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Discussione: Padania intraprendente

  1. #31
    Lumbard
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Citazione Originariamente Scritto da Scarpon Visualizza Messaggio
    Se ci credi, non mi do' pace, è collaborazionismo "costretto".
    vero

  2. #32
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Effetto crisi: l'economia lombarda frena
    Michelangelo Bonessa
    Altro che ripresa. Gli indici della produzione sono ancora molto bassi, secondo l'ultimo rapporto di Unioncamere, anche se il settore manifatturiero segna un lieve incremento rispetto agli scorsi tre mesi.
    «Purtroppo – ha esordito Francesco Bettoni, presidente di Unioncamere - siamo ancora in una fase di stabilizzazione, inoltre in base agli scenari economici della Lombardia, curati per noi da Prometeia, per il 2013 si stima una caduta del Pil regionale del 1,2%». E si tratta anche di una previsione più ottimistica di quella elaborata a luglio.
    I dati relativi a industria e artigianato lombardi spingono così gli addetti ai lavori a altre revisioni delle analisi precedenti: «Mi aspettavo qualcosa in più, – ha ammesso Pietro Ferri, docente di Economia Politica dell'Università di Bergamo, –probabilmente nello scorso trimestre ho alzato troppo la cresta dicendo che eravamo vicini all'inversione di tendenza: penso che la crescita registrata in quel periodo fosse conseguenza della fine del primo trimestre che è stato veramente terribile».
    C'è però qualche debole segnale di miglioramento come spiega il docente: «Per la prima volta dall'inizio della crisi le imprese che vanno bene, cioè con una crescita almeno del 5%, sono più di quelle che vanno molto male, inoltre – ha sottolineato – nei rapporti precedenti vedevamo come le piccole e medie imprese soffrissero più delle grandi, invece adesso il dato si è livellato e questo spiega anche il +0,3% dell'artigianato».
    E non è mancata una nota sulla politica di austerità del governo: «Queste scelte stanno spingendo le risorse interne verso il canale estero,– ha concluso Ferri, sta obbligando il sistema italiano a spostare le energie sulla domanda estera, ormai oltre il 40% del fatturato delle imprese lombarde proviene dal commercio con l'estero».
    Effetto crisi: l'economia lombarda frena - IlGiornale.it

    I 250 mila visitatori sedotti dalla Torino capitale dell’arte
    Soddisfatta la direttrice Sarah Cosulich Canarutto: “stesse atmosfere delle altre grandi fiere”.
    LETIZIA TORTELLO
    Duecentocinquantamila. Torino «contemporanea» non ha deluso le aspettative. Nel weekend dell’arte da giovedì a ieri, tra Artissima e la galassia di manifestazioni collaterali, fiere, musei, fondazioni e gallerie sparse per la città hanno radunato 250 mila visitatori in tutto. Ma i conti al botteghino non rendono l’idea. Sono solo il risvolto in cifre delle code e del via vai culturale di gente, che a tutte le ore del giorno e della notte ha fatto i tour de force da una manifestazione all’altra.
    Punti di forza
    A partire dall’appuntamento all’Oval, che ovviamente l’ha fatta da padrone non solo con la conferma dei 50 mila ingressi, per passare ai musei di Rivoli, Gam, Fondazione Sandretto, Merz, Palazzo Cavour, fino alle iniziative satellite all’ex Moi, con Paratissima, alle ex Carceri Le Nuove, con The Others, al Lingotto con la fiera dell’artigianato-design Artò, e ancora la new entry dell’antiquariato Flashback alla Promotrice, Photissima alla Manifattura Tabacchi, il terzetto riuscitissimo di Club to Club, il festival elettronico nomade tra Sandretto, Ogr e Teatro Carignano. Chi più ne ha più ne metta. I livelli e i pubblici erano diversi, ma di sicuro c’è che una così grande affluenza di torinesi e stranieri «venuti da lontanissimo, grazie a un progetto forte e un sistema museale che fa rete» - precisa la direttrice di Artissima, Sarah Cosulich Canarutto - nessuno se la aspettava. Il dettaglio premia un po’ tutti: 2000 biglietti staccati tra Merz e Sandretto, 1200 alla Gam (ma solo Renoir ne ha venduti 9.500), lo stesso per Palazzo Cavour, mentre alle Nuove sono entrati in 10 mila, 11 mila al Valentino, ben 120 mila nel grande tempio di Paratissima. E 35 mila, la sera, per i dj del festival di musica.
    Se la macchina degli eventi dell’arte di novembre è ormai rodata, Artissima spicca per attrattività. Seduce i turisti, italiani e stranieri. Cosulich tira le somme: «La qualità della fiera era alta, continua a migliorare. Le gallerie hanno fatto uno sforzo incredibile, i 70 curatori a Torino sono stati un punto di richiamo internazionale, tutti hanno capito al meglio il nostro progetto, a Back to the Future si respirava storia dell’arte», spiega. «Il commento di cui vado più fiera? - chiede la direttrice - quello di un gallerista. Mi ha detto che c’è la stessa atmosfera di Frieze di Londra, nei primi tempi». Complimento dei più ambiti.
    La Stampa - I 250 mila visitatori sedotti dalla Torino capitale dell?arte

    Venezia, il nuovo salone della cultura
    Dal 22 al 24 novembre al Terminal San Basilio, un ricco programma di eventi, spettacoli e convegni
    VENEZIA - «Cultura e manifattura» è il tema scelto per il Salone europeo della Cultura di Venezia, che tornerà dal 22 al 24 novembre al Terminal San Basilio. L'iniziativa (50 appuntamenti, 100 espositori, 150 relatori) è stata presentata al Palazzo Grandi Stazioni. «Il tema - ha spiegato il direttore del Salone, Filiberto Zovico - è una provocazione culturale, che intende mettere al centro quella che è stata definita la grande ricchezza culturale di questo Paese: la capacità, attraverso il fare, di produrre innovazione, creatività e cultura.
    E, nel ricco programma, due eventi in particolare aiuteranno a capire cosa intendiamo: la presentazione del progetto «Origin passion and beliefs» e una sorta di "spettacolo" di tre giorni, realizzato grazie al rapporto con Dws di Zanè, in cui i giovani studenti del politecnico di Torino disegneranno al computer gioielli che saranno stampati in diretta con le stampanti 3D della ditta vicentina, per poi essere rifiniti da un maestro artigiano orafo».
    «Un altro elemento di novità - ha evidenziato Zovico - è l'occupazione, grazie al contributo dell'Autorità portuale, anche degli spazi inattivi, nel terminal di San Basilio: questo ci permetterà di proporre una manifestazione più compatta, più facile da visitare, anche se, guardando le moltissime prenotazioni arrivate in una sola settimana, dovremo lavorare per gestire i flussi di presenza».(Ansa)

    La Provincia di Udine vuole il “Tipicamente friulano”
    L’assessore Barberio: se la Regione snobba il marchio, lo faremo vivere con nostre risorse
    di Michela Zanutto
    UDINE. La Provincia è pronta a rilevare dalla Regione il marchio “Tipicamente friulano”. Più volte la presidente Debora Serracchiani, ha ripetuto che il brand è soltanto uno e cioè “FriuLI VEnezia Giulia”, un simbolo unitario che sfrutta la grafica per esplicitare il messaggio, un giochino che - secondo le malelingue - sarebbe stato esportato direttamente dalla vicina “SLOVEnia”, dove i pubblicitari usano la parola inglese “amore” contenuta nel nome della nazione.
    «Da quando si è insediata la giunta Serracchiani, il “Tipicamente friulano” non è mai stato utilizzato – sottolinea l’assessore provinciale all’Agricoltura Leonardo Barberio –. La Regione vuole cancellarlo? Lo faremo nostro perché è un patrimonio da salvare».
    Un brand lanciato per promuovere al meglio i prodotti locali e regionali, gli eventi di varia natura enogastronomica, le sagre del circuito, Friuli doc, oltre agli stand istituzionali dell’Ersa. «Un marchio, una garanzia», secondo Barberio. Ecco perché la Provincia di Udine «non intende assistere inerme e passiva alla disintegrazione del “Tipicamente friulano”», continua Barberio che lancia un appello alla Regione: «Si tratta di un marchio fondamentale per qualificare i nostri prodotti e diffondere le eccellenze territoriali».
    Dopo tutte le risorse impiegate è un controsenso cancellare con un colpo di spugna gli investimenti e anche i risultati ottenuti. Per questo se la Regione persisterà su questa strada, intendiamo intervenire come Provincia per salvare il marchio. Siamo pronti a gestirlo in maniera autonoma e indipendente rimboccandoci le maniche anche per trovare le risorse necessarie».
    La Provincia di Udine vuole il ?Tipicamente friulano? - Cronaca - Messaggero Veneto

    Un Olivetti rivoluzionario ma un po' troppo buonista
    Luca Nannipieri
    Finora né il cinema né la televisione aveva provato ad avvicinarsi alla figura di Adriano Olivetti. Questo straordinario imprenditore e intellettuale è stato infatti una delle personalità più problematiche di tutto il Novecento.
    Dal giorno della sua morte, avvenuta improvvisamente in un treno per la Svizzera nel 1960, sono state pubblicate decine di libri. Ma nessun regista aveva avuto la temerarietà di confrontarsi con Olivetti. Al grande pubblico la sua vicenda e la sua rivoluzionaria utopia sono tuttora in gran parte sconosciute.
    Per colmare questo vuoto che dura da sessantanni, è stata prodotta Rai Fiction una miniserie in due puntate dal titolo significativo Adriano Olivetti. La forza di un sogno.
    Gli attori sono stati scelti oculatamente per avvicinare il pubblico più diversificato: ad interpretare l'imprenditore vi è Luca Zingaretti [e chissà come mai per interpretare un padano-piemontese si è dovuto scegliere proprio un romano...]; accanto a lui vi sono Stefania Rocca e Francesca Cavallin, la cui spigolosa bellezza, oltre che bravura, ha l'evidente ragione di magnetizzare lo spettatore.
    Se l'obiettivo della miniserie è appunto quello di far uscire dall'ombra la vita di Olivetti e porla all'attenzione di milioni di italiani, lo scopo è raggiunto. È infatti evidentissima nella regia di Michele Soavi, nipote dello stesso Olivetti, la volontà di attenuare la complessità della figura dell'imprenditore. Con una semplicità narrativa quasi didascalica, la fiction ripercorre a ritroso, partendo dalla morte a 59 anni, la vicenda dell'imprenditore: ereditando l'azienda dal padre, Olivetti non solo rivoluziona le macchine informatiche e da ufficio, ma trasforma radicalmente anche il rapporto tra industria e operai, consentendo meno ore di lavoro, congedi per maternità, asili vicino alle fabbriche, rapporti più solidali verso i sottoposti.
    Ma l'immagine di Olivetti della fiction è troppo umanitaria e conciliante per essere vicina al vero.
    Il punto infatti è questo: Olivetti è stato una figura profondamente divisiva. I suoi testi capitali, da L'ordine politico della Comunità, scritto in esilio in Svizzera nel 1945, fino a Società Stato Comunità del 1952, sono libri per niente buonisti: in essi Olivetti chiede che lo Stato si trasformi traumaticamente affinché le comunità locali possano essere libere di organizzarsi e vivere. Teorizza la frantumazione dello Stato in comunità di appartenenza, in anni in cui era forte invece l'impeto nazionalista e unificante.
    Oltre ad aprire le Edizioni di Comunità, una casa editrice in cui pubblica i suoi interventi e alcuni classici della teologia e del pensiero, fonda nel 1947 il Movimento Comunità. Dunque mentre i Costituenti stavano approvando la Costituzione che voleva l'Italia una e indivisibile, lui creava un movimento che si diffonderà in Piemonte e che chiedeva una rivisitazione federalista del paese, al punto da affermare: «Noi chiediamo la costituzione di nuove unità organiche politiche e amministrative: le Comunità concrete». E anche: «Nella società delle Comunità si considerano autonome e indipendenti sia le attività individuali, sia quelle collettive: le organizzazioni economiche si costituiscono in complessi autonomi aventi statuto giuridico differenziato, i sindacati sono organizzati dal basso fuori da qualsiasi intervento o influenza statale». Che cosa sono queste dichiarazioni se non un disegno politico scompaginante e per nulla conciliante?
    La riuscita miniserie della Rai va più che bene per sensibilizzare l'attenzione degli spettatori, ma aver creato una figura sempre pronta ad aiutare gli altri, una Madre Teresa in giacca e cravatta, non dà conto fino in fondo della tumultuosa complessità di Olivetti, le cui opere principali - su tutte, L'ordine politico delle Comunità - sono colpevolmente fuori catalogo da anni.
    Un Olivetti rivoluzionario ma un po' troppo buonista - IlGiornale.it



  3. #33
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Pmi eccellenti, il 10% è in Emilia Romagna
    In Emilia-Romagna sono 1.063 le società di capitali che presentano le caratteristiche potenziali per poter accedere al mercato dei cosiddetti “mini-bond”. Si tratta di obbligazioni, che possono consentire ad aziende di raccogliere le risorse finanziarie necessarie a sostenere piani di sviluppo o di espansione anche internazionale. A fare la stima è Crif Rating Agency, la prima agenzia di rating italiana riconosciuta nell’ambito della recente cornice regolamentare europea.
    Secondo lo studio realizzato da Crif, su 10.457 imprese “campioni” dell’economia nazionale, quelle localizzate in Emilia-Romagna rappresentano una quota pari al 10,17% del totale, conquistando il terzo posto assoluto della graduatoria nazionale, alle spalle solamente di Lombardia e Veneto.
    Pmi eccellenti, il 10% è in Emilia Romagna | viaEmilianet

    «In Italia tutti lodano il made in Italy. Poi ci costringono a non crescere per non morire di tasse»
    Matteo Rigamonti
    Intervista a Simonpietro Felice, ad di Giordano Vini: «Costo del lavoro troppo alto. Assurdo aumentare l’imposizione a chi assume: bisognerebbe incentivarlo»
    Se la Giordano Vini avesse sede in California anziché nelle Langhe, non produrrebbe più né il suo Dolcetto d’Alba né il Barbaresco. Certo, dovrebbe imparare come si coltivano e in quanto tempo fermentano le uve della Napa Valley. Però avrebbe anche chiuso il 2012 con profitti ben maggiori di quelli incassati nello stesso periodo in Italia, dove ha fatturato 110 milioni di euro. In America, infatti, «il costo del lavoro incide molto di meno» di quanto non incida nel Belpaese sui risultati d’esercizio finali delle aziende. Con l’effetto positivo che «un’impresa come Giordano, impegnata nella vendita diretta del vino, incontrerebbe – e di fatto incontra – una strabiliante facilità nel passare da poche unità a qualche centinaio di lavoratori dipendenti» senza incappare in eccessivi oneri. Con notevole beneficio sul fatturato. Una cosa oggi quasi impensabile in un contesto come quello italiano, soffocato dal fisco e dalla burocrazia. A parlare è Simonpietro Felice, amministratore delegato di Giordano Vini, di ritorno da un recente viaggio oltreoceano, dove si è recato di persona per visitare quello che ormai, grazie all’e-commerce, è divenuto uno dei principali mercati del gruppo, insieme al Belgio, alla Francia e altri paesi europei, dove nel complesso esporta il 47 per cento del vino che produce.
    Il primo nemico del made in Italy, paradossalmente, è proprio l’Italia. Purtroppo, prosegue Felice, «è estremamente oneroso crescere assumendo personale qualificato in Italia». E questo, spiega, è forse il principale svantaggio competitivo per l’azienda. Un esempio? La gestione dei clienti. «Anziché ricorrere a call center esterni, noi preferiamo che il cliente sia gestito da personale interno all’azienda, che conosca bene il prodotto e che si sappia conformare alle nostre esigenze», spiega Felice; tuttavia l’elevato costo del lavoro «rappresenta un disincentivo». Se cresce il numero dei dipendenti, infatti, aumenta anche la base imponibile ai fini Irap, e questo «è assurdo: chi assume dovrebbe godere di incentivi fiscali che riducano in qualche misura il costo del personale». Oggi invece un dipendente che percepisce 1.200 euro in busta paga all’azienda costa almeno il doppio. «Ma che senso ha lodare a parole il made in Italy, come fanno tutti, se poi c’è il rischio che tanti si arrendano e smettano di produrlo? Lo Stato non si accorge dei benefici che anch’esso trarrebbe da una crescita dell’export?».
    GRAVI SVANTAGGI COMPETITIVI. Ma l’elevato costo del personale non è l’unico svantaggio competitivo per un’azienda come Giordano Vini, che comunque quest’anno per aggredire il mercato belga e quello francese ha assunto 60 operatori di call center (qualcuno francese di nascita ma la stragrande maggioranza italiani che conoscono bene la lingua), portando il numero di dipendenti assunti a un totale di 450: 250 nei call center e 200 nella produzione del vino. Se infatti l’avvento dell’e-commerce ha rappresentato indubbiamente una notevole possibilità di crescita e sviluppo, visto che oggi Giordano vende 26 milioni di bottiglie a 3 milioni di clienti sparsi nel mondo, solo la metà dei quali risiede in Italia, i costi per le imprese di logistica legati allo stoccaggio e al trasporto delle bottiglie «non sono ancora sufficientemente competitivi» rispetto a quelli che sostengono gli altri attori del mercato. Ciò si traduce in tariffe più alte per le aziende italiane che producono e commerciano vino.
    UN’OCCASIONE PERSA Da ultimo, Felice lamenta la peculiarità del sistema fiscale italiano che «disincentiva, di fatto, la crescita dimensionale» delle imprese del vino: «Operiamo in un mercato dove sembra che possa sopravvivere solo chi offre prodotti rivolti a una nicchia», venduti su piccole piazze e mercati elitari, per quanto di eccellenza essi possano essere. Perché? Perché chi resta sotto il numero dei 15 dipendenti «è tassato di meno e ha minori obblighi burocratici» rispetto ai concorrenti grandi e medio-grandi, constata l’ad. Basterebbe guardare a come vanno le cose in Francia per accorgersi che eliminare queste perversioni fiscali e burocratiche favorirebbe lo sviluppo di player di maggiori dimensioni. Con enormi benefici per l’economia.
    Felice (Giordano): «Made in Italy incentivato a non crescere» | Tempi.it





    Il "Quarto capitalismo" lombardo alla riscossa: una analisi
    Claudio Bollentini
    Lo spunto per scrivere questo articolo mi giunge da una delle ormai innumerevoli mail che ricevo settimanalmente da piccoli e medi imprenditori lombardi, in questo caso da una nota imprenditrice brianzola, erede di una altrettanto nota famiglia di industriali nel settore della meccanica di precisione. Il contenuto di questi messaggi segue sempre la stessa falsariga e con noiosa ripetizione leggo sempre storie una uguale all’altra, tra accenti che variano dalla protesta all’irritazione, al disincanto, a seconda evidentemente del carattere e delle sensibilità di chi scrive. Emerge una Lombardia, e più specificamente un’Insubria, prostrata, devastata dalla crisi, non solo di quella economica e finanziaria, ma del sistema in generale.
    Il bilancio di questo ultimo ventennio è una vera e propria disfatta, un collasso politico, culturale e morale la cui responsabilità è in capo a chi ci ha governato ai vari livelli, di centrodestra o di centrosinistra fa lo stesso, il risultato non cambia. Una disfatta politica, culturale e morale delle classi dirigenti, un fallimento storico di una intera generazione di politicanti e affaristi. Mi riferisco a quel sistema che si è trasfigurato sulle macerie della prima repubblica e che ha poi costituito l'ossatura del sistema di potere in Lombardia, ma credo che non cambi molto se dovessimo parlare di Piemonte o Veneto. Se dovessimo fare la cronistoria di vent’anni di inchieste, di processi, di condannati per reati contro la pubblica amministrazione, troviamo di tutto e nell’ordine delle migliaia di soggetti coinvolti: esponenti di partito, manager pubblici, dirigenti di enti locali, di Asl, sindaci, consiglieri e assessori, accademici, professionisti, consulenti, faccendieri, portaborse. Un marciume generalizzato e trasversale che ha coinvolto qualsiasi ambiente che ha avuto a che fare con la pubblica amministrazione.
    Da una parte, leggendo appunto le tante mail che mi arrivano, c’è una Lombardia brillante, campione di eccellenza, di libero mercato, di efficienza, di meritocrazia, e dall’altra un sistema di potere lontano da questo mondo eccellente sia culturalmente sia moralmente, parassitario, inefficiente, costosissimo, lento, direi meridionalizzato, nel senso peggiore del termine. Sarebbe come sparare sulla Croce Rossa se ricordassi gli intrecci tra affari mafiosi e certi settori dell'economia del Nord, il tutto sempre con il concorso colposo o doloso di una vasta schiera di amministratori locali, politici e partiti. Molti collusi, tantissimi che hanno girato la testa dall’altra parte per convenienza propria e politica. Favori, prebende, collocamento di individui per incarichi di responsabilità solo in virtù della appartenenza e fedeltà al sistema e non per merito e competenze. Un sistema cresciuto all’ombra di Berlusconi con la Lega sicuramente responsabile di aver tenuto botta per tanti anni a questa gente, facendo finta di non accorgersene, relegata a presidiare un suo ambito di potere in ogni caso di tutto rispetto. La stessa cosa a sinistra, basti pensare all’intreccio politico-affaristico che gravitava intorno a Filippo Penati, un sistema sicuramente non di secondaria importanza e credo solo in parte venuto alla luce.
    Mentre nel caso del sistema di potere formigoniano o di quello di sinistra, di idealità e di progetti politici non ce n’era manco l’ombra, nella Lega la responsabilità del fallimento di questo ventennio è ancora più forte. Non hanno portato a casa nulla, parlo del federalismo per esempio e non proseguo nel rosario di occasioni mancate, promesse non mantenute, slogan e quant’altro ci è stato sottoposto pur di sperare in una Lombardia in qualche forma autonoma e che invece si sono molte volte trasformate in stratagemmi buoni per imbambolare masse di militanti ed elettori utili solo per sostenere un sistema che si chiamasse cerchio magico o barbari sognanti poco importava. Con una Lega ridotta ad un rottame politico, con Maroni nella doppia veste di segretario federale e di presidente della Regione, non abbiamo visto per l’ennesima volta nessun elemento di novità e di speranza. C’è stato un congresso a giugno del 2012 che doveva sancire una cesura netta con il recente discutibile passato, le vicende di Belsito, i soldi usati per i familiari e gli amici di Bossi, il dissesto del Credieuronord, e tante altre piccole e grandi brutte storia di poca trasparenza ed onestà politica ed invece, tutto si è risolto in un appuntamento di routine, la questione morale è rimasta non risolta, contenuti e progetti politici di alto respiro manco l’ombra. Ma come al solito la tragedia si è trasformata presto in farsa. Quando Formigoni è stato travolto dagli scandali ed è risultato indifendibile, Maroni ha dovuto staccare la spina alla giunta lombarda, ma solo per salvare le apparenze ed infatti, dopo essere stato eletto presidente della Regione, ha riconfermato l'alleanza con il pdl. Un indice più che chiaro per farci vedere che nulla è cambiato e nulla cambierà a breve nel panorama politico così come lo vediamo oggi. Naturalmente per perpetrare questo scempio ci sono state anche grandi responsabilità di certi ambienti della finanza e della grande impresa, ma il nostro interesse in questa sede è concentrato solo sulla parte politica di questa triste storia.
    Dalle macerie di questo disastro sociale, culturale e morale, di questo fallimento politico si salva e resiste la spina dorsale della Lombardia, ossia il cosiddetto quarto capitalismo: i piccoli e medi imprenditori che investono denaro proprio, senza protezioni né sussidi; che lavorano e producono senza sosta innovando prodotti e processi, che esportano, credono nel mercato e sono rispettosi dei diritti dei lavoratori. Quel tessuto produttivo che ha tenuto in piedi nei decenni non solo la Lombardia, ma pure l'Italia. Avendone avuto in cambio solo una Repubblica matrigna che ha sempre vessato iniquamente, spogliato di risorse e ostacolato lo sviluppo e la crescita. Non se ne può più; le speranze, dopo la fine della palude della prima repubblica, si sono via via trasformate nel dramma di un penoso avvitamento in una crisi senza fine.
    E allora? Ripartiamo da questo quarto capitalismo, enfatizziamone i punti di forza, favoriamo e creiamo spazi ed itinerari che consentano a questa gente di impegnarsi a favore della collettività. Non sarebbe certo una novità, sarebbe un ritorno alle buone pratiche del passato che ci hanno portato a godere del benessere attuale. Per chiudere, scelgo a caso nella miriade di storie del proto-capitalismo nostrano, una bella citazione di Enrico Dell’Acqua, pioniere dell’industria tessile bustocca di fine ottocento: “Io non accettai il mio posto a scopo di lucro; potrei provare di avere sovente sacrificato del mio, di avere affrontato grandi responsabilità, per il bene di tutti e non ho mai esitato a seminare, pur sapendo che il seme doveva tornare a mio danno e a vantaggio di chi veniva dopo di me”. Non c’è bisogno di commentare…
    Il "Quarto capitalismo" lombardo alla riscossa: una analisi - LaBissa.com

    La ricetta di Bottega Veneta per il successo: alzare gli stipendi
    di Mariella Baroli
    Investire sul capitale umano perché «il nostro vantaggio competitivo sono le persone». A parlare – dalla nuova sede di Bottega Veneta – è Marco Bizzarri, presidente e amministratore delegato del marchio. In un’intervista rilasciata al Sole 24 ore ha spiegato perché per il brand, così come per il gruppo Kering, è fondamentale supportare i propri lavoratori, in modo da dare vita ad un’esperienza aziendale sempre più importante. Per farlo Bizzarri ha deciso di aumentare lo stipendio di tutti i suoi dipendenti di 1000 euro, così da attutire i costi di trasferimento. Per facilitare gli spostamenti vengono forniti due ulteriori servizi: car sharing e servizio navetta.
    Parlando con i lavoratori l’a.d. Bizzarri ha capito che il problema maggiore era la perdita di un’ora circa al giorno per arrivare al posto di lavoro e tornare a casa. Tempo che l’impiegato medio dedicherebbe a preparare la cena o prendersi cura della sua casa. Per questo motivo nella nuova sede di Bottega Veneta sono stati aggiunti due servizi completamente gratuiti: la lavanderia e la possibilità di farsi preparare una cena take away. Un miglioramento nella qualità della vita del proprio capitale umano che si declina in una migliore performance lavorativa. Elemento fondamentale in un’azienda che non fa leva sulla tecnologia ma sul “fatto a mano”. «Unitamente alle cose descritte siamo riusciti ad inserire nella busta paga dei nostri dipendenti un buono da 500 euro» spendibile in aziende affiliate che si occupano di alimentari, fitness o anche asili nido. «Dove l’azienda non riesce a fornire un servizio di eccellenza ci si affida agli esperti».
    L’importante è dare il meglio a chi aiuta a raggiungere ottimi risultati. Questa nuova strategia ha fatto registrare una crescita del +16% nel terzo trimestre. Negli ultimi quattro anni il risultato è stato un +150%. «Aiutiamo i nostri dipendenti perché l’innovazione così come i guadagni passano da loro. Non siamo una charity – ci tiene a specificare – e non facciamo paternalismo».
    La ricetta di Bottega Veneta per il successo: alzare gli stipendi | L'intraprendente

  4. #34
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    Predefinito Re: Padania intraprendente


  5. #35
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Incentivati a non crescere?
    Errore di valutazione basilare che porta a tragiche conseguenze, perchè continua ad illudere che le cose possano cambiare. Al punto da dubitare della buonafede di chi queste parole continua a ripetere.
    Incentivati a morire!
    Nel vero senso delle parole.
    Per questo lavorano i nostri governanti. Solo per questo.
    Ultima modifica di ventunsettembre; 15-11-13 alle 16:38
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  6. #36
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    loro sperano di tirare avanti ancora dieci anni.

  7. #37
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Noi anche.
    E questo ci porta alla rovina.
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  8. #38
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Per effettuare un posticipo del pagamento iva, dal 16 al 30 novembre, calcolato interesse su base annua di oltre il 70%.
    Chi è lo strozzino?
    sklöpp & kanù

  9. #39
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Sei proprio un intraprendente!
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  10. #40
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    certo che da intra + prendere ne è uscito un significato incredibile, che adesso non ha alcun significato.

 

 
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