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Discussione: Immortale Ipazia

  1. #1
    INVICTIS VICTI VICTURI
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    Ipazia d'Alessandria,
    devota agli Dèi ed agli Avi,
    matematica, astronoma e neoplatonica.

    Articolo di Alessandra Colla: http://www.alessandracolla.net/?p=111

  2. #2
    INVICTIS VICTI VICTURI
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    Predefinito Riferimento: Immortale Ipazia

    Un testo del dramma IL LIBRO DI IPAZIA del noto poeta MARIO LUZI.

    http://archivio.piccoloteatro.org/eu...p?IDtitolo=213

    Scena I: Ipazia, la Nutrice

    IPAZIA E CIRILLO

    Scena I
    Ipazia, la Nutrice


    LA NUTRICE
    Bambina mia, un tumulto immenso agita la città.
    Da ogni dove, ribollente come lurida schiuma,
    La barba lercia e la veste a brandelli.
    Gli uomini del deserto escono dalle tane.
    Macerati da colpi di frusta, sanguinanti, sconci, bestiali,
    Colmi d'odio, si riempiono la bocca del tuo nome, figlia mia.
    Resta qui! non lasciare la casa tranquilla
    Dove le mie braccia t'hanno cullata nella tua verde stagione,
    Dove il mio prospero latte ti ha sostenuta e nutrita,
    Dove ho visto crescere, giorno per giorno, la tua infanzia fiorente,
    Dove tuo padre, anima ispirata e devota,
    Con un ultimo bacio ti ha affidata agli Dèi!

    IPAZIA
    Nutrice, calmati. Questo tuo terrore è vano:
    Nulla ho fatto per meritarmi collera e odio.
    Che colpa ho dunque commesso? La mia vita è senza rimorsi.
    I Monaci del deserto, dici, vogliono la mia morte?
    Io non li conosco, e anch'essi m'ignorano,
    E con false voci turbano il tuo cuore che mi ama.

    LA NUTRICE
    No! ho udito fin troppo bene le loro barbare grida! No,
    Io non m'inganno. Tutti maledicono il tuo nome.
    Il loro animo è furioso, e il loro volto infiammato arde d'ira.
    Ti faranno a pezzi, figlia mia adorata,
    Questi mostruosi straccioni, simili a bestie
    Immonde, da sempre profeti di sventure,
    Rosi dalle passioni e consunti dall'invidia,
    Che bestemmiano la bellezza, la luce e la vita!
    Rimani tranquilla e sicura, all'ombra del focolare.

    IPAZIA
    Sta nella mia anima il più sicuro rifugio.
    Il popolo, che tanto mi ama, mi attende sotto il portico
    Dove la mia voce lo richiama all'antica saggezza.
    Andrò, nutrice cara; e prima di sera
    Rivedrai tua figlia di ritorno dal dovere compiuto.

    LA NUTRICE
    Ti supplico, bambina, per la tua vita e la mia!



    Scena II
    Ipazia, la Nutrice, l'Accolito [1]



    L'ACCOLITO
    Donna, il vescovo Cirillo è alla tua porta.

    IPAZIA
    Che entri!



    Scena III
    Gli stessi, Cirillo



    CIRILLO
    Ho voluto parlarti e ascoltarti senza testimoni;
    Ti conviene, nel tuo stesso interesse.
    Si vantano le tue virtù; ammesso ve ne siano nelle anime
    Che Dio non illumina ancora con la fiamma del suo amore!
    Ho voluto crederci, e vengo non da nemico,
    Con animo malevolo, risoluto a nuocerti,
    Ma da padre afflitto che ammonisce la figlia
    E la vuol ricondurre al focolare domestico.
    è un dovere, non meno che un diritto; e confido
    Che tu mi parlerai in tutta sincerità.
    Ho attraversato un'epoca tempestosa e tempi funesti
    In cui il cielo non rende più manifesti i suoi segni,
    Incanutendo sotto il mio sacro fardello;
    Felice se, ormai prossimo alla meta desiderata,
    Potessi trasfondere nel tuo cuore la luce e la vita!
    Apri gli occhi, figlia mia, il Signore ti chiama.
    I tuoi dèi sono morti, il loro culto impuro è ripudiato:
    Riconosci alfine l'unica e santa verità.


    IPAZIA
    II padre ha ben valutato il rispetto che mi anima,
    E in lui io riverisco la sua missione sublime;
    Ma questo significa dimostrarmi un interesse troppo elevato,
    E un simile discorso tanto mi commuove quanto mi sorprende.
    è solo il ricordo delle idee divine
    A guidare le anime verso l'unico Ideale:
    Io non ho dimenticato Timeo e il Fedone;
    Platone non parlò forse un tempo come ha parlato poi Giovanni?
    Le parole sono di poco diverse, ma il senso è lo stesso.
    Noi professiamo entrambi la speranza suprema,
    E il Dio di Cirillo, che io, nel mio cuore, rispetto,
    Ha detto la verità, come l'Ape attica [2].

    CIRILLO
    Confondere simili nomi è bestemmia o demenza:
    Ma tanta cecita merita comprensione.
    No! il Dio che io adoro e che col suo sangue divino
    Lavò il genere umano dall'antico Peccato,
    Donna, non ha parlato come, nei secoli profani,
    I sofisti pagani distesi all'ombra dei platani;
    E se qualche chiarore ha brillato nella loro notte oscura,
    La luce immutabile splende soltanto in Lui!
    Egli è giunto; voci diverse l'hanno annunciato attraverso i tempi;
    La saggezza e l'amore hanno segnato il suo passaggio;
    Egli ha vinto la morte, e, attraverso nuovi cieli,
    Ha purificato il cuore d'un mondo gia vecchio,
    Ha spazzato via con un soffio secoli di lordure,
    Ha scacciato dai loro altari le Potenze impure,
    E col suo sacrificio ha donato per sempre
    La forza e la vita a tutte le genti!
    Parla! questo ha forse carattere di opera umana?
    Paragona al Cristo Salvatore i sapienti della terra
    E confronta la loro gloria con la sua umiltà.

    IPAZIA
    Sarebbe addossarsi un compito troppo vano e presuntuoso.
    Ogni virtù ha certo diritto al nostro rispetto,
    Ed è sempre un Dio che parla nei sapienti.
    Al Profeta ispirato io tributo ciò che gli spetta,
    Ed egli, padre, a me è sacro quanto a te;
    Ma sappi dispensare un'uguale giustizia,
    E considera meglio la differenza tra il tuo maestro e i miei.
    Sii giusto alfine. Che cosa ci rimproveri?
    Non vegliamo forse, ormai soli, sulle rovine di un tempio,
    Su sepolcri divini profanati e abbattuti?
    Sacerdoti di un cielo ormai muto, superstiti disfatti di un culto grandioso,
    Eredi smarriti di un antico tesoro,
    Senza forza, dispersi, che altro vuoi ancora?
    I tempi sono brutti, sì, ma non per la tua Chiesa,
    Padre, bensì per noi che il tuo orgoglio disprezza,
    Per noi che, pur nella nostra umiliazione, insegniamo
    Soltanto lo studio, la pace e il raccoglimento.
    Volgi gli occhi al passato; richiama alla mente
    I destini compiuti nei nostri giorni di gloria.
    I nostri Dèi non erano dunque altro che sogno? Ci hanno forse mentito?
    Guarda il mondo immortale uscito dalle loro mani,
    Questo simbolo vivente, opera armoniosa
    Segnata dal loro genio e fatta a loro immagine,
    Da venerare per sempre: essi l'hanno ideato e generato
    All'unico scopo di manifestarsi nell'ordine e nella luce!
    Come! questo passato di bellezza non sarebbe altro che sogno,
    Semplice spettro animato da spirito di menzogna,
    Errore secolare in cui noi continuiamo a cullarci?
    Eppure ne balbettate la lingua e le lezioni, voi,
    E gli stessi accenti dei tempi di Omero e Virgilio,
    Che hanno cullato me, ora li odo commentare il Vangelo!
    Ah, Cirillo! ascoltali nell'eco che giunge
    Dal passato glorioso, e capirai meglio.
    Ascolta, in riva al mare o in cima alle colline
    Risuonare i ritmi d'oro su labbra divine.
    E il marmo eloquente eternare
    Nei candidi Partenoni il nome degli artisti ispirati.
    Guarda, sotto l'azzurro illuminato da un solo secolo [3],
    Dalle isole Ionie ai flutti di Salamina,
    L'amore della patria e della libertà
    Trionfare sull'ara della divina Bellezza;
    Guarda, nell'austero ritiro dei focolari domestici,
    I grandi legislatori ordinare gli Stati,
    E i saggi cogliere con la propria grandezza lo Spirito umano,
    Aprendosi a fatica l'aspro cammino della Verità!
    Tu puoi misconoscere i nostri Dèi o vituperarli,
    Ma strappare questa pagina dal libro che essi hanno scritto,
    Affossare il nostro sole fra gli astri morti...
    Suvvia! l'impresa è disperata e ride dei tuoi sforzi!
    No! o Dèi protettori, o Dèi di mia madre l'Ellade,
    Che il vecchio Omero cantò sulla Via aurea,
    Voi che pur avendo taciuto vivete sempre,
    Io non vi rinnego, o Forze e Valori,
    Che un tempo foste degni di nobili Stirpi,
    Anzi vi riconosco dalle vostre sublimi opere!

    CIRILLO
    Sta bene! riconoscili dai frutti che hanno prodotto,
    Questi Dèmoni dell'Inferno celebrati sotto altri nomi,
    Che l'anima hanno inteso soffocare nell'immonda materia,
    Infettandola tutta con torbido veleno,
    E sotto la veste preziosa di una vana bellezza
    Hanno celato la vuota nullità dell'impudicizia.
    Quando i popoli nutriti di tali dottrine,
    Come tronchi ormai disseccati fino alle radici,
    Ancora vigorosi all'esterno, ma di dentro moribondi,
    Crollano in polvere davanti al vindice colpo dell'ascia;
    Quando Roma, prendendo il posto della Grecia ormai asservita,
    Sazia di sangue e di terribili piaceri,
    Spingendo alla menzogna, da ultimo, l'oracolo Sibillino,
    Travolta dal proprio stesso furore si lacera il petto,
    Atterrita dalle mille grida di vendetta e odio
    Di un mondo in rivolta che sta per spezzare le sue catene,
    E, affrettando il corso di un destino fatale,
    Bestemmia i suoi Dèi sordi nei suoi templi muti;
    Figlia, tendi l'orecchio, interroga la nube;
    Dimmi che ne è stato della tua antica gloria!
    O piuttosto guarda, in mezzo allo stormo dei neri corvi,
    La torcia del Barbaro che vaga fra le vostre tombe,
    E guarda il grande Cesare cristiano [4] che,
    Respingendo col piede la Baccante umiliata,
    Buttata per terra, ebbra e volgare,
    Nel cuore stesso dell'Italia
    Protegge all'ombra della Croce,
    Nello stesso tempo, e l'Impero e Bisanzio!
    Giorni del primo trionfo in cui, come un vessillo,
    Il santo Labaro garrì nella luce!
    Poi, quando una spessa ombra pare offuscare il cielo
    E sembra doversi ancora bere fino in fondo l'amaro calice,
    Guarda Giuliano, scambiando la porpora per un sudario,
    Richiamare in vita per un istante i suoi Dèi nel loro sacello,
    Dileggiare il Cristo salvatore, e, dissennatamente,
    Respingere l'avvenire immergendosi nel passato,
    Offrire un ignobile incenso agli idoli infami,
    Oro all'apostasia e insidie alle anime,
    Ma ben presto, convinto del suo crimine fallito,
    Gridare: - Galileo! muoio e sono vinto! -
    E ora guarda, in mezzo alla tormenta,
    L'umanità in balia del mare burrascoso;
    Mostrami in quale letto abbastanza profondo
    Rinchiudere questo torrente che oggi straripa
    E che, di giorno in giorno inesorabilmente più impetuoso,
    Per trovare l'equilibrio vorra sconvolgere il suo corso:
    Immane ribollire di passioni, d'interessi,
    Di avida cupidigia e di torbidi risentimenti;
    Genti in declino annaspanti in mezzo al naufragio,
    E giovani nazioni affioranti dalla tempesta,
    Prive di forza le une, le altre di freno,
    Che si gettano allo sbaraglio come diluvio umano.
    Come potrai tu arrestare questa fiumana irresistibile?
    Dove pensi di porre un limite alla loro terribile corsa?
    E li condurrai tu, attraverso sentieri privilegiati,
    Dal giardino di Platone alle soglie di Eleusi?
    Figlia mia, un nuovo letto si apre sotto l'impeto dell'onda,
    Un nuovo giorno si leva all'orizzonte del mondo,
    E il sangue del mio Dio cementa fra di noi
    Il solo tempio abbastanza grande per contenerci tutti.
    La, in un medesimo slancio di speranze comuni,
    L'uomo mediterà su più elevati destini:
    La pace, la libertà, il paradiso da conquistare
    Renderanno vita e morte un santo dovere,
    E traboccando di gioia infinita i secoli vedranno
    La famiglia terrestre riunirsi al suo Dio!

    IPAZIA
    Suvvia! non misurare la tua forza dalle nostre sventure:
    So a quale disastro sta per assistere l'universo.
    Il nobile Giuliano, non reggendo all'affanno,
    M'insegnò a riconoscere vana la sua speranza;
    Quel che Cesare tentò, io non l'ho certo sognato.
    Questo mondo è insorto contro i suoi Dèi traditi;
    Il presente, l'avvenire, la potenza e la vita
    Appartengono a voi, lo so; noi, la morte ci chiama.
    Ma perché accanirvi con tanta furia?
    Perché oltraggiarci perfino nei nostri sepolcri?
    Che temete dai morti, voi le cui mani pure
    Si alzano al cielo vergini delle nostre impurità,
    Voi che soli, come dite, siete predestinati
    A portare la saggezza ai popoli che ora vengono alla luce?
    Invece di insultarci, cercate
    Di mondare i vostri cuori dalla crudele discordia,
    E se davvero è un Dio a guidarvi, siate indulgenti,
    Clementi e fraterni, e siate migliori di noi.
    Guarda! tutto quanto l'Impero è pieno delle vostre risse.
    Quale giorno non vede spuntare qualche nuova setta,
    Da quando Costantino, son passati ormai cento anni,
    Radunò a Nicea i vostri Padri trionfanti
    Che costrinsero il mondo ad abbracciare la fede di Atanasio
    Per meglio rafforzare le fondamenta del nuovo tempio?
    Sforzi vani! giacché l'ardore delle vostre contese
    Non ha cessato di turbare il cuore delle genti.
    Che la porpora proscriva o nasconda l'eresia,
    Portando nelle vostre dispute la stessa furia,
    Spinti all'odio dalla controversia,
    Nel nome del medesimo Dio tutti voi vi maledite!
    Dove sono la pace, l'amore, che insegnano le vostre chiese?
    Sono dunque questi i precetti promessi all'universo?
    E tu vorresti che io, infedele al culto degli avi,
    Ciecamente scambi le vostre passioni con gli Dèi?
    Cirillo, ascoltami. Domani, fra mille anni,
    Fra venti secoli - che importa al corso del fato! -
    L'uomo che voi soffocate si rialzerà, alfine:
    Il tempo vi farà crescere e il tempo vi annienterà:
    E, come ogni cosa umana e peritura,
    La vostra opera scivolerà nell'Ombra da cui nulla ritorna!

    CIRILLO
    Che ne sai tu? Da dove ti viene questa presunzione,
    L'audacia di spingere sino al cielo la tua maledizione?
    Come? la Chiesa che Dio ha fondato per la sua gloria,
    Ancora tutta inzuppata dal sangue dei suoi santi martiri,
    Simile a un faro che irradia la sua luce sul naufragio umano,
    Dovrebbe crollare domani stesso se tu non l'approvassi!
    Tu osi sfidare sino a questo punto la Giustizia eterna!
    Trema, e spera che essa non prorompa e ti annienti...
    Ma io voglio dimenticare! E Dio, che parla attraverso la mia voce,
    Si degna di avvertirti un'ultima volta.
    Donna! se noi offriamo ai nostri fratelli lo spettacolo
    Della barca dell'apostolo in preda a venti contrari,
    Che a malapena riesce ad approdare, e, come nei primi giorni,
    Sballottata in alto mare per lottarvi sempre;
    Se la vittoria stessa ha prodotto un male peggiore
    Attraverso il contagio dei vizi dell'Impero;
    Se infine l'eresia, menzogna sempre nuova,
    Macchia il nostro trionfo dividendoci,
    E, seme di rancore oltre che di rovina,
    Affida al capriccio degli uomini il Verbo divino;
    Se troppa passione ci spinge a troppa libertà,
    Bada a non rallegrartene nella tua malevolenza:
    Le nostre passioni, almeno, sono di ordine sublime!
    Dentro di noi combattiamo gli Spiriti dell'abisso,
    E vogliamo forgiare con mani infuocate
    La serena unità delle nostre anime in Dio!
    Che un intero secolo sia trascorso in mezzo alla tempesta quale importanza ha,
    Se l'arca del rifugio rimane intatta e continua a navigare,
    Se, durante la tempesta, un vento furioso
    Si leva verso il porto divino e vi ci conduce meglio!
    Come Pietro, un tempo, che si spaventa e vacilla,
    Su flutti agitati il Signore ci chiama;
    Ma, se nella sua clemenza egli ci prende sotto la sua protezione,
    Dove ha camminato l'apostolo cammineremo anche noi;
    E questo santo miracolo, quando la fede lo contempla,
    è immagine ed esempio del trionfo promesso.
    Ascoltaci, apri gli occhi, figlia mia, e segui i nostri passi.
    Solo il vuoto si apre a chi non spera!
    Dormirvi per sempre, è questo il tuo desiderio?
    Adori dunque i morti? Hai forse paura della vita?
    I tuoi dèi sono in polvere ai piedi di Cristo vincitore!

    IPAZIA
    Non crederlo, Cirillo! Essi vivono nel mio cuore.
    Non come li vedi tu, immagini rivestite di forme vane,
    Soggiacenti, anche in Cielo, alle umane passioni,
    Adorati dal volgo e degni di disprezzo;
    Ma così come li hanno visti spiriti sublimi:
    Senza dimora nello spazio stellato,
    Forze dell'universo, valori in noi viventi,
    Connubio armonioso di cielo e terra
    Che affascina il pensiero e l'udito e la vista,
    Ideale accessibile solo ai sapienti, che dona
    Splendore visibile alla bellezza dell'anima.
    Così sono i miei Dèi! Anche se un'epoca ingrata si ritrae da loro,
    Non posso tradirli soltanto perché caduti in disgrazia.
    Lo sento, lo so: ecco le ore cupe,
    I giorni segnati nell'ordine imperioso dei Numeri.
    Cieco alla nostra gloria e prodigo di affronti,
    Il tempo ingiurioso ci strappa la corona;
    E, nell'orgoglio recente della sua alta fortuna,
    L'Avvenire non ascolta più la voce che lo disturba.
    O Re armoniosi, guide dello Spirito umano,
    Voi che reggevate la lira e la bilancia,
    è venuto, Colui che i vostri presagi annunciavano,
    Colui che già appariva nelle visioni dei sapienti,
    L'Espiatore promesso di cui ha parlato Eschilo!
    All'uscita del sepolcro, macchiato di sangue,
    Carico del legno del suo supplizio, egli si leva;
    All'universo offre la sua croce o la spada,
    Vendica il Barbaro respinto dalle are
    E cosparge di fedeli immortali il vostro spazio sacro!
    Ma io difenderò da sconce e rozze offese,
    Fino al mio ultimo respiro, le vostre sante ceneri,
    Felice se, aleggiando sui giorni che verranno,
    La vostra immortalità custodirà il mio ricordo.
    Salve, o Re d'Ellade! - Addio, nobile Cirillo!

    CIRILLO
    Abiura i tuoi errori, figlia sciagurata,
    Il Dio geloso ti ascolta! O infausto accecamento!
    Al tempo stesso m'indigno e ne piango.
    Ma poiché non vuoi né credere né comprendere
    E rifiuti la mano che venivo a tenderti,
    Poiché il tuo cuore s'indurisce in malevola ostinazione,
    Ne ho abbastanza! ho fatto più di quanto avrei dovuto.
    Un'ultima parola ancora: - non infrangere la mia difesa;
    Ti resta un'ombra di salvezza: - il silenzio.
    Dio solo ti giudicherà, se non l'ha già fatto;
    La sua collera è su di te; non affrettarne l'effetto.

    IPAZIA
    Non posso dimenticare, in un silenzio vile,
    La cura del mio onore e la mia suprema missione,
    Quella di professare liberamente sotto il cielo
    Il bello, il vero, il bene, che gli Dèi hanno rivelato.
    Già da due giorni, come lurida schiuma,
    I monaci del deserto brulicano in città,
    I piedi nudi, la barba incolta, i capelli lerci,
    Scheletriti dal digiuno, e bruciati dal sole.
    Si dice che un disegno sinistro e fanatico
    Conduca in mezzo a noi quest'orda allucinata.
    Sta bene. Io so morire, e sono fiera della scelta
    Di cui mi onorano gli Dèi per un'ultima volta.
    Comunque, rendo grazie alla tua premura:
    Ora, non m'aspetto altro da te che un pò di solitudine.

    (Cirillo e l'accolito escono)


    Scena IV
    Ipazia, la Nutrice



    LA NUTRICE
    Bambina mia, lo vedi, tu stessa l'ammetti:
    Ti accingi a morire!

    IPAZIA
    Mi accingo a divenire immortale. Addio!



    Note

    [1] Propriamente, chi ha ricevuto l’accolitato, cioè il quarto e il più elevato degli ordini sacri minori, che conferisce al chierico il compito di assistere il sacerdote o il diacono nelle funzioni liturgiche. In senso più esteso, indica l’assistente di un sacerdote o di un diacono nelle funzioni liturgiche.

    [2] «Ape attica»: vedi nota al v. 36 del poemetto Ipazia.

    [3] «Il solo secolo» cui ci si riferisce qui è quasi sicuramente il IV secolo prima della nostra era: momento storico particolarmente significativo per la Grecia (e, di conseguenza, per la civiltà occidentale che ne avrebbe assimilato i portati culturali), esso vide un’intensa fioritura in ogni campo dell’attività umana, dalle arti alle lettere, dalla speculazione filosofica all’economia, in un’esaltazione di valori spirituali quale difficilmente sì verificherà in epoche posteriori. In questo periodo si collocano, a esempio, le orazioni di Demostene; l’intera parabola di Alessandro il Grande; l’Anabasi di Senofonte e le Storie di Eforo e Teopompo; l’Afrodite di Cnido scolpita da Prassitele; il processo e la morte di Socrate; la fondazione del Giardino a opera di Epicuro, e la vita e le opere di Platone e Aristotele.

    [4] Allusione a Costantino, il primo imperatore romano che prese a cuore le sorti dell’ormai affermata, ma ancora clandestina, religione cristiana, tanto da concedere ai suoi adepti, con l’editto di Milano del 313, libertà di culto. è forse a tale editto che si fa riferimento.

  3. #3
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    Un saluto pagano al buon Atlantideo,ben tornato nel forum e grazie per aver rinnovato la memoria di questa grande Europea.

  4. #4
    INVICTIS VICTI VICTURI
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    Predefinito Riferimento: Immortale Ipazia



    "Quando ti vedo mi prostro davanti a te e alle tue parole,
    vedendo la casa astrale della Vergine,
    infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto
    Ipazia sacra, bellezza delle parole,
    astro incontaminato della sapiente cultura."


    ( Pallada, Antologia Palatina, IX, 400 )

  5. #5
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    "Talvolta si vorrebbe essere cannibali, non tanto per il piacere di divorare il tale o il talaltro, quanto per quello di vomitarlo."

  6. #6
    INVICTIS VICTI VICTURI
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    Predefinito Rif: Immortale Ipazia

    Citazione Originariamente Scritto da Atlantideo Visualizza Messaggio


    Ipazia d'Alessandria,
    devota agli Dèi ed agli Avi,
    matematica, astronoma e neoplatonica.
    Oggi, 8 marzo vorrei ricordare una vera Donna e nostra Sorella.

    PAX DEORUM!

    Atlantideo

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    Predefinito Rif: Immortale Ipazia

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  8. #8
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    Predefinito Rif: Immortale Ipazia

    L'uscita del film "Agorà" è per domani.

    Ma ho sentito commenti e presentazioni in TV: la figura di Ipazia è illustrata come la" rivincita" del laicismo sull'oscurantismo religioso, veicolando un'interpretazione modernista a qualcosa che fu di tutt'altra natura. L'idea non mi attira affatto. Temo una strumentalizzazione di sapore scontato ad uso delle folle di bocca più che buona.
    "Così penseremo di questo mondo fluttuante: una stella all'alba; una bolla in un flusso; la luce di un lampo in una nube d'estate; una lampada tremula, un fantasma ed un sogno:"
    (Sutra di diamante)

  9. #9
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    Predefinito Rif: Immortale Ipazia

    Citazione Originariamente Scritto da primahyadum Visualizza Messaggio
    L'uscita del film "Agorà" è per domani.

    Ma ho sentito commenti e presentazioni in TV: la figura di Ipazia è illustrata come la" rivincita" del laicismo sull'oscurantismo religioso, veicolando un'interpretazione modernista a qualcosa che fu di tutt'altra natura. L'idea non mi attira affatto. Temo una strumentalizzazione di sapore scontato ad uso delle folle di bocca più che buona.
    Ho letto un articolo della bellissima Concità sull'unità di oggi ed effettivamente la strumentalizzazione nel senso da lei segnalato è palese...in ogni caso qualsiasi cosa cerchi di sgomberare il campo mentale da quell'impostura allogena è da incoraggiare e da promuovere. Senza un collasso completo di questo pachiderma stanco e derelitto non potrà esserci una nuova alba,possibilmente in minigonna.

  10. #10
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    Predefinito Rif: Immortale Ipazia

    Morto il pachiderma, morto quel resta.

 

 
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