con visto H-1B è inferiore del 20-45 per cento rispetto agli americani. «Non dico che si dovrebbe eliminare il programma degli H-1B - afferma -. Il problema è che se ne sta abusando, ed è una fonte di manodopera a basso costo». Di tutt'altro avviso è invece Zuckerberg, il quale ha anche creato Fwd.us, un gruppo di pressione che chiede una riforma dell'immigrazione e maggiore libertà di assumere lavoratori stranieri. Sino ad ora né lui né Fwd.us hanno risposto alle accuse di Trump.
    Trump trova un altro bersaglio: "Zuckerberg assuma americani" - IlGiornale.it

  2. #152
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.

    Trump è un mix fra Salvini e Berlusconi, un bugiardo patentato, basta vedere il video che lo sputtana (per chi sa l'inglese)
    però alla fine vincerà , perchè i rivali repubblicani sono troppo mosci e da anni si fanno dettare l'agenda valoriale dai Democrats
    adesso lo criticano, arriverà il momento che si darà una regolata per conquistare anche lo zoccolo elettorale moderato e in quel momento diventeranno tutti trumpiani
    comunque in politica estera è smaccatamente filo-israeliano
    PATRIMONIALE PROGRESSIVA SU IMMOBILI, DEPOSITI, PRODOTTI FINANZIARI, RENDITE E SUCCESSIONI!

  3. #153
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.

    Se no non avrebbe potuto neppure presentarsi.
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  4. #154
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.

    E' la regola se vuoi stare al passo.

    Sono scorretti fino a un certo punto. Mai totalmente.

  5. #155
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.

    Si paga pegno alla divinità imperante.
    Il Silenzio per sua natura è perfetto , ogni discorso, per sua natura , è perfettibile .

  6. #156
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.

    Citazione Originariamente Scritto da Freezer Visualizza Messaggio
    Si paga pegno alla divinità imperante.
    Come sempre.
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  7. #157
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.

    Usa, non trascrive le nozze gay: il giudice la manda in prigione
    di Anna Guaita
    NEW YORK - Non ha fatto resistenza. Si è alzata e si è fatta condurre via dalle guardie. Kim Davis ha anzi detto "grazie" al giudice. Da ieri la segretaria della contea di Ashland, nel Kentucky, è in prigione. E ci resterà fino a quando non accetterà di obbedire alla legge. Ma lei sostiene che la fede glielo impedisce e non cederà mai: non emetterà mai licenze di matrimonio per coppie gay, neanche se il diritto al matrimonio per gli individui dello stesso sesso è stato approvato dalla massima autorità giuridica del Paese, la Corte Suprema. Kim Davis ha preferito andare in prigione pur di non avallare il matrimonio omosessuale, e ha detto che per lei si tratta di "una questione di paradiso o inferno", perché le unioni gay "vanno contro la parola di Dio".
    I GIUDICI SMENTITI
    Dallo scorso 26 giugno, quando i nove giudici supremi hanno stabilito che la Costituzione garantisce uguali diritti agli omosessuali, era sembrato che la questione del matrimonio fosse risolta. Invece ci sono stati vari funzionari comunali in Texas, Alabama e Kentucky che hanno rifiutato di emettere le licenza, citando motivi religiosi. Il caso della signora Davis è clamoroso ma è solo il primo ad arrivare a conclusione. I suoi colleghi in altri Stati potrebbero presto essere anch'essi condannati alla prigione.
    Usa, non trascrive le nozze gay: il giudice la manda in prigione

    "Ci sono mille modi di suicidarsi. Balzac scelse il caffè,
    Verlaine l'assenzio, l'Occidente la democrazia"
    Jean Cau


    Usa, Trump non usa mezzi termini: "Se vinco io via tutti i clandestini"
    In testa tra i repubblicani per la corsa elettorale, promette di annullare tutte le riforme sull'immigrazione di Obama
    Luca Romano
    Una serie di dichiarazioni una più roboante dell'altra hanno contribuito a mantenere Donald Trump in testa ai sondaggi che negli Stati Uniti monitorano il gradimento dei possibili candidati repubblicani per la corsa presidenziale.
    Il miliardario ha collezionato nelle ultime settimane una serie di frasi molto forti, soprattutto sull'immigrazione. Oggi ha rincarato la dose, chiarendo che qualora fosse eletto il suo primo atto sarebbe l'annullamento di tutti i decreti presidenziali sul tema dell'immigrazione passati dall'amministrazieone Obama.
    Sono circa undici milioni i clandestini che vivono negli Stati Uniti senza documenti regolari e per Trump c'è un'unica soluzione: cacciarli tutti. Nel frattempo chiarisce che per la sua campagna non ha intenzione di badare a spese: "Guadagno 400 milioni l'anno", ha ricordato. Ed è pronto a spendere fino a un miliardo di dollari, facendo a meno dei finanziamenti delle lobby.
    Usa, Trump non usa mezzi termini: "Se vinco io via tutti i clandestini" - IlGiornale.it

    Il voto "etnico" sulla corsa alla Casa Bianca
    di Marco Respinti
    Il calendario delle primarie per designare gli sfidanti che l’8 novembre si contenderanno la Casa Bianca è ancora provvisorio (dovrebbero iniziare il 1° febbraio in Iowa), ma il clima politico è già rovente. Lo ha dimostrato il primo confronto televisivo tra i candidati repubblicani organizzato a Cleveland, Ohio, da Fox News il 6 agosto e soprattutto lo strascico di polemiche seguito al battibecco tra il misogino Donald Trump e la giornalista Megyn Kelly. Negli Stati Uniti, infatti, Trump è l’uomo del momento. Di tutti i candidati in lizza (per ora i Repubblicani sono 17 e i Democratici 5) è il più improbabile, eppure domina i sondaggi forte di un’arma nemmeno segreta: dice apertamente tutto ciò che la gente vorrebbe sentirsi dire da un politico, ma che un politico non dirà mai. È populismo della lega più volgare, certo, ma il populismo gode di un vantaggio enorme: piace al popolo.
    Perché? Perché dice pessimamente cose verissime. Trump in realtà parla di una e di una sola cosa soltanto, come evidenzia il suo sito fatto di un’unica proposta politica, la riforma dell’immigrazione, ma questo per il momento paga. La questione dell’immigrazione è infatti anche negli Stati Uniti un problema enorme e Trump sa che finché gli altri aspiranti alla Casa Bianca nasconderanno la testa sotto la sabbia lui continuerà a volare alto. Ora, Trump sa che il Partito Repubblicano non gli consentirà mai di ottenere la nomination per le elezioni presidenziali tanto quanto gli elettori americani sanno che un candidato fanaticamente single-issue come lui non conquisterà mai la presidenza, neppure se decidesse di sbattere la porta e correre da indipendente. Ma sia Trump sia gli elettori sanno che il risultato politico di quest’azione di disturbo potrebbe essere un altro. Potrebbe infatti essere l’etnicizzazione radicale del voto politico.
    Il quadro di fondo è questo. Otto anni fa Barack Obama divenne il primo presidente meticcio della storia degli Stati Uniti portando in dote al Partito Democratico un surplus di circa 9 milioni di voti “nuovi”: sia ex astensionisti sia ragazzi che per la prima volta avevano l’età legale per votare e che lo fecero prima di avere il tempo di alimentare l’astensionismo; in entrambi i casi erano per la stragrande maggioranza non bianchi, soprattutto neri. Quattro anni dopo Obama ha rivinto le elezioni puntando soprattutto sul voto “ispanico”. Da più di un decennio il Partito Repubblicano cerca di fare i conti con la demografia e la questione razziale, conscio del fatto che se diventerà – o verrà percepito – come “il partito dei bianchi” avrà le ore contate per ragioni tanto culturali quanto demografiche. Oggi dunque il problema è più scottante che mai, anche perché s’intreccia al vespaio dell’immigrazione clandestina e ai suoi indotti: l’assistenzialismo e la criminalità.
    I Repubblicani in lizza per la Casa Bianca finora mostratisi più aperturisti sull’immigrazione, il vero nodo della questione “ispanica”, sono l’ex governatore della Florida Jeb Bush (che ha sposato una messicana naturalizzata statunitense) e Marco Rubio, senatore di quello stesso Stato. Ma il problema resta enorme. E soprattutto porta lo scompiglio in campo conservatore, tanto da iniziare a invertire la tendenza. Alcuni si chiedono, infatti, se non sia ora di smettere di corteggiare quelle minoranze etniche che tanto continueranno ad appoggiare i Democratici. Fra costoro c’è la voce di un opinionista autorevole qual è Cliff Kincaid, direttore del Centro per il giornalismo investigativo di Accuracy in Media, un watchdog che dal 1969 tiene sotto controllo e alla bisogna sbugiarda senza mezzi termini la stampa liberal. Snocciola sondaggi, Kincaid, riportando che i latinos statunitensi si definiscono Democratici per il 57%, dato aggravato dal fatto che solo il 18% di loro si dichiara Repubblicano, e aggiungendo – in base a un altro sondaggio - che, a metà del secondo mandato Obama, il 59% dell’elettorato americano di origine ispanica si è detto soddisfatto della Casa Bianca. Questo, spiega Kincaid, «dimostra che gl’ispanici sono praticamente proprietà del Partito Democratico» e che «in fondo il successo del Partito Democratico alle elezioni presidenziali dipende dal convincere i Repubblicani a continuare a rivolgere appelli senza speranza agl’ispanici, abbandonando la propria base di elettori bianchi, conservatori e cristiani». Perché, dunque, conclude Kincaid non trasformare la propria debolezza in forza e rivendicare una “identità bianca” per il Partito Repubblicano proprio come, senza scandalo, fanno i neri e i latinos mettendo la questione etnica al servizio del Partito Democratico?
    È un cortocircuito, ma se accadesse la politica americana rimodellerebbe il proprio vocabolario ideologico sulle equazioni “bianchi uguale Destra” e “neri più latinos uguale Sinistra”; equazioni che, al di là dei sondaggi, non rispecchiano la totalità dei fatti, ma soprattutto inquinerebbero gravemente la battaglia delle idee. A essere maliziosi si direbbe che Trump lo ha capito.
    Il voto "etnico" sulla corsa alla Casa Bianca

    Non so cosa voglia o non voglia Trump, ma, al contrario dell'articolista, penso che una forte "etnicizzazione" del voto portererebbe a delle conseguenze molto interessanti, e forse dirompenti, negli Stati Uniti, e di riflesso poi pure in Europa....

  8. #158
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.

    Gli impostori del 11 settembre scandalizzano New York
    Per ricevere la pensione d’invalidità, decine di persone si sono fatte passare per pompieri o ufficiali di polizia giunti in soccorso alle Torri gemelle del World Trade Center a New York, l’11 settembre 2001. Una frode che sarebbe costata ai servizi sociali americani 400 milioni di dollari.

    A New York sta suscitando un enorme clamore lo scandalo svelato dalla giustizia newyorchese e che coinvolge ufficiali di polizia del NYPD e pompieri del FDNY. Per loro e le altre persone che hanno partecipato alla truffa si trattava di simulare ogni sorta di handicap per ricevere generose pensioni d’invalidità.
    Man mano che emergono nuovi dettagli su questa gigantesca frode, che sarebbe costata ai servizi sociali americani qualcosa come 400 milioni di dollari, l’audacia dei truffatori lascia sbigottiti : le 106 persone già arrestate si sarebbero fatte passare per i primi soccorritori giunti alle Torri gemelle la mattina del 11 settembre 2001, mentre in realtà quasi nessuno di loro vi si trovava.
    Tutti loro si sono poi dichiarati “in preda alla paura”, incapaci di salire su un aereo o di entrare in un grattacielo, chiusi in casa la maggior parte del tempo. Potrebbero essere condannati sino a 15 anni di carcere. A questi primi arresti potrebbero seguirne addirittura un migliaio.
    “E’ un cinismo scioccante – ha commentato il giudice incaricato del caso, Cyrus Vance Jr. Il caso promette di essere uno dei più eclatanti della ricca storia criminale di New York. La trama di menzogne non era improvvisata, ma al contrario era stata preparata accuratamente. Il piano sarebbe stato ideato da un ex agente del FBI e giurista di Long Island, Raymond Lavallée, 83 anni, che con l’aiuto di tre complici si sarebbe poi messo alla ricerca delle “comparse”. Le persone ingaggiate erano state preparate per affrontare medici e assistenti sociali, integrando i dettagli di traumi immaginari.
    Per tutti i partecipanti alla truffa, inclusi i quattro ideatori, l’indennità ricevuta annualmente andava dai 30’000 ai 50’000 dollari. Diversi di loro esercitavano in parallelo attività professionali, mentre avevano dichiarato ai medici di essere totalmente incapaci di lavorare.
    Per una simile truffa era ovviamente necessaria una discrezione totale, ma poi su Facebook avevano iniziato ad apparire foto di vacanze al mare, battute di pesca, auto di grossa cilindrata, voli in elicottero e indiavolate partite di basket.
    Glenn Liebermann, un ex poliziotto di Brook*lyn, in questo modo si esibiva alla guida di uno scooter d’acqua, felice e abbronzato, facendo gestacci al fotografo. La foto è stata ripresa in prima pagina dal New York Post con la scritta “beccato!”. Liebermann, che aveva ricevuto 175’000 dollari invocando “disordini mentali”, oggi vive a Palm Beach (Florida), dopo aver lasciato la polizia nel 2006.
    Gli impostori del 11 settembre scandalizzano New York - Ticinolive

    Non c'è che dire, quando si tratta di trarre profitto dalle disgrazie gli americani sono sempre in prima posizione.
    Il lupo perde il pelo ma non il vizio.

  9. #159
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    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  10. #160
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.

    Coca-Cola finanzia occultamente gli scienziati
    Per vender un maggior numero di bibite, il colosso ha pagato alcuni scienziati per far dire loro che obesità e diabete dipendono più dalla sedentarietà che da una scorretta alimentazione
    Andrea Riva
    Coca-Cola nei guai a causa del New York Times. Il giornale americano, infatti, ha scoperto che l'azienda che produce la bibita, ha sostenuto economicamente alcuni importanti scienzati per diffondere notizie che potessero migliorare l'immagine della Coca-Cola.
    Gli scienzati avrebbero fatto circolare l'idea, supportata da dati falsi, che per combattere obesità e diabete bisogna fare attenzione più all'attività fisica che al cibo e alle bevande che si assumono. Ovvio che una "dieta" simile non può che giovare alla bevanda zuccherata per eccellenza: la Coca-Cola.
    L'azienda di Atlanta avrebbe pagato 1,5 milioni di dollari il Global Energy Balance Network, un’organizzazione no-profit (molto popolare negli Stati Uniti) per far sì che il suo vice-presidente, Steven N. Blair, girasse un video in cui invitava gli americani a concentrarsi solamente sull'attività fisica e non sull'alimentazione. Poi, The Coca Cola Company, avrebbe speso 4 milioni di dollari per sostenere progetti del Global Energy Balance Network.
    Coca-Cola finanzia occultamente gli scienziati - IlGiornale.it

    Viva il modello americano! O forse no, questi dati dimostrano un’altra verità
    Confesso: sono stato, in gioventù, un grande ammiratore degli Stati Uniti. Poi, da inviato speciale, ho iniziato a girare questo grande Paese in lungo e in largo ma non nelle solite, note grandi città – New York, San Francisco, Boston, Washington – bensì nell’America profonda, quella, noiosissima, mai battuta dai turisti e dove i giornalisti si recano solo se costretti dai loro direttori. Un paio di anni fa con la mia famiglia abbiamo trascorso le vacanze negli Usa; lasciammo la Grande Mela per addentrarci nello Stato di New York, su verso Albany e Catskills Mountains, sedotti dalla descrizione, letta sulle guide turistiche, dei tipici, deliziosi villaggi, simbolo di una vecchia America.
    Bastarono poche decine di chilometri per restare sconcertati: i villaggi erano davvero vecchi ma tutt’altro che deliziosi. Erano angoscianti, costellati di case derelitte e talvolta piegate su sé stesse; viaggiavamo su strade piene di buche da cui spuntavano erbacce che nessuno strappava più da tempo e intorno a noi vedevamo solo povera gente. I più fortunati vivevano in baracche di legno, gli altri vagavano trascinando i propri cenci nei carrelli della spesa.
    Scoprimmo, allora, l’altro volto dell’America, quello che i turisti non vedono mai sulla Fifth Avenue o nel centro di San Francisco ed è un’America molto più numerosa di quanto si immagini, isolata, ignorata da tutti, abbandonata a se stessa.
    Capii allora che erano veritiere le denunce di un commentatore molto coraggioso l’economista Paul Craig Roberts; non uno qualunque, ma uno dei principali collaboratori del presidente Reagan, docente universitario, pluripremiato. Craig Roberts sostiene che parte dei dati concernenti gli Usa, a cominciare da quelli sulla disoccupazione, non sono attendibili, in quanto manipolati alla fonte. Per intenderci: è uno di destra, un liberale. Ma con gli occhi aperti e un’autentica passione civica al servizio del proprio Paese.
    Ora, grazie alla segnalazione di un amico, scopro uno studio di due docenti americani, Hershey H. Friedman e Sarah Hertz, intitolato: “Gli Stati Uniti sono il miglior Paese al mondo? Ripensateci”, basato su una serie di statistiche internazionali, da cui trova conferma il ritratto di un Paese in fase di evidente involuzione sociale, politica ed economica. Qualche dato: nella classifica sulla percentuale della popolazione che vive in povertà, gli Usa sono al 35 esimo posto su 153. Quella riguardante i bambini in povertà nei Paesi occidentali è ancora più disastrosa: gli Usa sono 34esimi su 35, solo la Romania fa peggio. Sono il quarto Paese al mondo con la maggior disuguaglianza reddituale, dietro a Cile, Messico e Turchia. E gli stessi americani non si sentono molto felici: sono appena al diciassettesimo posto della classifica mondiale. L’aspettativa di vita è bassa: gli Usa sono appena 42esimi, mentre battono tutti riguardo la popolazione carceraria: hanno 2,2 milioni di detenuti, molto più della Cina (1,6 milioni) che però ha una popolazione oltre 3 volte maggiore e della Russia dell’orribile Putin (600 mila). Secondo una fonte insospettabile, l’Economist, nemmeno Stalin raggiungeva queste cifre.
    Potrei continuare ma mi fermo qui. Intuisco lo sconcerto del lettore, che si chiede: ma come? Io pensavo che l’America… Già, lo pensavamo tutti, ma per valutare davvero questo Paese non ci si può limitare agli annunci ufficiali, che descrivono solo una parte della realtà, ignorando tutto quello che non collima con la verità ufficiale, con il mito che Hollywood e le tv continuano ad alimentare. Quanti film avete visto sui 45 milioni di americani in povertà? Quante denunce giornalistiche? Chi solleva questo tema nei dibattiti televisivi? La risposta è sempre la stessa: nessuno.
    Tutti pavidi e conformisti, tranne pochi commentatori coraggiosi come Paul Craig Roberts.
    That’s America. Purtroppo.
    Viva il modello americano! O forse no, questi dati dimostrano un?altra verità ? di Marcello Foa | Riscossa Cristiana


 

 
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