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(26 agosto, 2007) Corriere della Sera Le polemiche d' estate e la tentazione di adattare le regole a proprio uso e consumo: la dottrina della Chiesa ha una sua coerenza A Cesare quel che è di CesareGli egoismi all' assalto del «fisco ingiusto» ma pagare le tasse è anche questione di fede
Pagare le tasse, per un vero cristiano, è un modo di far passare il malumore. Così dice la chiara e rigorosa voce «Tassazione» di Enrico Chiavacci nel Nuovo dizionario di teologia morale pubblicato dalle Edizioni San Paolo a cura di Francesco Compagnoni, Giannino Piana e Salvatore Privitera, un testo che sarebbe utile consultare in queste settimane di polemiche sui rapporti fra etica ed esazione fiscale. Scrive Chiavacci, in una voce enciclopedica che non è dichiarazione di opinioni personali, bensì esposizione obiettiva e articolata della dottrina della Chiesa: «La tassazione ( ) deve essere considerata dal credente come cosa del tutto normale, e sicuramente obbligante in coscienza (...). Se il cristiano produce reddito (guadagna), il momento del prelievo fiscale non è traumatico, ma è anzi un momento lieto in cui egli mette a disposizione della comunità, e dei più deboli d' essa, ciò che non è indispensabile a un ragionevole sostentamento suo e delle persone a suo carico». Che pagare le tasse, anche esose, metta allegria e magari scacci i malumori provocati dalle liti col coniuge o la suocera, può essere una pretesa eccessiva; per quanto il cristiano sia chiamato dalla sua fede a una milizia quotidiana talora necessariamente eroica, si potrebbe capire se, quando il fisco gli vuota le tasche, tirasse giù qualche espressione colorita. Inoltre è difficile stabilire e quantificare il «ragionevole sostentamento» e il «superfluo» - che secondo San Tommaso appartengono non a noi, ma al povero - perché sono concetti e misure che variano a seconda dei tempi, delle classi sociali, delle esigenze culturali. Comunque, in francescana letizia o a denti stretti, le tasse il cristiano le paga; è tenuto - dalla sua professione di fede e dalla sua appartenenza alla Chiesa - a pagarle. Se disinvolti, melliflui o capziosi pastori non lo richiamano a questo dovere o gli forniscono sofistiche giustificazioni per eluderlo, simili a quelle con cui frate Timoteo, nella Mandragola di Machiavelli, spinge Lucrezia, bellissima sposa fedele, all' adulterio, il cristiano non è per questo autorizzato a infrangere l' insegnamento della Chiesa e a peccare. Come spiega il citato articolo del Dizionario di teologia morale, per la dottrina della Chiesa il prelievo fiscale è un diritto-dovere, il grosso del prelievo deve avvenire (per ragioni di equità) sul reddito piuttosto che sui consumi e il prelievo deve essere non proporzionale bensì progressivo. Questa è la dottrina della Chiesa; libero ognuno di criticarla e respingerla, di non tenerla in alcuna considerazione e di non riconoscerle alcuna autorità morale, ma non di richiamarsi a essa in modo scorretto, alterando la sua posizione a proprio uso e consumo. Su tutto questo c' è poco da discutere. Le polemiche hanno infatti riguardato l' atteggiamento da prendere quando una tassazione sia particolarmente pesante o ingiusta. Il problema è reale e si è posto più volte nella storia, nei più diversi tempi e contesti politici. Si racconta ad esempio che, dopo la Prima guerra mondiale, nelle nuove province ai nostri confini orientali divenute italiane, parecchi commercianti, abituati al rigore e all' onestà dell' apparato statale austro-ungarico, resero come di consueto una dichiarazione dei redditi veritiera, ma i funzionari del fisco italiani, educati alla reciproca diffidenza tra Stato e cittadino, ritennero menzognere quelle dichiarazioni e imputarono ai loro sventurati e onesti estensori un imponibile due volte maggiore, che condusse alcuni di essi alla rovina. È evidente la legittimità, anzi il dovere di parlare di tasse equilibrate o inique. Ma senza confondere, come si è fatto, politica, economia, morale, diritto e giustizia, un pasticcio ambiguo che ben mette malumore. A monte dell' analisi di un particolare sistema fiscale, sta una scelta di valori che non è solo di natura fiscale: chi ha il senso del comune destino degli uomini (senso che non è monopolio del cristiano) e sa che la qualità della sua vita comprende quella degli uomini che condividono la sua sorte, è disposto - forse non proprio lieto, ma nemmeno guastandosi il fegato come il livido taccagno che fa la guardia alla sua borsa come se fosse tutta la sua vita, rovinandosi così ogni magnanimo piacere di vivere - a pagare le tasse, anche gravose nei momenti difficili per tutti. Ma il prelievo fiscale non è una colletta caritatevole; esso fa realmente l' interesse della comunità e dei più disagiati soltanto se non deprime la vitalità economica generale, da cui dipende la qualità di vita e di lavoro di tutti. Quando le tasse sono o appaiono inique, destano - come in queste settimane - proteste e iniziative di contestazione. Anche qui, pure un miscredente può leggere con profitto la citata voce «Tassazione»: «L' inadempienza degli apparati governativi - anche quando sia obiettivamente accertata - non giustifica l' inadempienza del singolo cittadino»; quest' ultimo, continua la voce, ha il diritto e il dovere di mandare a casa, alle elezioni, il governo che gli sembra inadempiente. Questa, prima di essere teologia morale, è semplicemente democrazia. Infinite volte ci si trova dinanzi a leggi che appaiono ingiuste, a provvedimenti sbagliati o riprovevoli, a cose che non vanno, ma che si possono correggere solo nelle apposite sedi, all' interno di un governo che può modificare alcuni suoi atti, nel Parlamento che può cambiare le leggi, nelle elezioni che possono capovolgere le maggioranze e gli indirizzi di governo del Paese. Naturalmente può venire il momento in cui un sopruso sia talmente enorme e inaccettabile - ad esempio, una legge razziale come quelle di Norimberga - da risultare incorreggibile con i normali metodi democratici. Ma allora ci si assume a torto o a ragione la responsabilità di considerare lo Stato in cui si vive non più uno Stato, bensì una illegittima tirannia da combattere con mezzi illegali, come avviene nelle rivoluzioni, nelle resistenze partigiane a un' occupazione violenta, nelle lotte che sospendono ogni legalità. L' obiezione fiscale - che non è evasione - è un primo passo in questa direzione; «un atto dichiaratamente e deliberatamente antigiuridico - scrive il teologo - mirante a far variare una certa linea politica approvata dalla maggioranza» e dunque un atto che si pone fuori dalle regole della democrazia. A seconda dei nostri valori, dei nostri principi, dei nostri dèi, possiamo approvarlo o respingerlo, come - su un piano ben più rilevante - approviamo o condanniamo, a seconda dei casi, un' insurrezione armata, ma non possiamo certo considerarlo legale e abbinarlo alle altre regolari prassi di politica fiscale. L' alternativa fra la borsa e la vita è falsa, perché la vita, specie quella dei deboli, ha bisogno della borsa. L' economia non è meno nobile della poesia o della religione, perché anch' essa si occupa, e non certo meno utilmente, della sorte degli uomini. Ma è il tono, è l' intonazione che fa la musica; è il modo in cui si dicono le cose che rivela, al di là dell' opinione tecnica su come gestirle il più razionalmente possibile, la generosità o la sordida bassezza con cui guardiamo alle cose e, attraverso di loro, agli uomini. Il tono spesso becero degli attacchi al governo (cui, fosse anche solo per questo, va una civile solidarietà) rivela, non certo in tutti ma in molti suoi avversari, una rancorosa tirchieria, ignara di quella liberalità ragionevole ma generosa che rende gioviale e godibile la vita propria e altrui. Il governo tedesco di Angela Merkel ha elevato le tasse col consenso dei suoi cittadini, che avrebbero molto da insegnare ad alcuni nostri micragnosi scalmanati. Il denaro circola nella società come il sangue nelle vene e si vive meglio se si è pronti a versarne un po' quando negli ospedali scarseggia il plasma, piuttosto che custodirlo gelosamente come l' avaro dal temperamento anale descritto da Freud. «Spero - scriveva Morton Rothemberg, grande figlio del capitalismo americano - che le tasse sulle mie proprietà aiutino a trovare il modo di fare del bene a me e agli altri». Magris Claudio